Spesso l’idea che può farsi strada ascoltando un tormentone passato continuamente in radio è quella di un ‘prodotto consumabile’ destinato a durare lo spazio di una stagione, e che rappresenta la punta di un iceberg di plastica (l’album da cui è tratto) che, banalmente, si sgonfierà al passare della stagione, e di cui non resterà più traccia in autunno. Teoria, questa, effettivamente applicabile con gran parte dei prodotti che si ascoltano in questo periodo, ma con le dovute eccezioni. X di Ed Sheeran è piacevolmente una di queste, ovvero un signor disco rappresentato da un singolo (Sing) che ha fatto ormai il botto in radio, ma non solo questo.
Sheeran ha all’attivo un album di esordio nel 2011 (+, inteso come “Plus”) che ha convinto critica e pubblico. Bissare non è facile, lo sappiamo, ma Sheeran accetta la sfida e raddoppia, anzi moltiplica, per giocare con la “X” del titolo. Ci troviamo invece dinanzi a un lavoro fresco e vivo, che sembra realizzato con naturalezza e che raggiunge l’obiettivo di piacere ma anche – e non è un peccato – di emozionare. Sì, perchè il 23enne cantautore inglese con lo sguardo da bambino ha davvero talento da vendere. E lo dimostra fin dalla track di apertura, One, una ballad acustica con cui il Nostro apre coraggiosamente il disco: una love song cantata in modo struggente
che chiama il riascolto ed evoca atmosfere romantiche d’altri tempi. La voce di Sheeran dà i brividi, trascinandosi in una estensione vocale che dura ben 17 secondi (!). Sheeran conferma il proprio stato di grazia con la seconda canzone dell’album, I’m a mess, dove sembra essere bandita ogni stucchevolezza per un puro invito all’ascolto. L’atmosfera è da club intimo di periferia, in seconda serata, quando l’ambiente dà l’occasione per lasciarsi andare a pensieri in libertà, e dove il cantante-narratore si racconta a una platea di intimi. Ma il relax dura appena il tempo del brano, perché la terza traccia é la pluriascoltata Sing: qui lo zampino di Pharrell Williams, coautore e produttore, c’è tutto, ed è chiaramente un bene. La canzone prende dalla prima nota, e trascina tutti nel coro vocale che fa da sfondo a un universale movimento liberatorio. Ascoltandola, sembra di vedere i coretti dei coraggiosi davanti al semaforo, o, meglio ancora, in disco a gridare alle stelle la propria voglia di libertà. Il testo, manco a dirlo, parla ancora d’amore, ma l’esortazione è quella di aprirsi alla vita, per cantare.
E infatti il ritmo prosegue con Don’t, il secondo singolo dopo Sing e il brano che forse più di ogni altro risente – positivamente – delle influenze black: qui si balla ancora, ma si strizza anche l’occhio al rap, e Sheeran mostra di sapersi muovere più che agevolmente su un terreno che forse non aveva percorso prima d’ora, ma che adesso finisce per conquistare a mani basse.
L’ascolto prosegue con Nina, ballad scritta con Johnny McDaid (che è anche produttore), che ha tutte le carte in regola per sfondare in radio come nuovo singolo. Stesso team di autori per Photograph, i cui risultati sono nuovamente pregevoli: il brano si distingue per un testo ancora una volta romantico ma non stucchevole. Una frase su tutte:
Proseguendo, Bloodstream e Tenerife sea, cofirmate ancora da McDaid, pur non distinguendosi per particolare originalità, meritano una menzione per l’arrangiamento, mai fuori posto, lineare, pulito, che rappresenta in effetti un emblema qualitativo non indifferente per il disco nel suo complesso, e soprattutto non automatico anche quando, come in questo caso, alla produzione si sono avvicendati personaggi del calibro di Jeff Bhasker, Jake Gosling e Benny Blanco, oltre ai già citati Pharrell Williams e Johnny McDaid. L’amore la fa ancora da protagonista:
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…