Tarifa, piccola città dell’Andalusia, in Spagna, è il comune più meridionale dell’intera Europa continentale, il luogo dove l’Europa tende la mano all’Africa, e dove l’Oceano e il Mediterraneo si incontrano, e si confondono in un unico immenso corso d’acqua. Non si può non pensare a Tarifa ascoltando “Mano nella mano” (Sony Music), il disco con cui Sergio Cammariere torna sulle scene dopo due anni. In punta di piedi, parlando solo per mezzo della propria arte, Cammariere ci ha abituato ormai a percorsi artistici di altissimo respiro, che portano in musica suoni e profumi di altre epoche, altri luoghi. Un universo che non può essere racchiuso nella sterilità di un prodotto commerciale, banalizzato e venduto da radio e tv, ma che merita di essere assimilato piano piano, gustato fino in fondo come si fa con una creazione artigianale, unica e rara. In questo nuovo lavoro, declinato in undici composizioni, accompagnato ai testi dal fedele Roberto Kunstler, ma anche da Giulio Casale e Saverio Grandi, Sergio ci fa sognare e riflettere, con quell’aura malinconica che caratterizza da sempre la sua musica, e con testi che respirano l’ansia dell’oggi per trasformarla in speranza verso un futuro fatto di condivisione e di pace.
La titletrack, “Mano nella mano”, racchiude in sé tutta l’essenza del disco. Sergio è stato davvero a Tarifa, e sembra aver assorbito tutte le splendide influenze di un “luogo non luogo”, dove i confini non esistono, e dove si può sperare che la contaminazione naturale di Oceano e Mediterraneo, che influenza popoli che convivono da sempre in armonia, si lasci trasportare dal vento e investa come un uragano di pace ogni comunità e ogni credo.
Cerco di capire ma ancora non so, che farò
che sarà di me, di te, di tutti noi
ci sarà un perché
proprio lì me ne andrò dove tutto è già scritto da sempre
partiremo mano nella mano per un sogno ancor più grande
noi che siamo solo un istante d’amore infinito
nel vento che si agita
ma se le mie parole non bastano
se le cose che ora sento sono vere anche per te
Il testo è immaginifico e onirico al tempo stesso, ci ricorda forse “Libero nell’aria” del 2004, quando non a caso il mondo respirava le stesse angosce e le stesse paure di oggi. Musicalmente parlando, la canzone è scritta in tre quarti e non fa nulla per nascondere influenze arabo-andaluse: il piano di Cammariere si sposa alla perfezione con i virtuosismi della fisarmonica di Antonello Salis e le magie della chitarra di Roberto Taufic.
Ci spostiamo in Brasile con “L’amore trovato”, dove il ritmo apparentemente scanzonato della bossa fa da contorno a un testo malinconico, che giocando con le rime parla di assenza e di speranza. Ancora Taufic alla chitarra, mentre si segnala la presenza di Alfredo Paixao al basso. Di respiro più ampio “Ed ora”, un canto di libertà a 360 gradi, che ci porta su note il respiro della madre Africa, probabilmente suggerito a Sergio da uno dei suoi numerosi viaggi a Essaouira, in Marocco. Il brano si percepisce dai primi secondi come un inno, un’esortazione a riportare la vita a valori di rinnovamento dell’anima. L’amore è visto come “unica fede” e “unica verità”: concetti non nuovi, certo, così come perdoniamo al testo alcune concessioni non proprio originali:
tu vedrai
cambierà la realtà
come vedi intorno sta cambiando già
perché sai che non può continuare in questo modo ancora
[…]
che la vita ti sia semplice
e lo spirito più giovane
vai dove il cuore ti porterà
[…]
Nascerà una stella
tra tutte la più bella…
Resta il coinvolgimento emotivo per un brano che trasmette positività. Rilevante lo scat finale di Gegè Telesforo, che qui ritroviamo con piacere.
Delicatissimo e senza tempo, “Le incertezze di marzo” è impreziosito dalla tromba di Fabrizio Bosso, ed è Cammariere allo stato puro. È il nostro brano preferito del disco, un jazz intenso, che parla della storia di solitudine di Anna, una donna che immaginiamo essere non più giovane, che si interroga sull’amore e sulla vita. Una creatura che “guarda il fiume passare” e che “si arrende all’indicibile”: una “Anna come sono tante”, che qui, ancora una volta, diventa poesia, grazie al testo ispirato di Giulio Casale.
“Io senza te, tu senza me” è un brano dimenticato di Bruno Lauzi che Cammariere recupera da par suo, ed è l’occasione per dirci quanto grande sia stato il cantautore ligure, che Sergio ha avuto la fortuna di conoscere personalmente. Un “samba genovese” che è un divertissment piacevolissimo e intenso:
Io senza te, e tu senza me,
Brasile senza caffè,
due inglesi che non bevono mai tè,
e due italiani che non parlan con le mani…
“La vita ci vuole” è sicuramente il brano più triste del disco: il testo (di Giulio Casale) non racconta solo la solitudine di due innamorati alla fine di una storia, è qualcosa che va oltre, perché scandaglia l’esistenza senza trovare in essa ragioni che la rendano plausibile. Illudersi ancora, in una vita che è diventata un’avventura surreale. Musicalmente parlando, l’atmosfera ha molto da restituire all’aria che si respira dalle parti degli chansonnier francesi, con la fisarmonica di Salis che si inserisce tra pianoforte e chitarra in modo vivo e indelebile.
Tornano i ritmi sudamericani in “Ancora non mi stanco”, che richiama altre creazioni di Sergio: delicato è il suo timbro vocale, quasi sussurrato, che il filicorno di Fabrizio Bosso incastona in un quadro lirico lieve ma intenso.
Non ci scostiamo dal Sudamerica nei ritmi di “Siedimi accanto”: qui però si sente profumo di sigari e di mojito, e l’uso del “guiro” contrassegna in modo inequivocabile le coordinate geografiche citate, portandoci dritti a Cuba. Il testo ci parla dell’invocazione di un uomo verso la propria donna: lui non si è rassegnato ad averla persa, così la implora ancora di non abbandonarlo, ma lo fa senza pietismi né piagnistei, anche se tra le righe l’implorazione è forte:
Farò tutto quello che vorrai
Se tu te ne vai che sarà di me
“Così solare”, leggero e romantico, con testo di Saverio Grandi, parla di un amore adulto che vorrebbe sbocciare, una dichiarazione fatta e non ricevuta, talmente tenera da sembrare quasi adolescenziale:
Dimmi cos’hai dimmi chi sei
e come mai tu sei diversa…
[…]
Io vorrei portarti al mare
stare là insieme un po’ a parlare
voglio sapere se sei vera o no…
Pare che la musica del brano scritta da Cammariere con Max Bottini, sia rimasta per anni nel cassetto: certo è che i segni del tempo non sembrano affatto esserci, grazie anche a un arrangiamento raffinato e di classe, che porta la chitarra di Taufic a sposarsi alla perfezione con la ritmica di Bruno Marcozzi e il piano dello stesso Cammariere.
“Quel tipo strano” ci racconta di un personaggio particolare, che amava “le donne e il mare con la stessa lontananza”, che improvvisamente si ribella (a cosa non si sa) e scappa dal luogo in cui vive. Il testo, di Roberto Kunstler, risale al 1992, ed è molto criptico e magnetico, parla di Europa, di ‘gente che piangeva per la fame, e che rideva per il vino’, e poi di angeli che accolgono il protagonista, che immaginiamo quindi morire. Di classe, ancora una volta, l’arrangiamento, con la fisarmonica di Salis a ricamare con delicatezza su un tappeto sonoro condotto da pianoforte e contrabbasso, quest’ultimo animato dal fido Luca Bulgarelli.
Infine, “Pangea”, strumentale, chiude il disco con note struggenti che immaginiamo suonate davanti al mare di Crotone, lo stesso mare che da piccolo ha visto Sergio sognare e fantasticare contemplando le sue onde. Il titolo richiama ovviamente quel ritorno all’essenzialità, all’unità, contro ogni forma di divisione, che è il filo conduttore del disco.
In sintesi, “Mano nella mano” ci consegna un lavoro di classe, che merita più di un ascolto. Un disco dove, a dispetto di alcune ingenuità testuali che sembrano persistere in alcuni testi di Kunstler, la musica trova il suo respiro più ampio, e ci consegna sonorità che fanno respirare aria purissima. Un disco da cui emergono estro e creatività, voglia di vivere e di vivere bene.
SERGIO CAMMARIERE – MANO NELLA MANO – Il video
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…