Ci sono artisti che appartengono a una sola stagione. E poi ce ne sono altri che, per talento e originalità, riescono a oltrepassare il tempo. Ornella Vanoni è stata una di queste rare presenze: non una semplice cantante, non solo un’interprete, ma un filo sottile capace di unire generazioni, ricordi, emozioni e silenzi. Una donna che non ha mai avuto paura di mostrarsi, di esporsi, di essere fragile, ironica, imperfetta e per questo profondamente umana.
Prima ancora della voce, prima dei dischi e dei riflettori, c’è una ragazza che cammina per Milano con lo sguardo curioso di chi vuole capire tutto, di chi vuole toccare la vita con le mani. È lì che nasce Ornella, tra strade eleganti e vicoli industriali, nell’Italia che cambia e si reinventa. Nel 1953 si iscrive all’Accademia d’Arte Drammatica del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, di cui diventa allieva prediletta e compagna di vita. È lui a vedere in quella ragazza un potenziale immenso, una capacità di ascoltare le parole come se avessero un peso specifico, come se fossero oggetti fragili da maneggiare con cura. Strehler le insegna il ritmo, il tempo interno delle emozioni, la postura sul palcoscenico. Le insegna che la voce non basta: serve presenza, serve verità. E Ornella la verità la possiede come un dono naturale, senza saperlo. Quando Ornella inizia a cantare, nessuno sa esattamente come definirla.
Non ha la potenza delle dive liriche, né la dolcezza rassicurante delle cantanti melodiche. Ha qualcosa di diverso: un timbro che sembra portare con sé una storia già vissuta, una venatura di malinconia che abbraccia chi ascolta, come una confidenza sussurrata in un bar semivuoto. Su di lei viene cucito addosso il vestito dell’interprete intellettuale, della musa del Maestro che cerca di plasmarla a propria immagine. Ma Ornella non può essere ingabbiata in un unico canovaccio. Così, l’intesa artistica e personale con Strehler termina in modo burrascoso. Ma Ornella rinasce. E diventa tra le interpreti più apprezzate della canzone italiana d’autore. E’ del 1960 l’incontro artistico e affettivo con Gino Paoli, che le regalerà capolavori come Senza fine e Che cosa c’è. Ornella diventa una diva pop con una voce che è capace di sedurre e incuriosire.
Tu sì na cosa grande di Domenico Modugno (con cui vince il Festival di Napoli nel 1964), La musica è finita (Sanremo 1967, scritta da Franco Califano), Una ragione di più (firmata da Califano, Vanoni e Mino Reitano nel 1969), Eternità (Sanremo 1970 in coppia con i Camaleonti) Domani è un altro giorno con testo di Giorgio Calabrese, L’appuntamento (scritta nel 1970 da Bruno Lauzi su musica di Roberto Carlos) non sono soltanto canzoni destinate al successo. Grazie alle sue interpretazioni diventano piccole scene teatrali.
In ogni brano, Ornella entra ed esce dalle emozioni come un’attrice che conosce ogni piega del proprio personaggio. Non canta: abita la canzone.
Grazie all’incontro con Toquinho, Vinicius de Moraes e Sergio Bardotti nel 1976 nasce La voglia, la pazzia, l’incoscienza, l’allegria un disco registrato in presa diretta che omaggia la bossanova e le perle scritte da alcuni dei più grandi nomi della musica brasiliana come Antonio Carlos Jobim e Chico Buarque. La sua voce incrocia registri artistici che la proiettano in un universo fatto di libertà espressiva tout court, che si traduce in performance originali come il posare nuda per Playboy o in interpretazioni cinematografiche di rilievo come quella che regala ne I viaggiatori della sera che nel 1979 interpreta al fianco di Ugo Tognazzi che è anche regista del film.
Gli anni ’80 la consolidano come interprete versatile e di classe, ma anche come autrice di testi: Ricetta di donna ospita sue canzoni ma anche brani di Paolo Conte (La donna d’inverno), Leonard Cohen e Fabrizio De Andrè (La famosa volpe azzurra). Una carriera che con gli anni si impreziosisce di piccole gemme (Musica musica, Stella nascente, Sherazade, il ritorno a Sanremo con la splendida Io come farò) e con concerti che ovunque registrano successi di pubblico.
Ritrova il suo compagno di viaggio Gino Paoli, con cui intraprende diverse tournée venate di raffinatezza e nostalgia. Ma Ornella non rincorre le mode, anzi si reinventa plasmando nuove collaborazioni con artisti delle nuove generazioni, da Pacifico a Bungaro, a Francesco Gabbani (Imparare ad amarsi, Un sorriso dentro al pianto) a Colapesce e Dimartino (Toy Boy) diventando con gli anni un fenomeno culturale trasversale.
Una signora che attraversa un palcoscenico che compone come un mosaico con tessere via via diverse. Un mosaico vivo, pulsante. Di passioni, di fragilità, di autenticità. Ecco perché Ornella Vanoni non è andata via in una triste sera di novembre, a 91 anni. La sua presenza continua a toccare corde intime, come un ricordo che fa bene. Perché certi artisti non finiscono. Resta. E Ornella resterà, nel respiro di ogni sua interpretazione.
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…


