La caratteristica impronta elettronica dei Chemical Brothers è ancora una volta ben evidente nell’ottavo album “Born in the Echoes”, pubblicato dalla Virgin EMI a distanza di cinque anni dal loro ultimo lavoro in studio “Further”. Eppure la nuova uscita, rilasciata il 17 luglio scorso, presenta delle novità sotto diversi aspetti. Salta all’occhio innanzitutto la lista dei nomi che hanno collaborato con il duo: artisti come Q-Tip, Annie Clark (St. Vincent), Ali Love, Cate Le Bon, Beck, hanno prestato la loro voce per i brani brani “Go”, “Under Neon Lights”, “EML ritual”, “Born in the Echoes” e “Wide Open”.
Sembra che il nuovo lavoro voglia riservare un’attenzione del tutto nuova alla parte vocale, ma il cantato rimane in generale qualcosa di disumanizzato, le voci sono prevalentemente trasformate e cariche di effetti snaturalizzanti. In effetti il disco sembra muoversi contemporaneamente in due direzioni diverse che nell’insieme non risultano bene amalgamate. Non mancano brani come “I’ll See You There” e “Reflection”, dove si riconosce il noto stile dei Chemical, ma le batterie ricche ed esplosive che hanno reso celebre il duo, con quei piatti preponderanti e i feel infiniti e i coinvolgenti riff dal suono massivo sono prevalentemente assenti per lasciare il posto a beat minimali, costruiti con loop percussivi ridotti all’osso, ripetuti fino allo stremo e accompagnati da suoni secchi e dalle tonalità cupe.
Questa impronta è stata data specialmente nella prima metà del disco, che contiene i tre singoli finora pubblicati: “Sometimes I Feel so Deserted”, “Go” e “Under Neon Lights”. In questi brani la parte melodica è stata sacrificata per un sound molto più vicino alla Dance, ripetitivo e ipnotico, dove prevalgono le tonalità minori.
I testi dell’album cercano la stessa essenzialità dei brani:
“And sometimes I feel so deserted
But I hold on cause help is on the way
And sometimes I feel so deserted
But I hold on cause help is on the way”
(Sometimes I Feel so Deserted)
“And she moves to suicide
In and under neon lights
Got no husband, got no wife
All I want’s a view tonight”
(Under Neon Lights)
“The future, I’ll see you there”
(I’ll See You There)
“Let’s Bang”
(Just Bang)
Fanno eccezione i testi più elaborati di “Go”, un’insolita commistione di elettronica e rap che culmina in un ritornello dal sapore più radiofonico, di “Born in The Echoes”, dove la voce di Cate Le Bon trasformata da un Chorus è accompagnata solo da uno scheletro ritmico, e del brano in chiusura, “Wide Open”. Quest’ultimo è il pezzo che risulta più estraneo nella tracklist: il cantato melodico di Beck si sviluppa in una struttura più vicina al pop, con tanto di armonizzazioni sul ritornello ma su una base di suoni elettronici morbidi ed evocativi. Un brano che risulta parecchio in dissonanza con il resto del disco.
Si raggiungono alcuni compromessi tra le due direzioni dell’album, come nel caso di “Reflection”, che unisce il beat ripetitivo e minimale dell’intro al tappeto di suoni che si crea con la progressiva sovrapposizione di forme d’onda distorte. I feel di batteria si fanno sentire e il brano ha continui punti di variazione che non fanno annoiare, sembra anzi di essere immersi tra le riflessioni e le luci stroboscopiche di una grande discoteca.
In generale però sembra che il duo abbia cercato di assumere una nuova prospettiva musicale mantenendo invariata una parte importante del loro background, ma i nuovi singoli risultano faticosi e ripetitivi all’ascolto per i non appassionati del genere mentre i brani più “tradizionali” mancano del respiro delle loro più note composizioni. Rispetto ai successi discografici passati, dove pezzi anche molto differenti trovavano una sorprendente continuità, “Born In The Echoes” segna sicuramente un punto di svolta nella carriera dei Chemical Brothers. La loro produzione sembra ora divisa tra due lati che mostrano pochi punti di contatto tra loro. La speranza è che, a poca distanza da un live romano davvero memorabile, i prossimi passi muovano verso una direzione più decisa.