Abbiamo incontrato il cantautore genovese alla vigilia dell’uscita del suo nuovo disco, Chewing Gum Blues, cantato e suonato a quattro mani con Sergio Caputo
Eclettico, geniale, ironicamente malinconico e malinconicamente ironico, e soprattutto mai inquadrabile in un cliché. In ormai trent’anni di carriera, Francesco Baccini si è ritagliato un posto speciale nel panorama della musica italiana, troppo spesso appiattito da personaggi uguali a se stessi. Baccini invece il personaggio non lo ha mai fatto, per il semplice fatto che ha sempre cantato ciò in cui ha creduto, cercando di offrire un punto di vista intelligente sulle cose e sul mondo. Popolare ma non da varietà del sabato sera, amato da pubblico e critica ma un po’ osteggiato da discografici e addetti ai lavori probabilmente perchè ha sempre odiato filtri e diplomazia. Ve lo ricordate quando cantava “RIfacciamo il muro di Berlino, muriamo la stupidità”? Beh, Salvini giocava a “Doppio Slalom”, l’Italia era stata appena travolta da Tangentopoli e Berlusconi e Trump erano solo tycoon. E quando scrisse un album – “Nomi e cognomi” – in cui ogni canzone era intitolata con il nome di un personaggio reale o inventato? Beh, nessuno lo ha più fatto, e di coraggio ce n’è voluto davvero tanto, considerando che tra i reali c’erano Adriano Celentano, Antonello Venditti, Diego Armando Maradona, Renato Curcio e un certo Giulio Andreotti. Per non parlare dei Premi Tenco, delle vittorie al Festivalbar, un Sanremo e un reality (beh, anche quelli!), una specialissima amicizia con Fabrizio De Andrè e Enzo Jannacci e tanta musica, in una stagione che ancora continua e che vede la sua ultima fioritura in The Swing Brothers, creatura a quattro mani che lo vede accoppiato a un altro collega di talento come Sergio Caputo. Dopo una sorprendente tournée teatrale in cui il duo si è presentato al pubblico riscuotendo successo ed entusiasmo in ogni tappa, è la volta di un disco appena uscito, Chewing Gum Blues (Edel).
Abbiamo incontrato Baccini alla vigilia dell’uscita del disco. Come potrete leggere, il suo è un parlare diretto, senza filtri, ma con concetti assolutamente condivisibili.
Francesco Baccini e Sergio Caputo, due talenti uniti in nome dello swing. Come è nato questo incontro e il progetto di fare insieme un disco?
È nato circa un anno e mezzo fa, Sergio ed io ci siamo incontrati ad un festival e abbiamo cenato insieme. Poi qualche tempo dopo Sergio mi scrive: “Ma perché non facciamo qualcosa assieme?”. Io ci ho pensato 10 secondi e ho risposto “Ok!!!”.
Avete iniziato a collaborare via Skype. Una cosa del genere non sarebbe stata possibile anni fa. La tecnologia più ti affascina o ti spaventa?
Sicuramente non mi spaventa. Io e Sergio viviamo a centinaia di km di distanza, Skype ci ha permesso di vederci tutte le sere, io al piano e lui alla chitarra. La tecnologia può essere molto utile. L’importante e’ che utilizzo se ne fa, come del resto tutte le cose.
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La tua è una carriera che sfiora ormai il trentennale: quali sono gli episodi ai quali ti senti più legato?
Nel 2018 saranno 30 anni. Anzi esattamente durante il Festival perché il mio primo singolo “Mamma dammi i soldi” fu la sigla di coda di Sanremo ’88. Gli episodi sono tanti perché vivo in modo intenso e mi son successe e mi succedono tante cose. Dall’amicizia con Fabrizio De André sfociata nel duetto “Genova blues” a quella con Enzo Jannacci, dalla vittoria al Festivalbar nel 1990 con “Sotto questo sole” in coppia con i Ladri di Biciclette, alle mie due Targhe Tenco – la prima vinta nel 1989 con “Cartoons“, la seconda nel 2012 con “Baccini canta Tenco” – fino alla mia tournée in Cina nel 2013 dopo aver conosciuto e portato in Italia Cui Jian, la più grande rockstar cinese.
Ci sono invece cose che non rifaresti, e perché?
Rifarei tutto perché non ho mai accettato compromessi e ogni scelta sia positiva che negativa l’ho fatta io, pagando sempre in prima persona. Il bello però è che non devo abbassare lo sguardo davanti a nessuno e questo credo non abbia prezzo.
Hai sempre voluto fare il musicista?
I miei mi raccontavano che a due anni ero l’attrazione della spiaggia perché stavo ore davanti al juke-box a ballare tenendo il tempo. Poi a 7 anni mi regalarono un organetto e a 8 anni ho iniziato a studiare il pianoforte fino a 18. Non ricordo la mia vita senza musica.
Hai sempre unito alla attività artistica una passione politica e sociale. Come vedi le cose in Italia e nel mondo occidentale?
L’impegno sociale fa parte del mio modo di essere e di vedere la vita. Non ho mai avuto tessere di partito perché ho sempre voluto essere libero di dire quello che penso. La libertà è un bene prezioso ma difficile da gestire. L’arte nei secoli è sempre stata espressione di libertà e ha sempre fatto paura al potere, e – come diceva Fabrizio De Andrè – “non esistono poteri buoni“. Io mi definisco un anarchico di sinistra. Il mondo occidentale oggi é in una grande crisi di identità e questo alimenta una pericolosa voglia di rinchiudersi nel proprio giardinetto.
La recente vicenda di Cesare Battisti mi ha fatto pensare a Renato Curcio, e allo splendido ritratto in musica che gli hai dedicato in ‘Nomi e cognomi’ nel 1992. Come descriveresti a un ragazzo di oggi la stagione degli anni di piombo in Italia?
Credo che quella canzone sia in assoluto la migliore della mia produzione e quest’anno dopo tanti anni ha avuto un importante riconoscimento al “Festival internazionale di poesia” di Rocca Imperiale (CS). Descrivere oggi quegli anni, che son stati quelli della mia adolescenza, è abbastanza difficile. Erano gli anni dove i figli degli operai e dei contadini per la prima volta si iscrivevano all’università, quindi c’era mediamente un livello culturale molto più alto di oggi. C’era un grande scontro politico che ha portato alla formazione di gruppi extraparlamentari sia a sinistra che a destra. Erano anni di impegno e talvolta esageratamente pesanti, poi arrivarono gli anni 80 ….
E lo stato di salute della nostra musica? Troppi reality? Troppo conformismo?
Oggi c’è poco spazio per la fantasia. Io non mi riconosco in questi tempi. La musica che gira intorno mi interessa poco, in realtà ci sono anche cose interessanti ma devi andartele a cercare col lanternino. Io credo che per scrivere bisogna vivere e se nella vita ti succede poco hai poco da raccontare. I talent sono televisione quindi è un altro gioco, il gioco della TV che non ha interesse per la musica ma solo per il gossip. Per la mia generazione la musica aveva una grande importanza, mentre oggi è in genere un modo per fare gare di canto o ballare. E poi vedo un conformismo dilagante e preoccupante. La musica e l’arte in genere NON possono essere conformiste. In un momento storico come questo i giovani dovrebbero ribellarsi e cercare di rompere gli schemi visto che davanti hanno un futuro molto problematico, invece li vedo accettare abbastanza passivamente tutto questo.
A proposito di ‘Nomi e cognomi’, hai mai avuto riscontri da qualcuno dei personaggi omaggiati nel disco? Maradona, Venditti, Andreotti? Celentano ti invitó a ‘Svalutation’, ma gli altri?
Quel disco mi ha creato grossi problemi, molti di più di quello che chiunque possa immaginare. Da lì ebbe inizio il mio ostracismo dai media che non è ancora finito oggi. Ma essendo un battitore libero ho continuato per la mia strada che è stata ovviamente molto più tortuosa di quello che avrebbe dovuto essere. Ma forse è giusto così . Non sono un nazional-popolare, e per errore quasi lo ero diventato. Io mi son sempre considerato un outsider. Anche nel momento di massima popolarità.
Hai avuto il privilegio di duettare con Fabrizio De Andrè, a cui hai regalato tra l’altro quel ‘maschi, femmine e cantanti’ che lui inserì in ‘Ottocento’. Quanto manca un talento come quello di Faber alla musica di oggi?
Faber per me e non solo per me e’ stato un punto fermo. Una specie di maestro di vita attraverso le sue canzoni. Ecco oggi mancano queste figure. I cattivi maestri creano solo cattivi allievi e oggi ne siamo circondati. Io a 15 anni ascoltavo De Andrè, Bennato, Guccini, Pink Floyd, Queen, Ray Charles, Tom Waits, Chopin, Beethoven…. oggi a quell’età si ascolta altro…
In passato ti sei cimentato nel ruolo di attore. Tornerai al cinema?
Il cinema è una delle mie passioni e recitare mi diverte tantissimo. Ora ho un progetto di un film sulla violenza familiare e il femminicidio con il regista Luca Guardabascio. Nel film – tratto dal romanzo “Senza far rumore“, ambientato in Campania e ispirato a una storia vera, dovrei sia recitare che scrivere la colonna sonora.
Come ti vedi fra vent’anni?
Sicuramente più vecchio, anche se dentro sarò sempre un ragazzetto curioso e rompiballe…
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…