Alberto Mosca, attore e regista romano, ha recentemente presentato al Teatro della Visitazione dal 28 febbraio al 12 marzo, lo spettacolo “Così è … Se vi pare”, liberamente tratto dalla novella di Luigi Pirandello. Noi lo abbiamo incontrato cercando di ripercorrere il suo percorso indagando un prospetto della sua visione dell’arte, del teatro, della vita.

Da quando è scattata la scintilla per l’arte? A oggi, giorno della rappresentazione del nuovo spettacolo, quanto è cambiato in Alberto Mosca?

Beh, parecchio direi. Tanto per cominciare, il teatro e la recitazione mi hanno permesso di conoscere meglio me stesso e di riuscire a vincere molte timidezze ed insicurezze che avevo. Terapeutico in primis, quindi! Poi il processo di consapevolizzazione artistica ha via via preso corpo e, negli ultimi anni, stante anche l’avvento alla regia, ho avvertito un netto salto di qualità.

Quanto e per quanto si è verificato l’eventuale processo di mutazione interiore?

Credo sia fondamentale che il processo di cui si parla non si fermi mai.

L’ispirazione è sempre e ancora legata al fanciullino che è in noi?

Ma deve assolutamente! Mai dimenticare di restare in contatto col proprio “bambino interiore”. Altrimenti è finita.

Cosa darebbe via per far costantemente posto nella sua vita al teatro?

Bella domanda! Probabilmente l’impossibilità di fare questo bellissimo lavoro come Dio comanda nel paese e nella città dove vivo. E’ assurdo ed offensivo che ci sia un sistema così chiuso e nepotistico, dove si privilegia il passaggio in TV in trasmissioni trash e dove si va avanti per raccomandazioni e scelte discutibili. Non certo per meritocrazia. Ma è, ovviamente, un’ipotesi utopistica …

Lei ha anche delle esperienze cinematografiche sia come attore che come regista. Cos’è, rispetto al teatro, che la attira in ambito cinematografico?

Mi piace il mio lavoro. E, visto che è già difficile poterlo fare, perché non sperimentarsi anche nell’ambito cinematografico e come regista? Oramai, quando posso, ho deciso di auto-produrre i miei spettacoli teatrali ed i miei progetti cinematografici.

A quale delle due arti pensa di dedicare più tempo d’ora in avanti?

Non ho preferenze.

Ci racconti qualche aneddoto del suo modo di lavorare in teatro e al cinema.

Come attore mi sono spesso dovuto scontrare col fatto che ai vari provini o riprese cinematografiche che ho sostenuto mi dicevano che ero molto teatrale. Adesso mi accade un po’ meno. Lo prendo, comunque, come un punto di forza. L’attore che sa recitare in teatro, può farlo ovunque. Come regista mi dicono che sono troppo buono. Scambiando questo mio comportamento con una disponibilità alla condivisione di idee, di proposte da parte degli attori che possano arricchire il lavoro. Ma vedo che alla fine non serve e si finisce sempre con l’approfittarsene. Bisogna tirare le sedie addosso agli attori, dir loro: “Stai zitto che qui comando io e lavora” ed urlargli in testa. Ma io non ne sono capace. Non è nel mio DNA e nel mio modo di rapportarmi con le persone. Il rispetto, per me, nasce dalla professionalità Ma in Italia anche questo non è così …

E se vuole, qualcosa anche sul suo modo di vedere, di affrontare la vita.

Ho deciso che voglio serenità attorno a me; preservare la salute che è il bene più prezioso; andare avanti per la mia strada; augurarmi di incontrare persone con le quali si possano creare sinergie professionali per realizzare progetti in proprio senza divismi, invidie e sterili polemiche ma proattivamente e collettivamente.

Ha da poco terminato il suo ultimo spettacolo. Che sensazioni ha avuto dal pubblico romano? Aspettative ripagate?

Quello che è venuto a vederci sembra, stando ai feedback, abbia apprezzato molto lo spettacolo. Purtroppo ne è venuto poco e quasi nessun addetto ai lavori. Artisticamente sono molto soddisfatto del mio lavoro di regista e di attore. Un’esperienza accrescitiva e positiva al confronto con un grande autore ed un testo importante.

I cinema, le monosale in particolare, continuano a chiudere. I teatri arrancano. Se dovesse dire la sua in una sola frase con che genere di epigrafe concluderebbe questo incontro?

“Stendiamo un velo pietoso”…

 

 

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