Se sei reduce da un tormentone estivo, l’unico con cui vieni identificata dal pubblico, la tentazione di ripeterlo è più forte di ogni cosa. “Per esempio a me piace la musica, stare nuda e nessuno che giudica” è una partenza che vorrebbe creare attenzione. Il tentativo riesce a metà, con un brano che ripete in modo ossessivo il titolo cercando di coprire il poco che resta sotto, un po’ come quando al ristorante abbondi di parmigiano in un piatto cucinato male.
Francesco Gabbani – Viva la vita
La canzone festivaliera deve essere orecchiabile, con un ritornello che resta al primo ascolto. In questo Gabbani preferisce giocare sul sicuro e confeziona un brano che non sorprende, ma offre la sensazione piacevole di una passeggiata primaverile. Onesta, ci aspettiamo buoni ritorni dal voto popolare.
Rkomi – Il ritmo delle cose
L’inizio con le vocali aperte non giova a chi ha superato i quaranta. Tutto il resto sembra già sentito ma, si sa, conta poco. Lo risentiremo in radio.
Irama – Lentamente
Mise da generale napoleonico per un artista giovane ma che ha sempre raccolto molto dal Festival. Canzone godibile, da Grignani anni ’90.
Coma_Cose – Cuoricini
Due che la sanno lunga e che sul tema tormentoni possono tenere lezioni universitarie. In versione Ricchi e Poveri 2.0 si candidano ad essere i Colapesce e Dimartino di questa edizione, ovvero quelli che cercano di raccontare la realtà utilizzando la leggerezza musicale. Siamo sicuri che il brano – che non parla d’amore ma piuttosto della solitudine generata dai social, da qui i cuoricini del titolo – farà faville anche dopo S. Valentino.
Simone Cristicchi – Quando sarai piccola
Parlare di malattia non è facile, e pensiamo che non lo sia affatto quando si parla della malattia di un proprio caro. Cristicchi è bravo, il testo della canzone lascia il segno, ma forse su musica e interpretazione ci aspettavamo qualcosa di più.
Marcella Bella – Pelle diamante
Più femme fatale oggi che cinquant’anni fa, quando giocava con un coniglio dal muso nero. Le montagne non sono più verdi, ma lei torna in auge per la gioia di un pubblico che non l’ha mai dimenticata. Dimenticabilissima invece la canzone che la vede anche tra gli autori: evidentemente in famiglia la vena compositiva resta saldamente in mano a Gianni.
Achille Lauro – Incoscienti giovani
Il trasformista per eccellenza della musica italiana, secondo solo a Jovanotti, ci riprova e lancia un brano che si fa ascoltare sin da subito e si candida seriamente alla vittoria finale. Testo banalotto e a tratti melenso (che significa “Se non ti amo fallo tu per me“? E poi “Ti chiamerò da un autogrill” nell’epoca dei telefonini? Mah…), ritornello che acchiappa. Continueremo a sentirlo in giro, ahimè.
Giorgia – La cura per me
Ecco chi a buon diritto può permettersi di cantare persino l’elenco telefonico. Voce immensa, che negli anni a tratti sembra addirittura migliorata. Brano che non è un capolavoro, e che risente di mancanze autoriali di cui Giorgia ha sempre sofferto. Peccato. Ma resta una delle cose migliori ascoltate al Festival di quest’anno.
Willie Peyote – Grazie ma no grazie
Pino D’Angiò è vivo e lotta insieme a noi. Brano interessante, una bella iniezione di ritmo e una bella interpretazione.
Rose Villain – Fuorilegge
Piacevole e trascinante. Una conferma per certi aspetti sorprendente. Brava.
Olly – Balorda Nostalgia
Premesso che a vent’anni la nostalgia non dovresti neanche sapere cosa sia, il brano mostra mestiere e si farà riascoltare senza drammi.
Elodie – Dimenticarsi alle sette
Aria da femme fatale per una che – come dimostra l’ultima risposta data a un giornalista su Giorgia Meloni – non le manda mai a dire. Canzone appena sufficiente, che cerca di caricarsi con un’interpretazione che comunque resterà nella memoria di questo Sanremo.
Shablo feat Joshua, Guè e Tormento – La mia parola
Quattro campioni del genere confezionano una piccola jam session che porta sul palco sanremese arie da black music anni 90. Non male.
Massimo Ranieri – Tra le mani un cuore
Un campione della nostra canzone, che quest’anno è tornato sul palco sanremese con un pezzo di Nek e Tiziano Ferro. Brano forse costruito troppo a tavolino, interpretazione teatrale, ma lui resta una garanzia.
Tony Effe – Damme ‘na mano
Come si cambia per non morire. Dopo i tormentoni, Tony Effe punta a creare il personaggio, e per farlo sceglie l’icona della romanità maledetta. Il pezzo infatti è un misto tra “Il padrino”, “Tanto pè cantà” e qualcosa di Califano. Ma non basta scimmiottare per essere.
Serena Brancale – Anema e core
Aria di festa sulla spiaggia in un lido mediterraneo. Si balla, si beve, ci si diverte. Ma come faceva la canzone?