Abbiamo raggiunto gli Elpris per un’intervista e parlando con Frank, il bassista della band, abbiamo scoperto molto di più di questo gruppo giovane ma desideroso di emergere.
Il vostro disco d’esordio è contraddistinto da sonorità innovative e interessanti difficilmente riscontrabili nel panorama musicale odierno. Ascoltando l’album le influenze sembrano essere davvero molte. Quali sono le vostre principali fonti di ispirazione?
In questo disco abbiamo cercato di far confluire tutte le nostre scuole di provenienza. Veniamo da generi e ascolti completamente diversi tra loro tipo il cantautorato, il folk, l’indie rock e chi più ne ha più ne metta. È difficile anche per noi trovare delle influenze comuni.
Il primo singolo estratto, “Siringhe”, si configura in parte come una critica sociale nei confronti del consumismo e della generazione viziata abituata ad avere sempre tutto a portata di mano. Il finale però è tragico ed è metafora di una condizione piuttosto frequente. Il brano nasce da una esperienza personale o è una riflessione su qualcosa che costantemente avviene nella nostra società?
“Siringhe” è più che altro una riflessione. Vediamo sempre di più che le nuove generazioni sono soggette a questo tipo di consumismo: non importa quanto tu sia giovane e quanto possa esserti utile, ma l’ultima super invenzione tecnologica DEVE essere in tuo possesso. “Siringhe” parla soprattutto della mancanza di stimoli che ne viene scaturita dal consumismo stesso. Ovviamente non vogliamo essere bacchettoni e uomini vissuti, però possiamo dire con certezza che quando eravamo più piccoli era molto più difficile che gli stimoli mancassero.
Quello che ci ha particolarmente colpito nell’ascoltare il vostro album è la costante presenza di strumenti classici e poco utilizzati in generale, come il violino e l’organetto che a nostro parere danno una marcia in più a ogni singolo brano. Come è nata l’idea di sviluppare le vostre sonorità in questo senso?
L’idea è nata semplicemente da un “Proviamo a vedere cosa succede se…”. Il violino alla fine è uno strumento che è stato utilizzato al di fuori di contesti folk, ma l’organetto no. Così abbiamo voluto fare un tentativo. All’inizio non è stato facile mettere d’accordo questi due strumenti, ma dopo mesi e mesi di lavoro e soprattutto grazie anche ad Andrea Mei, siamo riusciti a sistemare il tutto.
L’album è molto concettuale. L’idea è ben definita e le sonorità decise. Quale è stata la vostra impressione personale quando avete ascoltato il lavoro finito?
Quando ho ascoltato i primi mix delle nostre canzoni mi sono detto “Cazzo! Questo lo abbiamo fatto noi!”. Devo aggiungere che normalmente non sono mai soddisfatto di qualsiasi mio operato, ma al primo ascolto delle canzoni ero totalmente estasiato.
L’album si avvale della collaborazione del produttore Andrea Mei che aveva precedentemente collaborato con gruppi importanti, citiamo per esempio i Nomadi. Come è stato lavorare con un autore e produttore di questo calibro?
Se non ci fosse stato Andrea Mei non saremmo andati da nessuna parte. Prima di tutto è riuscito a mettere ordine dove non c’era nel nostro gruppo: la pre-produzione è stata lunga, ma ha portato ottimi frutti. L’aspetto di Andrea che ho apprezzato di più è stato il suo volere di mantenerci “originali”, ovvero mantenere lo spirito e l’idea iniziali che avevamo per questo progetto. Consideriamo Mei quasi come un nostro papà musicale.
Da dove nasce il nome Elpris?
C’è chi dice che il nome Elpris nasce da leggende dell’entroterra fermano: da Elpidio o da Elprando. Per noi non ha un senso. È venuto fuori così di getto. Tra l’altro ho scoperto recentemente che Elpris significa “Prezzo dell’elettricità” in svedese.
Perché avete scelto proprio un ragazzo con una testa nella boccia come immagine di copertina?
Il ragazzo con la testa nella boccia ha un doppio significato: rappresenta sia un ragazzo alienato, ma anche una persona che cerca rifugio in sé stesso e nei suoi pensieri. In “Siringhe” per esempio la boccia è alienazione: il protagonista aveva a quindici anni “amici sparsi in tutto il mondo” grazie all’uso dei social, i quali ti permettono di esprimere i tuoi pensieri pubblicamente con l’illusione di essere ascoltati e realmente compatiti, cosa che in realtà poi non succede. In “Traparentesi”, il protagonista non riesce a relazionarsi con gli altri, e quindi si rifugia nei suoi pensieri.