Abbiamo intervistato il cantautore – Premio Tenco 2018 – autore di una rivisitazione de “La Voce del padrone”, capolavoro indiscusso dell’artista siciliano

La voce del padrone” di Franco Battiato è il disco perfetto della musica leggera italiana.

Molti musicisti hanno attinto dalle sette gemme che compongono quel diamante, ciascuno a modo suo. Ma le gemme sono rimaste intatte, distanti da qualsiasi forzatura. La perfezione non è migliorabile.

Fabio Cinti, che io considero per molti versi uno dei veri prosecutori delle molteplici e complesse tracce lasciate da Battiato, ha trovato l’unico modo con cui accostarsi alla perfezione, senza farsi da questa travolgere e senza rovinarla. Lui si è accostato, infatti, con l’idea di adattarsi in modo gentile. Infatti, il disco sin dal titolo avverte che si tratta di “un adattamento gentile”.

La perfezione in effetti non ammette riletture troppo distanti, ma solo adattamenti. E gentili, perché accostarsi con arroganza, con la presunzione di poterla migliorare, sia pure sotto le mentite spoglie della rilettura, è un fallimento in partenza.

Quell’album lì è perfetto di per se’. E davanti alla perfezione non si può che accostarsi in modo gentile.

Il concetto chiave di questo adattamento è proprio la gentilezza. Che, poi, è un atteggiamento che dovrebbe riguardare la nostra epoca, così urlata e sguaiata, fatta di odiatori, di complottisti, di persone con la ricetta giusta sempre pronta, di asserzioni assolute, di convinzioni deboli proprio perché granitiche.

E quindi, quartetto d’archi, pianoforte, voce misurata, sensazione generale di leggerezza e sospensione. Come se una nuvola, o un tappeto volante, portassero in giro musicisti e strumenti, a ricordarci cosa è stato quel disco lì nella storia della musica italiana.

Che, poi, casualità vuole (ma nulla, si sa, è mai veramente a caso) che, quasi contemporaneamente all’uscita di questo riadattamento, sia stato pubblicato un libro di Fabio Zuffanti, La voce del padrone, 1945-1982, Nascita ascesa e consacrazione del fenomeno – forse la pubblicazione più bella e completa in materia – i cui meriti maggiori sono dimostrare come quel disco sia il precipitato finale di un cammino che parte da molto lontano. E che non è vero che la carriera di Battiato sia divisa in due tronconi incomunicabili, il periodo sperimentale e quello pop (oltre quello classico, che attraversa gli altri due). L’embrione de La voce del padrone è rintracciabile, in modo sparso, in molti dei dischi precedenti di Battiato, persino in quelli più distanti per filosofia e genere.

L’adattamento di Fabio Cinti ha il merito di andare a fondo della struttura armonica dell’originale. Non rilegge né modifica la partitura, perché la riesegue fedelmente, ma fa emergere, con brillantezza, le armonie. Provate a riascoltare il disco di Battiato, dopo aver ascoltato il riadattamento di Cinti, e vedrete che vi accorgerete di alcuni aspetti che magari erano rimasti finora nascosti. Quel disco lì ha il merito di essere, allo stesso tempo, semplice e complesso. Lì dentro c’è di tutto. Sarebbe bellissimo poter ascoltare tutte le tracce, da sole, ad una ad una, come si fa in studio di registrazione. Ecco, il lavoro di Cinti, essendo incentrato molto sugli aspetti classici, permette questo tipo di ascolto, depurato, diciamo così, dalle tracce elettroniche.

Con altrettanta gentilezza con la quale si è accostato al capolavoro, Fabio Cinti ha risposto ad alcune nostre domande.

La parola chiave di questo tuo omaggio a uno dei più grandi dischi mai pubblicati, come è La voce del padrone, secondo me è “gentile”. Ci vuoi spiegare cosa intendi con questo termine? È possibile, come io credo, che sia una reazione all’avvelenamento rabbioso del clima sociale, che ha portato anche conseguenze nei rapporti personali?

La gentilezza è sempre un antidoto, in ogni contesto e in ogni epoca. Nel mio caso mi è sembrata l’unica soluzione per approcciarmi a un’opera come La voce del padrone e al suo autore: se la meritano. Nessuno sfoggio di personalità, nessuna rilettura soggettiva forzata. Ma soprattutto uno studio, molto appassionato e intenso.

Ti racconto questo aneddoto. Io mi diletto a scrivere canzoni da quando sono ragazzo. Un giorno, dopo un concerto, incontrai Franco Battiato e gli chiesi se potessi fargliele ascoltare. Lui mi rispose, in modo appunto gentile, di sì, e che dovevo solo mandargli un cd scrivendo sulla busta il suo nome e la località Milo (“Là mi conoscono tutti”). Non lo feci mai, un po’ per timidezza perché pensavo di non avere il materiale giusto e mi sa che ho aspettato troppo a lungo. Ed ho questo rimpianto. Un giorno lessi come tu conoscesti Battiato, e ci ho intravisto la stessa timidezza ed imbarazzo, che però hai superato, con i risultati che conosciamo. Ci vuoi raccontare questo incontro?

La primissima volta mi comportai da teenager… Scavalcai le transenne del PalaEur (allora si chiamava così) e incominciai a correre verso di lui, inseguito dagli agenti di sicurezza. Ma fui più veloce, per un pelo, e raggiunsi Franco. Al quale non sapevo esattamente cosa dire, ma avevo con me un cd con dei demo. Glielo diedi balbettando, impietrito. La volta successiva fu più facile avvicinarmi e fu lui a dirmi parole molto incoraggianti, addirittura mi disse che, se avevo voglia, potevo inviargli altro materiale… E così via.

Quale canzone è stata più difficile adattare e quale, invece, più facile e naturale?

Fin dal primo momento ho avuto una grande preoccupazione per Cuccurucucù, perché l’originale è costituita da un’insieme di pulsazioni ritmiche e pochissima trama armonica. Bisognava avere almeno una buona idea, dei musicisti in grado di suonarla e interpretarla (restare nell’ambito della gentilezza e suonare un pezzo pop molto ritmico con gli archi e il pianoforte non è così semplice…) e soprattutto restare fedeli alla scrittura di Battiato. Sono stato fortunato, direi, alla fine… Segnali di vita, invece, è stata la prima che ho affrontato, perché è quella che fin da subito si avvicinava, nella mia testa, alla mia idea di adattamento gentile.

Credi anche tu, come me, che Segnali di vita, sia nella versione originale che nel tuo adattamento, abbia alla lunga qualcosa in più di tutte le altre?

C’è come un qualche segreto dentro, sì. Forse ha già i semi di quello che sarebbe accaduto dopo.

Cosa ha rappresentato per te La voce del padrone?

È la formula del coraggio. Un bambino e un adolescente che cresce anche con quell’opera nelle orecchie sa che si può viaggiare anche al di là dello spazio…

Se avessi potuto aggiungere un altro brano ai 7 del disco, quale, tra quelli di Battiato, pensi possa armonizzarsi bene? E se invece dovessi aggiungere un tuo brano?

La tracklist de La voce del padrone è di una perfezione quasi spaventosa, anche numerica… Il 7 ha molti significati nella storia della numerologia e dell’esoterismo (che come sappiamo sono cari a Battiato): la Creazione, la Piramide, l’equilibrio tra gli elementi terrestri (4) e la divinità (3), sia Pitagora che Platone avevano in gran considerazione il numero 7, per uno rappresentava la perfezione, per l’altro l’anima mundi. Per gli egiziani era il numero della vita; 7 sono i livelli del saggio, i Chakra… e potrei andare avanti per molto. Ecco, quindi non andrei a scomodare queste forze per aggiungere qualcos’altro… men che meno di mio!

A me, quando ascolto la tua canzone Canto alla durata, viene subito in mente, non perché ci assomigli, Le aquile, di Battiato. C’è qualche connessione tra i due brani o è solo una mia strana associazione che neanche io so spiegarmi bene?

A dirti la verità no, non c’è nessuna connessione, né lirica né musicale! E mi piacerebbe capire quale è l’associazione che secondo te le lega! Il mio testo rimanda a un’opera di Peter Handke, quello di Battiato e di Fleur Jaeggy… Chissà se tra loro c’è una relazione. Indago.

L’esecuzione dal vivo del tuo adattamento lo rende persino più spirituale e raccolto, da una parte, e, dall’altra, misuratamente divertito. La sensazione è che tu viva questa esecuzione con una responsabilità maggiore rispetto all’esecuzione dei tuoi brani. È così?

Assolutamente sì. Diciamo che ci sono delle responsabilità in più: non posso permettermi di portare in giro quest’opera senza rispettarla o trovando un modo di spettacolarizzarla eccessivamente, sarebbe scorretto nei confronti sia dell’autore che dei fan (di Battiato). Le mie canzoni, invece, essendo mie, possono anche essere suscettibili dei miei cambiamenti umorali e risentirne. La voce del padrone no, deve essere un’esecuzione quasi rituale.

Ma tu il tuo centro di gravità permanente, avendo l’occasione di evocarlo cantandolo, lo hai trovato?

Ci provo da vent’anni, fallendo sempre miseramente.

Ci vuoi dire cosa hai in serbo per i prossimi tempi?

Ho delle idee molto caotiche che però ogni tanto prendono delle forme precise, per un attimo. Ho intrapreso un percorso la cui unica direzione e davanti a me, non ci sono né scorciatoie, né direzioni diverse. Anzitutto ho un po’ di date in giro per suonare questo adattamento, e non vedo l’ora.

Ehi, a proposito di una tua canzone di successo, Dicono di noi… Ma se tu vedessi un bambino portato dallo psichiatra perché omosessuale ti daresti pizzicotti dicendoti “non è possibile, è solo un incubo” o urleresti forte “rubriche aperte sui peli del papa”?

Le società degli esseri umani, nel mondo, stanno subendo delle modificazioni che sono il risultato della mancanza di studio e attenzione, di dedizione e empatia sia nei confronti dell’altro che della natura. Dovrebbe essere un processo naturale, di crescita, ma invece andiamo verso il basso. Le forme di comunicazione sociale, la velocità degli scambi, la percezione del divertimento e del godimento immediato, hanno modificato pesantemente i valori. In molti casi mi sembra che la massa abbia perso una buona parte della capacità di cognitiva, dell’intelligenza. Mi sembra ci siano più stupidi in giro. Di questo, anzitutto, bisognerebbe parlare, perché è da qui che nascono i problemi. Ed è questo il terreno feritile per i fascismi, le dittature, e tutte le violenze connesse.

In questo articolo si parla di: #Fabio Cinti, #Franco Battiato