Leggere fino a tardi è una bella abitudine, specie se le pagine che si scorrono riflettono un po’ di noi stessi, di ciò che siamo stati e di ciò che continuiamo ad essere, con idee, contraddizioni e speranze, che alimentano giorno dopo giorno i nostri flussi di fiato. Tutto questo, grazie anche alle canzoni, a quella ‘musica leggera che ci fa sognare‘, e che ci regala emozioni senza dimenticare di farci riflettere. Come l’arte di Francesco De Gregori, ragazzo del ’51 che più di ogni altro ha raccontato, attraverso la musica, la storia degli ultimi quarant’anni, inseguendo sempre il filo della coerenza senza rinunciare alla leggerezza di dire cose importanti senza il bisogno di gridarle, ma semplicemente cantandole. Un percorso, quello del Principe, raccontato da Enrico Deregibus in un libro (“Mi puoi leggere fino a tardi“, edito da Giunti) che ripercorre la sua storia artistica anche attraverso le voci di chi lo ha conosciuto, e che dà spazio a oltre mezzo secolo di storia d’Italia. Con Deregibus abbiamo parlato del libro.
“Mi puoi leggere fino a tardi” è una riedizione aggiornata di un tuo volume – “Quello che non so, lo so cantare” – uscito nel 2003. Oltre a voler raccontare gli ultimi dodici anni del Principe, qual è stata la ragione più importante che ti ha portato a realizzare il libro in questo preciso periodo storico?
Dopo l’uscita del primo libro ho iniziato ad accumulare nuovo materiale, testimonianze, vecchie interviste che in parte mi sono arrivate da chi aveva letto quel libro e in parte da ricerche che facevo quando avevo tempo. Mi sembrava uno spreco lasciarle lì ed in più c’erano appunto gli ultimi 12 anni da raccontare. E poi, lo confesso, uno dei motivi è anche il successo commerciale di quel primo libro, che aveva venduto molto per essere un libro musicale. I libri di questo genere di solito sono una nicchia nell’editoria, a meno che non siano biografie autorizzate e promosse dal biografato. Anche questo ha invogliato sia me che la Giunti a rimetterci mano. Riccardo Bertoncelli, che è il direttore della collana, da anni mi chiedeva di lavorarci.
Rileggendo ciò che avevi pubblicato nel 2003, hai sentito la necessità di una revisione del testo? Se sì, dove e perchè?
Qua e là ho rivisto qualcosa nella forma, ma più che altro ho inserito molto contenuto in più, come dicevo. Quasi tutti i capitali hanno subito grandi o piccoli cambiamenti. Le modifiche di forma nascono dal fatto che allora avevo 35 anni e ora ne ho 48, è inevitabile scrivere in modo un po’ diverso. Ho asciugato qualcosa ed ho ravvivato qualcos’altro.
Nel libro sono presenti testimonianze di diversi colleghi di De Gregori, da Antonello Venditti a Fiorella Mannoia. Chi ti ha colpito di più e perchè?
Mah, difficile dirlo. Venditti sicuramente è una miniera, quando gli si chiede di De Gregori è un fiume in piena di ricordi, aneddoti, considerazioni. E poi ricordo con piacere un paio di persone che ora purtroppo non ci sono più. Una è Ennio Melis, il gran capo della Rca, che avevo intervistato all’epoca del primo libro. Parlando con lui ho capito davvero cos’è quello che chiamano carisma. E Lilli Greco, con cui è nato un rapporto non dico di amicizia ma di saltuarie telefonate e incontri. Un gran personaggio, spassoso, intelligente, testardissimo. E provocatore. Mi avrà ripetuto mille volte che De Gregori deve smettere di fare rock e di mettersi le scarpe da ginnastica. Quando penso a lui mi scappa sempre un sorriso.
Il tuo primo libro analizzava i dischi di De Gregori brano per brano, e lo faceva con un rigore quasi chirurgico, senza lesinare commenti non proprio idilliaci, penso per esempio ai commenti sugli arrangiamenti di alcune canzoni. In un prossimo libro su di lui ti occuperai solo dei brani. Ci saranno sempre queste considerazioni? Non hai mai avuto paura di offendere la suscettibilità dell’artista De Gregori?
Sì, ci saranno, è inevitabile che non mi sia piaciuto tutto quello che ha fatto. Sarebbe preoccupante il contrario! In quanto a De Gregori, in realtà da quel che so apprezza le critiche nel merito delle canzoni o degli arrangiamenti, al di là del fatto che le condivida o meno. Altro discorso sono le critiche sul fatto che alcune sono canzoni sono di difficile interpretazione o sulla sua abitudine e necessità di cambiare i brani in concerto. In quanto a me, devo dire però che la parte critica dei miei libri su di lui è quella che mi interessa meno, sono semplicemente opinioni che offro al lettore perché le confronti con le sue. Non mi ergo certo a giudice. E mi preme molto di più dare informazioni, dichiarazioni, raccontare episodi e cose che si sanno poco, in modo che ognuno si faccia una sua opinione.
“Mi puoi leggere fino a tardi” non è soltanto una biografia, in quanto oltre a raccontare di Francesco De Gregori offre uno spaccato del Paese, attraverso fatti di cronaca e di costume. Si parla della bomba alla stazione di Bologna, ma anche del ‘Ballo del Qua Qua’ e di Tangentopoli. Possiamo dire che De Gregori sia un artista figlio del suo tempo, e che lo sia sempre stato? O lo è stato di più in alcuni decenni piuttosto che in altri?
Sicuramente lo è sempre stato, anche se quasi mai è corso dietro alla cronaca. Anche oggi, quando non scrive quasi mai di temi sociali o politici, credo che rappresenti in qualche modo quel che abbiamo attorno. O dentro. Ma credo sia inevitabile nei grandi artisti.
Se fossi Ministro dell’Istruzione, come utilizzeresti i testi di Francesco De Gregori? Potrebbero trovare posto in un libro di poesie per la scuola?
Be’, in alcuni libri ci sono già. Da una parte mi fa piacere perché la canzone è cultura come le altre arti. Ma dall’altra credo che inserire i testi senza la musica sia amputare le canzoni. Io penso che alcuni testi siano bellissimi anche senza musica, ma non sono la canzone. Sono solo una parte. Ed a volte senza musica sono pure fuorvianti. Senza contare poi che ci sono belle canzoni che senza musica son pure brutte. È come se in un corso sul cinema si facessero leggere le sceneggiature e non si facessero vedere i film. A scuola bisognerebbe far ascoltare le canzoni e far leggere i testi solo dopo.
Sei stato il curatore del progetto “La leva cantautorale degli anni zero“. Che differenza vedi tra i cantautori di oggi e il De Gregori degli inizi? C’è un erede del Principe oggi?
Bisognerebbe intendersi sul significato di erede. Comunque, parlando in generale, credo che anche oggi ci siano cose molto interessanti, da Vasco Brondi a Brunori, da Zibba a Dente. Sono ovviamente diversi da De Gregori, ma ognuno è figlio del suo tempo, anche se in diversi di loro sento anche lo zampino di De Gregori. Lui ha iniziato ascoltando una certa musica americana e la canzone popolare italiana. I nuovi hanno evidentemente altri riferimenti, altre influenze. Ed è uno degli aspetti che mi piace di più di loro: anche grazie a quello possono portare un nuovo modo di fare canzone d’autore. E credo che ce ne fosse molto, molto bisogno. Altrimenti restiamo fermi a certi moduli, certi schemi. Mentre a me interessa capire come racconta se stesso e il mondo chi adesso ha 20-30 anni.
Guardando a suoi illustri colleghi come Ivano Fossati e Francesco Guccini che hanno scelto di abbandonare la produzione discografica, pensi che De Gregori possa fare la stessa scelta? Io credo di no, pensando solo a come – oggi forse più di ieri – si diverte sul palco… E tu come la vedi?
La penso come te, basta appunto vederlo sul palco. E poi devo dire che secondo me l’ultimo suo disco di inediti, “Sulla strada”, è uno dei suoi dischi più belli in assoluto. Se fosse uscito in un altro momento storico sarebbe un classico. Mi emoziona molto ascoltarlo. Questo, almeno per me, significa che ha ancora molto da dare e da dire.
Raccontare di se stessi non deve essere facile. Non credo che lo sia farsi raccontare dagli altri. Come ha accolto De Gregori i tuoi libri?
Sul primo ha detto cose molto belle in un paio di interviste e soprattutto in una telefonata che mi aveva fatto. Anche ora mi ha chiamato per complimentarsi e in un’intervista ha avuto belle parole. Gli avevo chiesto anche stavolta se voleva almeno vedere le bozze ma ha rifiutato molto gentilmente. Mi ha detto – e l’ho apprezzato molto – che non se la sente di intervenire sul lavoro altrui.
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…