Torna in libreria per i tipi Bompiani la presceneggiatura dello scrittore statunitense del film diretto da Elia Kazan sul guerrigliero messicano

Se non lo si possiede, il carisma non può essere inventato né simulato. Di carisma ne aveva da vendere Emiliano Zapata, che raccolse le grida dei poveri indigeni senza terra nel Messico dei primi anni del Novecento, dando il via a una stagione di lotta, meravigliosamente ribelle e meravigliosamente idealista, attraverso cui ai peones restituì sicuramente la dignità della quale erano stati privati da una terra d’origine matrigna e distante, che fino a quel momento li aveva sempre considerati pochissima cosa.
Le personalità forti, si sa, si attraggono. Era inevitabile, perciò, che John Steinbeck fosse attratto da Emiliano Zapata. Più delle gesta del Caudillo del Sud, però, a interessare lo scrittore americano, che sarebbe stato insignito del Nobel per la Letteratura nel 1962, erano le vicende messicane, e soprattutto quella che Budd Schulberg definisce “la preoccupazione per i perdenti”, non secondo un paternalismo di facciata, quanto piuttosto per incarnare un’attenzione reale e sincera per un mondo, quello dei poveri e dei diseredati, verso il quale aveva già rivolto lo sguardo nelle espressioni più alte della propria produzione letteraria. Un titolo su tutti, Furore, saga di perdenti perennemente in lotta con il proprio destino avverso, che gli era valso il Premio Pulitzer nel 1940.

Viva Zapata! rappresenta la destinazione finale di un percorso fitto di stimoli e suggestioni sull’idea di realizzare un film nel quale raccontare le vicende dell’eroico protagonista della rivoluzione messicana contro i soprusi del dittatore Porfirio Diaz. Una presceneggiatura, nella quale, partendo da un contesto storico e sociologico insieme, far convergere idee per quello che sarebbe stato il film del 1952 diretto da Elia Kazan con le interpretazioni leggendarie di Marlon Brando e Anthony Quinn. Dopo una prima pubblicazione datata 1975, postuma quindi rispetto alla morte di Steinbeck avvenuta nel 1968, il volume torna in libreria per i tipi Bompiani in un’edizione curata da Luigi Sampietro che porta la traduzione di Massimo Bocchiola. Il volume che oggi abbiamo il piacere di rileggere, dopo quasi mezzo secolo dal suo debutto in libreria e dopo circa settant’anni dalla sua elaborazione, si divide in due parti: una prima parte contenente una accurata ricostruzione storica in cui trova posto un’analisi della società messicana di inizio Novecento, e una seconda interamente dedicata a ospitare un abbozzo di sceneggiatura.

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Scorrendo tra le pagine, si riassapora intatta la potenza e la qualità di un autore la cui integrità artistica non è mai stata messa in discussione. Non solo. In un lavoro di ricerca certosina, scorgiamo aspetti che rendono omaggio alla penna di Steinbeck con spunti da acuto sociologo. Cinematograficamente parlando, possiamo apprezzare la profondità di un osservatore quantomai attento, capace di vedere con occhi da sceneggiatore e progettare già il film che aveva in mente. Non mancano piccole chicche pronte a soddisfare anche il lettore più curioso. Tra esse, alcuni suggerimenti, peraltro non raccolti dal regista, che Steinbeck diede a Kazan sul luogo nel quale girare il film e sulla scelta dell’attore protagonista. Mentre lo scrittore aveva consigliato di realizzare le riprese nello stato di Morelos e di scritturare l’attore messicano Pedro Armendáriz, quarantenne famoso in terra natia ma semisconosciuto altrove, Kazan preferì girare a Roma, città del Texas situata lungo il Rio Grande, al confine tra Messico e Usa, e confermare come protagonista un ventottenne Marlon Brando, che già aveva diretto come esordiente in Un tram chiamato desiderio, film che ne aveva consacrato la grandezza nei panni di un indimenticabile Stanley Kowalski, per la cui interpretazione Brando era stato candidato agli Oscar.

In conclusione, nonostante gli inevitabili anacronismi che possono portare fuori strada il lettore solo se superficiale e distratto, Viva Zapata! restituisce intatto quello spirito populista da cui è animata, pur nel pieno sperimentalismo che la contraddistingue, l’intera produzione steinbeckiana. Un excursus letterario attraversato da quel “naturalismo soprannaturale”, per dirla alla Thomas Carlyle, che ha saputo essere, nel linguaggio, vicino e comprensibile per tutti.

John Steinbeck, VIVA ZAPATA!, 256 pagine, Bompiani, 2021.

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...

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