La vita affascinante di Misia Sert rivive in un allestimento scenico ricco di suggestioni al Teatro India di RomaUn caleidoscopio gioco luminoso invade il centro del palcoscenico. Sprofondante nella colorata stoffa di un gigantesco divano, una figura femminile vestita di verde, siede composta e immobile come una bambola di ceramica. Neanche il tempo di prendere posto a nostra volta, che già ne udiamo il bisbiglio ininterrotto, farfugli di parole indistinguibili. La porta d’ingresso sbatte, ed ecco che la voce si alza, il desiderio di raccontarsi esplode.
È difficile capire chi sia stata realmente Misia, indagare la donna dietro l’immagine. “Io sono Misia” per la regia di Francesco Zecca, liberamente tratto dalle memorie di Misia Sert, musa ispiratrice di alcune delle personalità artistiche più in vista della Belle Époque parigina, cerca la donna dietro l’ispirazione, l’identità dietro l’icona. Filtrata di volta in volta dalla penna o dal pennello di mani diverse, rubata da artisti e poeti (spesso amanti) al suo tempo, Misia è diventata un immagine celata, eternamente presente nelle pagine e sulla tela, eppure sempre sfuggente. Dalla musica alla pittura, da Stravinsky a Picasso, dal balletto alla scrittura, Misia incanta. Nel ritratto al femminile, a tratti svelto a tratti cauto, che lo spettacolo ne dà, “l’Ape regina dei geni” cerca di ritrovarsi per recuperare un’unità dissuasa in brandelli di uno specchio scomposto. Interpretata da Lucrezia Lante della Rovere su testo inedito di Vittorio Cielo, la donna si mette a nudo, svelandosi attraverso memorie personali: la gelida infanzia russa, il desiderio di calore, il trasferimento parigino, la scoperta della bellezza e dell’arte.
Tradimento, passione, tormento sono le forze che ne animano l’esistenza. L’abbandono paterno l’amicizia con la maga della moda Coco Chanel, l’amore tormentato con il caliente Pablo Ruiz. Misia si definisce attraverso le sue relazioni, identità prigioniera, ape regina condannata alla solitudine. Un intenso monologo sul ruolo consolatorio dell’arte ai dolori della vita che nulla può nei confronti dell’inesorabile scorrere del tempo (non a caso Proust fece di Misia la Principessa Yurbeletiev del suo capolavoro). Eppure, intrappolata nella pregiata stoffa del suo divano, come nel ritratto che ne fece l’amico Renoir, prigioniera della “tavolozza” di luci, che di volta in volta ne confondono i tratti, Misia ha ingannato, grazie alla sua bellezza, anche il tempo. La luce, curata da Pasquale Mari, è l’essenza della messa in scena, la componente che più di tutte rivela sapientemente l’idea dell’esistenza frammentaria della protagonista.
“Io sono Misia” sarà in scena al Teatro India di Roma fino al 13 marzo.