Emozioni nelle corde più profonde per la rappresentazione andata in scena al teatro di Documenti a Testaccio.

Gli occhi di Ortensia Sayre Macioci brillano, non riescono a trattenere l’emozione nella cornice unica del Teatro di Documenti a Roma nel quartiere Testaccio. Lo spazio non tradizionale, nato dalla visione di Luciano Damiani (1923-2007) di creare un teatro “democratico e popolare”, che annulla la divisione tra palco e platea, tra attori e spettatori, appare ideale per la natura performativa del “teatro celebrativo”, nella definizione della stessa autrice.

Classe 1997, Ortensia Sayre Macioci, attraverso quello che sembra un rito oracolare, costellato di effetti sonori e silenzi – unico elemento di scena una natura morta di emblematici melograni – trasporta lo spettatore in una dimensione atemporale, in un percorso intimo, personale ma al contempo collettivo, di riflessione e comunione.

Il pubblico è invitato a entrare a scena aperta: le due attrici, Ortensia Sayre Macioci e Giulia Quintigliani, sono al centro dello spazio, in piedi, di spalle, colori complementari, si tengono le mani, gli occhi chiusi; la voce fuori campo di Viola Graziosi dà inizio alla performance, strutturata in tre atti. Il primo è quello di Antigone, a cui dà voce e corpo Giulia Quintigliani, una giovane donna che grida al mondo la sua fame di vita e giustizia; nel secondo, dedicato a Giovanna d’Arco, le due attrici vestono lunghi mantelli incappucciati e, come sacerdotesse, corrono a sussurrare parole segrete alle orecchie del pubblico; chiude l’atto su Maria Maddalena, il più convincente, in cui il monologo di Macioci arriva a toccare corde più profonde.

I tre testi – racconta l’autrice dopo lo spettacolo – Antigone (Anti-gone), Giovanna d’Arco (Santa Jo), Maria Maddalena (Myriam in Magdal), sono nati in tre momenti diversi della mia vita; ho incontrato queste donne in momenti differenti, ognuna mi ha accompagnata per un po’, hanno avuto il loro tempo e poi si sono allontanate, a volte tornate, a volte rimaste presenti, un po’ in lontananza. Da questi tre archetipi è nata una trinità femminile (il titolo riprende ovviamente ‘Padre, Figlio e Spirito Santo’): la Madre è Maria Maddalena, la Figlia è Antigone e lo Spirito è Giovanna d’Arco. Sono tre testi che sono messi a livello scenico in un’altra sequenza, perché c’è prima Antigone, poi Giovanna d’Arco e Maria Maddalena, perché è una salita, dalla terra, dal piano orizzontale, si passa attraverso il vento, la verticalità, e lo spirito di Giovanna d’Arco, per poi arrivare ai piani superiori di Maria Maddalena. A livello scenico è, quindi, una salita. Mi piace dire che quello che porto in scena sia celebrativo, nel senso che siano degli atti che si fanno attraverso l’arte; è questo che dovrebbe fare un artista: non solamente dire al mondo cose, riportarle in luce, ma far sì che anche solo il fatto di dirle metta dei piccoli semi nelle persone e poi la terra fa il suo, come dice Maria Maddalena – ‘terra seminandoti solo tu sai cosa ti succede lì sotto’ – perché nel tempo che passa dal momento in cui il seme viene messo sotto terra, al momento in cui spunta il germoglio, nessuno sa che cosa succede. La voglia è che sia una danza del maschile con il femminile; è chiaro che c’è tanto di femminile: sono tre archetipi femminili, ma perché sono arrivati a me, ma la voglia è che sia sempre una danza tra il maschile e il femminile. In questo momento c’è molta confusione, molta difficoltà nel capire, c’è tanta rabbia e io credo che gli archetipi del maschile e del femminile siano dei principi primi che non possano essere dimenticati; la chiave è nella danza e nell’amore tra gli opposti, non nel puntare il dito, e quindi per questo celebrazione, teatro celebrativo, per questo atto.”

MADRE, FIGLIA E SPIRITO di Ortensia Sayre Macioci, con Ortensia Sayre Macioci, Giulia Quintigliani.

 

 

Di Stefano Di Zazzo

Si occupa di arte, architettura, cinema d'autore, teatro e ricerca.