In programma su Netflix il documentario del regista tedesco sulla mitica danzatrice della leggendaria compagnia Tanztheater Wuppertal

Fragilità e forza come paradossi simmetrici alla base del rapporto con la danza. Questo era l’insegnamento che Pina Bausch voleva trasmettere ai suoi danzattori, ai ballerini dei quali si era diligentemente circondata per creare il Tanztheather.

Wim Wenders ne celebra la figura con un documentario etereo, i cui toni prendono tinte che variano a metà tra i colori degli allestimenti teatrali e quelli delle strade di Berlino. La compagnia balla ricordando la sua fondatrice – rivivendo piccoli spaccati di quotidianità, di un vissuto fatto tra assi di legno, quinte e camerini, una moltitudine di universi paralleli ospitati dal palcoscenico. Quello che ne emerge è un ritratto d’artista tratteggiato da silenzi emozionanti, da sguardi carichi e commossi, da lingue diverse unite sotto un unico segno artistico scandito dal movimento del corpo.

Pina Bausch, eccezionale coreografa che vede l’apice della sua carriera a cavallo degli anni ’80, si rifà nei suoi insegnamenti alle correnti di teatro contemporaneo di quel tempo. Così come il belga Odin Teatret viene influenzato da Grotowski e Barba, impegnati nel superamento dell’attore inteso nel senso più classico del termine, il Tanztheather non si ferma alla danza canonica: ma piuttosto a una danza introspettiva, che richiede un viaggio dentro se stessi, una ricerca artistica che affonda le radici nella personalità e nelle necessità di ognuno dei componenti della compagnia. Danzare con una motivazione; ecco l’essenziale. Lasciare che la ricerca faccia emergere un’espressione da un bisogno, e che quella arrivi diretta allo spettatore. Il ballerino non è dunque legato tanto alla canonicità dei movimenti, quanto alle proprie emozioni, a ciò che vive dentro di sé. Ed è in questo senso che si direziona ogni singola intervista proposta dal documentario Pina.

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Misteriosa, insondabile, carismatica. Di poche parole ma dalla personalità incisiva. Trasparente, velata, eterea eppure carica della forza necessaria a prendersi la responsabilità di una compagnia, il carico di insegnare il proprio sapere – la propria deduzione. Ciò che emerge è questo: un ritratto di donna dedita a una missione appassionata e a una ricerca continua. Fatto di lunghi silenzi e accompagnato da scenografie, musiche e costumi suggestivi, Pina è il documentario ideale per approcciarsi a questo mondo e questa personalità misteriosa. Guidato dalla sapiente mano di un regista come Wenders – nostalgico e malinconico come da prassi, con quella dolcezza così affilata che ti spezza il cuore tipicamente sua – lascia addosso la sensazione che chiunque possa ballare, purché ami farlo.

E lascia, anche, quel senso di stupore che si prova di fronte a certi rari casi di bellezza che nella vita capita raramente di trovare: quella di un’artista a tutto tondo, dedita all’arte al punto tale da poter dire ‘danzo, quindi esisto’.

PINA (Wim Wenders) – Il trailer

Di Arianna Zoccolini

Romana d'adozione, coltiva da sempre velleità artistiche; ed è personalmente convinta che uno scrittore che si rispetti debba avere almeno un gatto.