Max Gazzè, Carmen Consoli e Dario Brunori le piacevoli novità di quest’anno della kermesse musicale ideata da Francesco Magnelli con Ginevra Di Marco

E niente, quando vedo quei 5 lì sul palco, insieme, mi prende una cosa tipo viaggio nel tempo con bussola impazzita. Parlo di Ginevra Di Marco, Giorgio Canali, Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo, Massimo Zamboni. Poi, se, come nel caso di Stazioni Lunari, si aggiungono pure calibri del tipo di Max Gazzè, Carmen Consoli e Dario Brunori, la ricetta diventa proprio interessante ed esplosiva.
Stazioni Lunari, che si è tenuto a Roma il 12 luglio e a Milano il 21 luglio, è una iniziativa, un concerto, che ogni anno, da un po’ di anni, Francesco Magnelli organizza. Ed è stato innanzitutto un atto d’amore. Verso il suo pubblico – guarda quest’anno che t’ha proposto! – e verso sua moglie Ginevra, la più bella voce italiana, da valorizzare e far conoscere il più possibile. Quest’anno Ginevra Di Marco è stata una discreta padrona di casa, insieme a Magnelli, del palco dove sono saliti i nomi prima citati, insieme all’ottimo “cordista” Andreino Salvadori – presente in ogni brano, ma quanto è bravo?? – e all’altrettanto ottimo batterista Max Del Testa. Il concerto si fa tutti insieme, a più voci, non è a set separati, non avrebbe senso perché questo evento qui è stato soprattutto una festa, una riunione tra amici, sul e sotto il palco. E il divertimento e il clima molto rilassato che scorre è palpabile. E, per chi è lì perché da anni, da decenni, non smette di dirsi “chi c’è c’è, chi non c’è non c’è, così vanno le cose, così devono andare”, scatta questa bussola impazzita. A me è sembrato fosse arrivata una astronave del tempo, che mi ha prelevato, e mi ha catapultato al primo concerto dei C.S.I. a cui ho assistito, ricordo a Roma, era appena uscito quel capolavoro dirimente che è Ko de Mondo. Roba da non crederci. Era musica antica e nuovissima al tempo stesso. Una visione diversa, ti dava veramente altri occhi con cui guardare il mondo, le cose, se stessi. Eccotelo lì fornito, questo nuovo sguardo, sotto forma di poesia lancinante – l’unico autore di canzoni per il quale si può con cognizione di causa parlare di poesia è proprio Giovanni Lindo Ferretti – e di musiche compatte e tridimensionali. A quel concerto ne seguirono altri, io li seguivo come uno che aveva scoperto questi nuovi occhi e doveva andarli a vedere e sentire perché non sembrava possibile ci fossero. E, insomma, era come andare a scuola di apertura: sentire i C.S.I. significava aprirsi a una nuova dimensione. Per questo, anche se sembra non c’entrare nulla come definizione, la loro musica mi piace chiamarla tridimensionale. Poi, ognuno ha fatto da sé – Maroccolo con due dischi e una recente tournée strepitosi, Zamboni con dischi intimi e coerenti, e bei concerti in giro, Magnelli a supportare la Di Marco, Canali a fare il rocker in giro – oppure riunendosi in varie forme, sia sul palco che su disco, come post-C.S.I..

Ed eccoli lì, insomma, gli ex C.S.I., tranne l’ormai autoesclusosi Giovanni Lindo Ferretti, sul palco delle Stazioni Lunari, a ricordarci quello che sono stati e quello che sono, insieme ad artisti un po’ più giovani e che hanno preso molto o, se non molto, comunque qualcosa da loro (del resto, tra i musicisti seri, chi non ha preso dai C.S.I.?). Il clima, dicevo, è rilassato – ricordo invece una tensione sotto traccia su molti palchi dei C.S.I., probabilmente data dall’alchimìa tra i componenti, che, prendendo a prestito le parole di Fossati, sono “per niente facili”, tensione che poi per miracolo si scioglieva e trasformava in una energia fortissima.Qui l’energia c’è lo stesso ma è veramente di stampo diverso, è più gioiosa.Il concerto è stato bellissimo, in entrambe le date. Ognuno ha suonato i propri pezzi, insieme agli altri, e quasi sempre i pezzi più famosi, con il sorprendente e divertente recupero di “Oh, battagliero” cantata da uno Zamboni che sembra aver superato gli imbarazzi iniziali del dover cantare, lui che prima non cantava mai. Gazzé è in uno stato di grazia, ormai va come un treno. La Consoli si è inserita bene, magari più timidamente, senza osare molto: lei, che è una brava chitarrista, poteva portarsela dietro un’elettrica e duettare con la chitarra grattugiata e quella melodiosa del duo Canali-Zamboni che aveva alla sua sinistra. Ma la vera sorpresa è stato Dario Brunori, che già avevo visto molto ben inserito nel gruppo al concerto celebrativo di “Epica Etica Etnica Pathos”. Ecco, se si deve pensare a una futura collaborazione tra gli ex C.S.I. e qualcun altro esterno, un po’ come si è fatto con Angela Baraldi, non mi spiacerebbe pensare a un qualcosa proprio con Brunori. Che su “Io sto bene” ha cantato proprio bene – benché sia un brano non proprio fatto per le sue corde – e che, al di là della resa, ho visto proprio bene inserito, come se avesse indossato alla perfezione quello sguardo diverso di cui scrivevo prima. Non è stata una sorpresa, invece, Ginevra Di Marco, perché conosce bene i suoi compagni d’avventura e perché bravissima era e bravissima è rimasta, anzi di più. La sua voce è la migliore di quelle femminili italiane. Io questa cosa non mi stancherò mai di dirla. E non solo perché è oggettivamente bella e di una chiarezza cristallina. Ma perché emoziona, trasmette tanto, prendendo da una gamma molto alta e variegata di emozioni, dalla rabbia alla dolcezza, lei sa come si fa, te le porta lì, con garbo, mai con eccesso, e senza nessun fastidioso e inutile ghirigori gorgheggiante.Il punto più alto è stato sentirla cantare, verso la fine, una “Montesole”, canzone del periodo P.G.R., sfrondata di ogni arpello, con la chitarra e il piano elettrico molto discreti. Bastava la sua voce, su quel testo, poi, che è uno dei più belli mai scritti da Ferretti, a far venire i brividi.
Confesso di aver diffuso lacrime a profusione e di non essere riuscito a mascherarle, come di solito riesco a fare in casi del genere, perché imbarazzato, con finti starnuti o una finta tosse o un finto raffreddore improvviso. Era tanto, forse troppo, e non si poteva fermare. Quella voce lì, su quella canzone lì, è uno dei punti più alti che la musica italiana abbia mai toccato. Non esagero. E’ un gioiello, forse troppo nascosto o, chissà, forse è bene rimanga tale. Come la voce di Ginevra. E ora? Nulla sarà come prima, pare, non ci saranno riunioni, se non in queste forme episodiche. Ma, per citare Maroccolo-Rocchi, nulla è andato perso. Ci basta? No, non ci basta. Ve lo diciamo. Non ci basta sapere che ci siete stati, che in forme come quelle delle Stazioni Lunari, forse, molto forse, ci sarete ancora. Parlo da fan, lo so. Ma anche da uno che con voi è cresciuto, e grazie a voi è cresciuto in un certo modo. Noi quello sguardo non lo vogliamo perdere. Vi seguiamo, e vi continuerò, continueremo, a seguire, anche da soli. Ma insieme fate una alchimia strepitosa, veramente roba da far volare. Insomma, e che cavolo, ci avete fatto crescere, ci avete fatto ragionare, emozionare, andare oltre le nostre abitudini musicali e di pensiero, ci avete indicato vie che non conoscevamo, perché proprio non c’erano.Tutto può anche fermarsi qui, e nulla sarebbe andato perso, e in tal caso non posso, non possiamo, che ringraziarvi. Ma non ci basta.

Ci avete visto, ci vedete, come accorriamo, ogni volta che vi proponete. Ci può mai bastare? Le storie d’amore possono finire, i matrimoni pure.La storia con voi “non è ancora finita” né finirà mai, perché storia sincera di vita. Nulla è stato precostruito, falso, nulla ha mai suonato come eccessivo o fuori luogo o plastificato. Quando la plastica, anzi, ha cercato di avvicinarsi a voi, l’avete saputa ricacciare, anche a costo di sciogliervi per poi rinascere in una forma ancora diversa. Ho, abbiamo, vissuto anche quel periodo, da primi in classifica, nei palasport, al gelo di un concerto all’aperto, a primavera non ancora iniziata, ricordo a Cosenza, come P.G.R., con le sonorità di Zazou. E pure quel passaggio è stato bello. Però non ci basta. Lo so che lo sapete. Ma, insomma, sappiatelo ancora di più. Perché, poi, in fondo, in viaggio non si finisce mai di essere.(e qui dovrebbero attaccare le due note iniziali della canzone…)

Docente Luiss, dirigente pubblico, musicista, cantautore, videonarratore. Insomma, raccontatore di cose ed emozioni, con parole, musica e immagini.