In scena al Teatro dell’Orologio di Roma la piéce di Isabella Caserta e Francesco Laruffa tratta dal lavoro dello psichiatra Vittorino Andreoli

NoteVerticali.it_LaBambolaELaPutana_ph Manuela Giusto_1Un grande pacco rosso infiocchettato e adagiato su un divano. Questo l’oggetto che attira l’occhio dello spettatore sulla scena. A svelarci il mistero del contenuto ci pensa uno strano protagonista maschile. Sotto l’impermeabile, il corpo e la voce di Francesco Laruffa, che da vita a un personaggio affetto dalla sindrome del quotidiano. L’uomo comune svirilizzato scarta il dono che ha fatto a se stesso, una bambola dal corpo di donna, una fedele compagnia pronta a farsi oggetto delle sue pulsioni più recondite. In un dialogo a voce singola, l’uomo ci rende partecipi della sua pallida esistenza, fatta di un lavoro d’ufficio, un matrimonio fallito e una frustrazione sessuale dettata da una solitudine che lo attanaglia fino alla nevrosi. Il legame è dunque necessario, “senza un legame l’esistenza è morte inconsapevole”. Ma la donna in carne e ossa non può essere posseduta appieno, dunque la si mercifica, rendendola oggetto inerme. Lo spazio della sala si fa subito cupo, claustrofobico, ossessivo, la camera bunker delle pulsioni umane di un essere in crisi, accentuato dalla ripetizione a loop del motivo sonoro sempre presente. Attraverso la bambola, il maschio ha finalmente il pieno controllo sulla controparte femminile, non più un entità da temere, ma oggetto da possedere senza tabù. Ma ecco che subito si inserisce strisciante e invisibile nella mente dell’uomo l’idea del tradimento, che lo devasta fino alla follia omicida.

NoteVerticali.it_LaBambolaELaPutana_ph Manuela Giusto_3Nel secondo atto la bambola prende vita, incarnandosi in una prostituta di nome Ana (Isabella Caserta). L’atmosfera cupa lascia il posto a una più leggera. Tutto ciò che fino a quel momento è rimasto fuori, entra con prepotenza, a cominciare dai rumori della strada di clacson e macchine che sfrecciano. Questa volta, la confessione si fa più ravvicinata e toccante. Ana è una donna rassegnata, con un passato difficile, un futuro già scritto e un mestiere fatto per sopravvivenza. Del suo mondo Ana si sente la regina, una sorta di dea consolatrice delle sofferenze di ogni tipo di uomo. In entrambi i casi l’esperimento drammaturgico della confessione lascia il posto a una discussione struggente sulla solitudine dell’uomo.

Tratto dal lavoro dello psichiatra veronese Vittorino Andreoli, “La bambola e la putana” è un esperimento audace che pone lo spettatore a contatto con l’aspetto più crudo della sessualità. A dar vita allo scenario ci pensano due personaggi in due atti separati, in cui a farla da padrona è il linguaggio senza filtri. In entrambi i casi infatti, a farla da padrona è la parola irriverente e sfacciata, lo strumento principale attraverso il quale i protagonisti ci parlano di loro, l’uno in una sorta di dialogo con se stesso, quasi nascondendosi furtivamente, l’altra in una confessione a cuore aperto. Due monologhi solitari ma congiunti che svelano la doppia faccia dell’oggettificazione del corpo femminile. Sottile l’espediente iniziale in cui lo spettatore è portato quasi a condividere lo stesso desiderio di appropriarsi, seppur solo visivamente, dell’oggetto sotto la carta luccicante. Da una produzione del Teatro Scientifico, realtà teatrale contemporanea audace, ”La bambola e la putana” di Isabella Caserta e Francesco Laruffa, anche splendidi interpreti, sarà ancora in scena al Teatro dell’Orologio di Roma fino al 15 novembre. Un appuntamento da non perdere.

(Le foto sono di Manuela Giusto)