Non l’ennesimo ricordo in fotocopia, ma una ragionata, emozionante e divertente rielaborazione del Battiato prog e sperimentale

Uno dei momenti più interessanti della produzione di Franco Battiato coincide con quel salto temporale all’indietro che troviamo a circa metà di Giubbe Rosse, il suo primo album dal vivo.

Dopo avere scatenato pubblico e gruppo nei successi più o meno recenti, l’atmosfera d’improvviso si fa sottile e suoni lontani e misteriosi introducono gli ascoltatori in un viaggio verso se stessi. Così almeno io ho percepito quei momenti, che ebbi la fortuna di vivere in presa diretta, ero al teatro Sistina di Roma, ed era, se ricordo bene, il mio primo concerto dal vivo di Battiato (il primo di una lunghissima serie, l’ho veramente seguito in tutte le sue peripezie, opere liriche e film compresi).

“Queste vengono da molto lontano” disse Battiato, e iniziò quel trittico composto da Sequenze e frequenze, Aria di Rivoluzione e No U Turn che è il punto forse più alto della sua produzione c.d. sperimentale.

Ora vengo a scoprire, dalle parole di Filippo Destrieri, che quello era solo l’inizio di un percorso che avrebbe dovuto portare Battiato, proprio con l’aiuto del gruppo storico – inevitabile citare anche Giusto Pio, il direttore d’orchestra di allora, nonché coautore con Battiato di moltissimi brani – a rivisitare i suoi brani sperimentali in una chiave più immediatamente fruibile, se non addirittura più pop (sempre nell’accezione in cui si deve intendere questo termine se avvicinato a Battiato).

Destrieri, per i pochissimi che non lo sanno, è il tastierista storico di Battiato, suonò sulle sue canzoni, in studio e dal vivo, per oltre 20 anni, dalla fine degli anni ’70 alla fine degli anni ’90, in un rapporto professionale che è un mistero perché si sia interrotto, considerato che quello umano invece non si interruppe. Ma si sa, gli ambienti, e i giochi, di certa discografia non sono proprio ideali, e le cose non sempre vanno come dovrebbero andare. Anche al di là della volontà dei diretti interessati.

Ora Destrieri, affascinato sempre più dalla voce di Battiato, che lui considera addirittura “miracolosa” (sono parole sue), recupera quel vecchio progetto e, forte di materiali d’archivio in suo possesso, costruisce uno spettacolo, intitolato non a caso “Il padrone della voce” (non è solo un gioco di parole rivolto al famosissimo e vendutissimo album del 1981), basato proprio sulla presenza della voce di Battiato.

Del resto, sono pochissimi ad avere lavorato sulla voce come ha fatto Battiato. Mi viene spontaneo pensare allo studio intitolato “Luce sulla scienza dei suoni e sui percorsi interni della voce” contenuto nell’opera Gilgamesh, forse il momento più alto di quella bellissima opera lirica (dove c’era anche Destrieri). Ero alla prima, al Teatro dell’Opera di Roma, e in quel pezzo, che risentiva degli studi sul minimalismo, la voce di Battiato regolava, come un vero padrone, un perfetto equilibrio tra silenzio e suoni.

La voce campionata da Destrieri è quella del Battiato anni ’70, che ancora non si era rischiarata e come quella degli anni a venire. E’ una voce però adattissima alle sonorità proposte. Viene, infatti, mixata con nuovi arrangiamenti, prodotti da Destrieri, dei brani del periodo c.d. sperimentale, tutti provenienti dagli anni ’70.

E’ tutto un ripercorrere album storici e pietre miliari del prog italiano come Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries, Clic ecc.. La cosa che rende prezioso e per molti versi unico questo spettacolo è che tutta questa ricostruzione viene fatta da chi Battiato l’ha conosciuto molto bene, e proprio a ridosso della composizione di tali brani.

Non è un caso che assisto a questo concerto, il 19 maggio a Ragusa, il giorno dopo avere assistito al concerto di Stefano Pio, figlio di Giusto.

Colloco entrambi i concerti, pur molto diversi tra loro per impostazione e proposta sonora, in una stessa linea di ricordo e di rielaborazione, persino di rivendicazione, da parte di chi certi brani li ha visti nascere dal vivo. O comunque ne ha discusso ampiamente con Battiato.

Basti pensare che Filippo Destrieri e Giusto Pio, insieme ad altri amici storici come Saro Cosentino, Francesco Messina (autore di quasi tutte le copertine dei dischi di Battiato), Mino Di Martino, sono stati i protagonisti, proprio insieme a Battiato, del primo concerto telematico mandato in onda in diretta televisiva. Si trattava del bellissimo programma Mr. Fantasy di Carlo Massarini, innovativo, sempre avanti, e fresco come pochi altri.

Quell’esperimento vide collegati i sei da posti diversi d’Italia suonare insieme su Propiedad prohibida, brano del 1974 tratto da Clic. Roba che abbiamo visto più di 30 anni dopo, in occasione del lockdown, in tutte quelle dirette Skype in cui i musicisti hanno suonato insieme ognuno da casa sua.

Destrieri recupera il materiale degli anni ’70, ci aggiunge suo materiale d’archivio, ci aggiunge suoi arrangiamenti nuovi, alcuni dei quali tratti da ipotesi non realizzate compiutamente dallo stesso Battiato, e propone, in giro per l’Italia, questo “Il padrone della voce”, inserendoci anche, ogni tanto, spiegazioni e narrazioni utili per chi non ha dimestichezza con quel periodo e con quei brani. Che, condotte dalla sua compagna di vita, Daniela Sassi,  sono molto utili, senza essere invadenti, perché non è detto che quel periodo sia conosciuto dai più. Anzi, capita non di rado che chi apprezza il Battiato de La cura nulla sappia di brani come Energia, Meccanica, Areknames, Fenomenologia ecc.. Questo spettacolo è rivolto anche a questa larga fetta di pubblico.

L’effetto finale è molto godibile. Aiutano anche i video che vengono proiettati, e che rimandano o spezzoni tratti da programmi dell’epoca o rielaborazioni originali in chiave psichedelico-spaziale.

E già, perché quella musica di Battiato fu considerata all’epoca uno dei punti più alti della musica c.d. cosmica. A ben pensarci, gran parte della produzione successiva di Battiato ha risentito anche di questo periodo, in cui sono state poste le basi per ulteriori rielaborazioni e precisazioni di un discorso, quello sul cosmo, sui nostri destini, sulla piccolezza dell’uomo, dell’essere fisico intendo, davanti all’infinità dell’universo.

Una frase, contenuta in Beta, la dice lunga su come in Battiato certe idee e certe ispirazioni fossero presenti già da quei dischi sperimentali. “Dentro di me vivono la mia identica vita dei microrganismi che non sanno di appartenere al mio corpo…Io a quale corpo appartengo?”.

Se ci pensate bene, è il preludio a quella domanda su “io chi sono” che troverà compiuta elaborazione nell’omonimo brano contenuto ne Il vuoto.

A Destrieri sarebbe giusto che venga riconosciuto quel ruolo che, chissà perché, non viene ricordato dal mondo ufficiale della discografia e della produzione mediatica.

E’ un discorso che si lega alla mia recente recensione del concerto di Stefano Pio, sempre su questo sito.

Da quando Battiato è passato ad altre dimensioni, si è scatenata (con qualche accenno persino prima) una corsa a chi era più suo amico, a chi lo conosceva di più, a chi più ne può essere una sorta di impossibile “portavoce”. E da qui esibizioni imbarazzanti di foto, di racconti di incontri (reali e chissà se qualcuno addirittura inventato), come se ognuno avesse il compito di essere lui il portatore del messaggio di Battiato.

C’è stato un profluvio di libri, talmente forte che io stesso, che ne avevo quasi pronto uno, ne ho bloccato la pubblicazione, e ora lo sto riscrivendo per non farlo somigliare agli altri. Un continuo proporre concerti, omaggi, ricordi, programmi televisivi.

Se tutto questo ha l’indubbio merito di tenere vivo il ricordo di Battiato, ha però anche il limite, e il rischio, che non sempre di Battiato si da la testimonianza più sincera, genuina e adatta a realizzare lo scopo prefisso, almeno in apparenza, ovvero tenere viva l’opera di Battiato.

Molte di queste “testimonianze”, infatti, sembrano utili più a chi le fa, sono connotate, infatti, da un egocentrismo e da un desiderio di apparire per nulla consono al messaggio antiegocentrico e antiesibizionistico che Battiato ha lanciato in ogni sua opera.

Alcuni artisti sembrano alla ricerca di una identità che debba passare per forza attraverso Battiato. Mettendo così in soffitta la stessa raccomandazione che Battiato, in più di una intervista, ha fatto: “cerca la tua strada”.

Ora, una cosa è ispirarsi a questo grandissimo artista – cosa che io stesso, nel mio piccolissimo faccio, rielaborando alcuni suoi brani e avendo pubblicato da poco un disco di mie canzoni che inevitabilmente risentono della sua influenza (chi si è incuriosito, cerchi nella rete il nome Evocante) – altra cosa è rivendicarne una sorta di primigenia – che sia sotto forma di libri o di concerti o di cover non importa – che se può avere un qualche risultato di pubblico, alla lunga inevitabilmente stancherà per quanto è monotona e senza un reale respiro.

E non solo perché una cosa è Battiato altra cosa è chi ha conosciuto Battiato o si è fatto da lui aiutare nel suo percorso artistico. Ma anche perché, se veramente si vuole seguire il suo insegnamento (o meglio il suo apparente non-insegnamento), si dovrebbe proseguire su un proprio cammino artistico.

Cosa che non sempre è.

Battiato lo si omaggia, più che replicandolo, soprattutto proseguendone il messaggio, in qualsiasi forma artistica, non necessariamente musicale. Con lo spirito, suo proprio, della sperimentazione, della curiosità, del non fermarsi mai a un risultato, dello spiazzare il pubblico, del mettersi su un cammino di ricerca e di verità, e di contribuire a questa ricerca, che è ricerca di tanti cuori, con un afflato disinteressato, con piccoli frammenti di arte propria, personale.

Ciò non vuol dire che non si possano suonare le sue cose. Ma, anche qui, con almeno un minimo di originalità.
Coverizzare Battiato è pericoloso. Non è operazione da evitare, anche se molto pericolosa. Almeno per come la vedo io, il vero scoglio da superare è proprio al voce.
Riproporre una cover suonata con lo stesso arrangiamento, anche se cantata bene, inevitabilmente fa subito pensare ad ad una assenza, che è proprio quella della voce di Battiato.
E allora, delle due l’una: o fai tua la canzone, e rischi un arrangiamento diverso, più tuo, dove a fronte del rischio di allontanarti troppo da un capolavoro, magari anche snaturandolo, almeno diminuisci il rischio di far sentire troppo quell’assenza lì. Oppure suoni sulla voce di Battiato. Che è quello che ha scelto di fare Destrieri con questo progetto, che io infatti considero più originale ed interessante del suo, pur apprezzabile, gruppo cover di Battiato, l’Equipaggio sperimentale, dove invece si corre il rischio proprio di non riuscire a colmare l’assenza.
In “Il padrone della voce” – parafrasando un titolo di un brano – le voci si fanno presenza, la voce di Battiato c’è, non viene rimpianta, non va, con operazione forse impossibile, colmata.

Il percorso di Destrieri, come anche quello di Stefano Pio, è  emblematico dello forzo ricostruttivo, persino filologico, unito a una originalità anche personale.

Se con Pio mi sono emozionato ad ascoltare le versioni originali dei brani, riprese da suoi vecchi ritrovamenti da una vecchia valigia familiare, con Destrieri mi sono divertito ad ascoltare quello che sarebbe potuto essere il proseguimento di quel momento, bellissimo, in cui in Giubbe Rosse si rievocava il passato più lontano.

In altri omaggi invece, che non a caso non ho recensito, ho sentito gli stessi arrangiamenti e le stesse sonorità degli ultimi concerti, e mi sono parse  operazioni sicuramente meritorie per il ricordo ma che non aggiungono (e, beninteso, neanche tolgono) nulla. Ascoltare a Verona, come anche in altre occasioni, gli stessi arrangiamenti che Battiato da anni proponeva cosa può aggiungere, del resto, a un cammino che, se fatto di ricerca, non può che invece imporsi di andare avanti?

Ricordate che, tranne gli ultimissimi e forse poco lucidi concerti, in cui di certo non si poneva il problema di come innovare, Battiato era sempre molto attento a non ripetersi. Anche negli arrangiamenti. E comunque nella proposta musicale. Era sempre al di là del punto in cui era arrivato. Continuamente “di passaggio”. Continuamente oltre.

I vari omaggi che sento qui e là non vanno oltre. Sono così stantii da assumere persino un che di funebre. E in questo non rendono vera giustizia allo spirito ancora vivo, libero e di ricercatore di Battiato.

Non solo.

Da questo continuo omaggio e ricordo è stata tolta, quasi d’autorità, e non si sa perché, proprio perché non c’è un perché razionale, i protagonisti e i testimoni e di una parte molto interessante dell’opera di Battiato. Che è quella, appunto, degli anni ’70 e ’80.

Abbiamo visto che una “vittima” di questa damnatio memoriae discografica e mediatica è stato Giusto Pio, coautore di Battiato in ben 128 brani (a proposito, la voce di Fabio Cinti e il piano di Arturo Stalteri stanno portando in giro le loro canzoni per interpreti femminili). Ma anche Filippo Destrieri lo è stato (e vorrei citare anche Donato Scolese, suo batterista e xilofonista), perché in quasi nessun programma televisivo, e in nessun concerto rievocativo, ho visto la sua presenza.

Nessuno recupera il gruppo storico, proprio a partire da Destrieri, nessuno, parlo della grande stampa e della grande discografia, che gli chieda un contributo o una testimonianza.

Ecco perché il suo “Il padrone della voce” è da ascoltare e da seguire. Perché, in uno spettacolo che, se finanziato adeguatamente potrebbe essere persino più completo e coinvolgente, c’è tutto un racconto che non si fa, come direbbero i latini, de relato, per sentito dire, o addirittura per immaginato e inventato. No, si fa dalla voce, e dalle tastiere, dirette di chi con Battiato ci ha suonato per 20 anni.

Se ci ha collaborato per così tanto tempo, e non solo per pochi anni, qualcosa vorrà dire.

E lo capiamo proprio ascoltando la sua personale rielaborazione.

Che riempie di gioia non solo i cultori del prog e della musica elettronica ma anche chi, lontano da queste sonorità, abbia semplicemente la curiosità di accostarsi a questi brani. Perché una cosa meritoria di questa operazione è stata proprio il renderli più leggeri, più fruibili dal grande pubblico, più immediati. Senza snaturarli.

Battiato credo che ne sarebbe stato contento, perché lui era molto attento anche a non annoiare. Ci scherzava su – ricordo le battute prima dell’esecuzione di certi suoi brani tipo: ”non sapete cosa vi aspetta” – ma teneva sempre a presentare questi brani in modo da non annoiare nessuno.

Destrieri riesce infatti a recuperare il lato pop del periodo sperimentale (quel che si può, non parlo certo de L’Egitto prima delle sabbie…) senza svilirlo in una operazione forzata. Mantenendosi in equilibrio tra pop e sperimentazione, e anche sapendo dosare e scegliere bene i brani, il suo spettacolo fila via tanto che, alla fine, dispiace non sia durato oltre.

 

Di Vincenzo Greco

Docente Luiss, dirigente pubblico, musicista, cantautore, videonarratore. Insomma, raccontatore di cose ed emozioni, con parole, musica e immagini.