Milano è la città in cui un Franco Battiato diciottenne andò a cercare fortuna, appena finito il Liceo in Sicilia. E dove, appena arrivato, con quella nebbia e quell’aria particolare, ormai scomparsa a causa dell’edificazione metropolitana, si sentì perfettamente a suo agio. Milano fu la città che un Battiato quarantenne, ormai sazio di colori grigi, lasciò per tornare ai colori e ai profumi vivaci della sua Sicilia.
Milano è la città in cui si presenta, senza la presenza fisica di Battiato, un suo “nuovo” disco. Con tanta di quella nebbia e opacità intorno che la nebbia degli anni Sessanta in confronto era poca cosa.
E si, perché questo disco, intitolato “Battiato & Philarmonic Concert Orchestra – Torneremo ancora”, è avvolto da tanto, troppo mistero, in cui nessuna delle parti in causa ne esce bene, sia quelle direttamente coinvolte che quelle che si sono intromesse nella questione. Tranne naturalmente il diretto interessato, Battiato, del cui stato di salute, compresa la sua lucidità, molto poco si sa e, più o meno a ragione, molto si sospetta e si fantastica.
Spiace commentare un disco dovendo cominciare dalle notizie di cronaca, ma il ruolo degli struzzi non è dei più intelligenti e poco si addice a chi da una vita segue questo immenso artista proprio per la sua profondità ed acume intellettuale. E anche per una vivacissima curiosità verso tanti aspetti della vita e del mondo.
Potremmo parlare del disco, di come sia suonato benissimo, di come, nonostante tutti gli accorgimenti che si siano potuti adottare, si sente la stanchezza di Battiato nella sua voce; e di come va comunque bene così, perché fa parte di un percorso e, seppur a fatica, e con sofferenza mista a tenerezza, lo si ascolta sempre con piacere.
Ma neanche si può tacere tutto quello che c’è stato, e che non c’è stato, intorno a questa uscita discografica.
Qualche mese fa uscì un comunicato stampa in cui si faceva dire a Battiato che il peggio fosse passato e che lui stava lavorando a un nuovo brano. Poi, si scopre che il brano, probabilmente risalente al 2015, faceva parte di un cassetto, che ogni artista ha, fatto di ipotesi su cui si è iniziato a lavorare e poi rimaste, per varie ragioni, incompiute, in attesa di essere riprese o di rimanere semplicemente lì, bozze senza un destino finale compiuto.
Questo “nuovo” brano, che tanto nuovo evidentemente non è, fa parte di un disco registrato dal vivo nell’ultima tournée di Battiato, svoltasi nel 2017, di cui qui abbiamo parlato, e che purtroppo vedeva in scena un Battiato non più nella consueta forma, con difficoltà di memoria e negli attacchi dei brani. Non più il Battiato che abbiamo tutti conosciuto, brillante e padrone della situazione e dei suoi mezzi vocali, ma un uomo anziano, un po’ spaesato, affaticato, con uno sguardo non più fulminante, come il suo stesso amico e collega Fabio Cinti ebbe a dire qualche mese fa, in un tentativo di difesa dell’uomo e della verità.
Intendiamoci, il Battiato di quei concerti era sempre in grado di trasmettere emozioni – non furono infatti concerti brutti – perché il carisma rimaneva intatto, qualche scintilla ancora c’era e la cura degli arrangiamenti era perfetta. Ma in modo un po’ forzato rispetto a quelle che erano le condizioni di salute.
Assistetti al suo ultimo concerto a Catania, la Messa Arcaica, nel settembre 2017 con profonda sofferenza e un resoconto che si trova in questo sito.
Poi, a parte la notizia dell’annullamento dei concerti previsti a causa di una nuova rottura del femore e conseguente nuova operazione, più nessun’altra comunicazione. E uno scatenarsi di ipotesi, alcune fantasiose altre no, alcune esagerate altre minimizzanti, sulla sua salute. Fino a quel comunicato stampa che faceva a pugni con le indiscrezioni che uscivano fuori, alcune per mano di persone a lui vicine, che lo ritraevano in foto o in brevi video casalinghi dove si vedeva tutto il suo spaesamento nello sguardo. A questo si aggiunge la “poesia” di un amico (ma quanti amici aveva Battiato? Forse qualcuno ha confuso collaborazione artistica con amicizia), e che non citeremo per non dare quella visibilità che, anche con le sue recentissime interviste, pare essere il vero motivo di queste uscite, che lascia capire che Battiato sia ammalato di Alzheimer e che ha tentato di chiamarlo al telefono senza però proferire parola e che poi forse gli hanno impedito di chiamarlo ulteriormente, in una specie di terra bruciata fattagli intorno. Ipotesi, questa dell’Alzheimer, smentita dai suoi stessi familiari.
E però continuano a girare le foto, una particolarmente penosa, di un Battiato in stato sofferente e stanco fotografato insieme a un suo “fan” un po’ troppo invadente fuori da una gelateria di Giarre dove i suoi familiari pare lo portano spesso.
E l’invadenza è continuata, amplificata dal diabolico strumento dei social network, da parte di un gruppo di suoi fan, che addirittura organizza un incontro a Milo per discutere della figura artistica di Battiato e che invece finisce per raccontarsi tra loro, e con persone che si sono proclamate vicine a Battiato, aneddoti sulla sua vita e curiosità varie, tra cui addirittura una inerente la sua presunta omosessualità e altrettanto presunti rapporti avuti con donne della canzone a lui vicine. Fino addirittura a recarsi – senza dubbio animati dalle più buone intenzioni di manifestare affetto ma noncuranti del fatto che forse lo si faceva con una certa invadenza – quasi come in un pellegrinaggio, fuori la sua bellissima villa, immersa in quei colori e quei profumi che a Milano gli mancavano, per cercare, senza successo, di incontrarlo, e finire per cantare in coro alcune sue canzoni, producendo una sorta di effetto veglia funebre amplificato dalla pioggia e dalla brutta giornata.
Questa storia di un gruppo, pur sparuto, di fan che, in un misto di gelosia ed esaltazione, credono di essere loro gli unici depositari della cura, anche personale, di Battiato, è veramente curiosa e fa riflettere molto sul rapporto che si instaura tra un artista e il suo pubblico. Ci sarebbe da citare il “Guarda che non sono io” di De Gregori, brano forse un po’ antipatico ma che dice la verità. Chi pensa di avere un rapporto personale con l’artista solo perché conosce tutte le sue canzoni, o perché ci ha parlato 5 minuti ogni tanto dopo un concerto, costruisce in realtà un simulacro di rapporto, dove l’artista è solo idealizzato e persino idolatrato. Tanto che per alcuni Battiato è addirittura assunto a maestro spirituale, contro la sua stessa volontà, lui che ha sempre manifestato insofferenza verso l’appellativo di Maestro. In questo caso, siamo arrivati al punto che qualche suo fan vorrebbe quasi sostituirsi alla famiglia di Battiato per curare i suoi interessi e la sua salute perché solo lui sa quello di cui Battiato ha veramente bisogno, in virtù di un rapporto spirituale che una serie di canzoni può anche creare ma che non riguarda la sfera né dell’intimo né del personale.
Certo, il mondo che sta intorno a Battiato non aiuta.
La notizia della vendita della sua villa di Milo, con tanto di video messo in rete da una agenzia immobiliare, proprio la villa dove lui aveva dichiarato di voler vivere fino alla fine dei suoi giorni, è stato un segnale che non poteva che creare inquietudine e una triste malinconia. Ma anche questo ha prodotto un eccesso di reazioni. Perché si tratta pur sempre di decisioni private della famiglia, riguardanti un immobile fuori mano, a mille metri di altezza, e forse non facile da vivere da parte chi ha difficoltà di deambulazione. Non a caso lo stesso Battiato, anche quando stava bene, nei mesi invernali si trasferiva a Catania. Nessuno dei fan fa parte della famiglia di Battiato ed è profondamente delicato, fino a sfiorare l’offensivo, mettere bocca in questa questione, che è e deve rimanere privata. Ma è pur vero che si tratta di un luogo che ha acquisito un significato culturale, e quindi pubblico, che consiglierebbe un intervento di un qualche ente pubblico che, se proprio la villa si deve vendere (e nessuno può negare la libertà di vendita, anche se qualcuno è arrivato anche a questo), la acquisti per utilizzarla come luogo di fruizione dell’arte di Battiato, di incontro, di studi e di lettura del notevole patrimonio librario lì contenuto.
Non migliore figura fa l’entourage professionale nel momento in cui rilascia comunicati stampa ambigui e poco credibili e video girati in casa dove Battiato appare comunque molto invecchiato ed affaticato, anche se, almeno apparentemente, presente a se stesso. Video che alimentano il mistero anziché affievolirlo, in una situazione dove sfumano i confini tra l’operazione di marketing, in cui si cerca di mungere una mucca non più in grado di produrre, il rispetto della privacy dell’artista, il rispetto del pubblico e una dose di voyeurismo fanatico di una sua, pur piccola, parte.
Lo stesso fatto che, per parlare del disco in uscita, si debba, per completezza di informazione, e per coscienza, ricostruire tutto questo la dice lunga.
Il disco, finalmente.
Le registrazioni dal vivo danno idea di quello che è stato l’ultimo tour. Aggiungono poco di nuovo, perché gli arrangiamenti sono quelli già conosciuti e già editati anche in altri dischi live. Apprezzabile l’aver puntato su brani rimasti meno in luce di altri, come, solo a titolo di esempio, Tiepido aprile e Come un cammello in una grondaia, e non aver proposto l’ennesima versione di La cura o dei successi pop storici. Il filo di voce che accompagna le canzoni è commovente. Non si lasci l’ascoltatore trascinare dalle polemiche e da tutto quello che ha circondato il disco. Che non si può non citare ma che, anche se con fatica, vanno tenute separate dal prodotto artistico. Che va apprezzato per quello che è: una testimonianza delle ultime esibizioni del più grande e trasversale artista che il mondo della musica leggera (per modo di dire) italiana ha mai conosciuto. Un viaggio intorno a temi di cui solo lui, e pochissimi altri, ci hanno parlato utilizzando lo strumento della canzone.
Il brano inedito “Torneremo ancora” rientra nella categoria dei brani spirituali. Si vede che è un brano rimasto in lavorazione e non del tutto compiuto, soprattutto a livello di musicalità. Non aggiunge nulla di nuovo alla produzione di Battiato, tornando su argomenti, di ispirazione buddista, già battuti, quali quello della reincarnazione, della morte che non c’è perché si tratta solo di un ciclo che si chiude mentre un altro ne inizia. Ma è comunque bello e meritevole di un ascolto puro perché contiene pur sempre la voce di Battiato e un testo, di cui è coautore Juri Camisasca, che è come mettesse un punto esclamativo a quella parte di opera che Battiato, più di tante, ha tenuto a spiegare e divulgare, con conferenze, incontri, film e docufilm: la riflessione intorno all’esistenza e al rinnovarsi della vita attraverso il passaggio della morte.
Per il resto, sarebbe stato forse meglio, da parte di chi ora gestisce la figura pubblica di Battiato, uscirsene, invece che con improbabili dichiarazioni, semplicemente citando i versi di una delle sue più belle canzoni, Segnali di vita, “Il tempo cambia molte cose nella vita”, lasciando intendere che il tempo e il suo corollario rappresentato dalla vecchiaia, stava facendo il suo malinconico compito e che “la voglia di cambiare che c’è in me” sta proiettando Franco Battiato, lentamente, e nel dovuto silenzio che ammanta certi passaggi, in una dimensione altra. Dove non è più in gioco l’artista, e quindi il suo pubblico – sia nella versione di pubblico pagante che in quella di pubblico che vuole sapere come stanno le cose – ma esclusivamente la sua persona.

Docente Luiss, dirigente pubblico, musicista, cantautore, videonarratore. Insomma, raccontatore di cose ed emozioni, con parole, musica e immagini.