NoteVerticali.it_Heysel_29 maggio 1985_5A tredici anni e mezzo, sei ancora convinto che il mondo sia una sorpresa meravigliosa. E che una partita di calcio possa rappresentare la magia che corona, per la tua squadra del cuore, un sogno inseguito una vita. Era un mercoledì di fine maggio, e, dopo aver ascoltato musica e suonato la chitarra (lo studio era già stato archiviato mancavano tre giorni alla fine della scuola), avevo preparato striscioni e bandiere per la serata. Una serata che doveva essere di festa sportiva: la mia Juve alla conquista della Coppa dei Campioni, l’agognata, la maledetta, la terribile. Una Coppa inseguita da anni e mai raggiunta fino a quel momento, dopo le delusioni di Belgrado e di Atene: la prima raccontata e immaginata, contro l’Ajax di Crujff, la seconda vissuta in prima persona due anni prima, con quel Felix Magath da Amburgo e il suo tiro alla viva il parroco che aveva ferito Zoff, il campione del mondo, il portierone paratutto di Spagna ’82. Ma stavolta le premesse per vincere c’erano tutte, una fase eliminatoria devastante, con sua maestà Michel Platini a giocare palloni con la maestria di un prestigiatore e un torello polacco in area, Zibì Boniek, a finalizzare in rete sfere volanti di cuoio bianconero.

NoteVerticali.it_Heysel_29 maggio 1985_3E bianconero era il cuore di chi, in quel giorno di tarda primavera, aveva deciso che la finale di Coppa col Liverpoool valeva la pena viverla da vicinissimo, a Bruxelles, a pochi metri dal terreno di gioco. Dello stadio Heysel visto alla tv a colori del soggiorno, ricordo la polizia a cavallo, goffa nella sua assurda inutilità, e principale responsabile della tragedia, per non aver compreso in tempo e in anticipo il pericolo degli hooligans – che già avevano fatto danni in giro – e di lasciare incustodito il settore Z. Ricordo l’incredula voce di Bruno Pizzul rotta dall’emozione di trovarsi a dover raccontare una partita di calcio in un’atmosfera irreale. E ricordo di aver lasciato striscioni e bandiere nella mia stanza. Negli anni avrei ripensato più volte a quella serata così assurda, metafora di un calcio malato che – si disse allora – da quel giorno non sarebbe stato più lo stesso.

NoteVerticali.it_Heysel_29 maggio 1985_2Ventidue calciatori a inseguire un pallone in uno stadio che odorava di morte. Ma loro – si disse – non lo sapevano. Ma loro – si disse – erano stati costretti a giocare, per ragioni di sicurezza. Non ho timore a crederci, perchè altrimenti dubito che qualcuno si sarebbe azzardato a correre nel teatro di un omicidio di massa.

Dubito che le roi Michel avrebbe esultato nel segnare il rigore più importante della sua carriera, sigillo di una Coppa meritata come non mai, che non meritava di essere conquistata in quella serata maledetta.

Mai più, si disse. Mai più violenza, mai più hooligans, mai più morti per una partita di calcio. Chiedetelo a Ciro Esposito, Antonio De Falchi, Filippo Raciti, Ermanno Licursi, Gabriele Sandri, e a tutti quelli che come loro, in questi trent’anni, hanno seguito i 39 dell’Heysel: Rocco Acerra (28 anni), Bruno Balli (50), Alfons Bos (35), Giancarlo Bruschera (35), Andrea Casula (11), Giovanni Casula (44), Nino Cerullo (24), Willy Chielens (41), Giuseppina Conti (17), Dirk Daeneckx (38), Dionisio Fabbro (51), Jaques François (45), Eugenio Gagliano (35), Francesco Galli (25), Giancarlo Gonelli (20), Alberto Guarini (21), Giovacchino Landini (50), Roberto Lorentini (31), Barbara Lusci (58), Franco Martelli (22), Loris Messore (28), Gianni Mastroiaco (20), Sergio Mazzino (38), Luciano Rocco Papaluca (38), Luigi Pidone (31), Benito Pistolato (50), Patrick Radcliffe (38), Domenico Ragazzi (44), Antonio Ragnanese (29), Claude Robert, Mario Ronchi (43), Domenico Russo (28), Tarcisio Salvi (49), Gianfranco Sarto (47), Amedeo Giuseppe Spolaore (55), Mario Spanu (41), Tarcisio Venturin (23), Jean Michel Walla (32), Claudio Zavaroni (28).
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Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...