La sincerità di un rapporto di collaborazione traspare ed è ancor più evidente quando, di base, ci sono stima e amicizia reciproche, sentimenti che fanno il paio con il rispetto e l’apprezzamento per la storia e il lavoro altrui. Questa affermazione è tanto più vera, secondo, noi, quanto più la collaborazione investe il campo dell’arte e dell’intrattenimento, dove sono arcinote le gelosie e le invidie che caratterizzano spesso i rapporti tra gli artisti in gioco. Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzé sono tra le poche eccezioni che confermano la regola, in quanto incarnano al meglio l’intesa artistica che è prima ancora un’intesa personale: il loro progetto, senz’altro una delle ‘cose’ più belle di questa stagione, stride fortemente con un’aridità di fondo che caratterizza troppo spesso il panorama artistico italiano, dove i duetti e le collaborazioni si contano davvero sulle dita di una mano, e, quando ci sono, magari sono sterile frutto di accordi commerciali che non hanno alcun senso dal punto di vista artistico.
“Il padrone della festa”, il primo disco di questo inedito supertrio, è composto da dodici tracce scritte a sei mani che consegnano al mercato discografico un progetto nato quasi per scherzo e poi consolidatosi sempre di più grazie a un viaggio in Sud Sudan, dove Silvestri e Gazzè sono stati coinvolti da Fabi per le iniziative dell’organizzazione non governativa Medici con l’Africa CUAMM. Il titolo dell’album è originale e strano al tempo stesso, ma rende bene il significato del progetto: quel “padrone” è il pianeta in cui viviamo, l’ambiente, la Madre Terra così ricca di contraddizioni che, se protetta e aiutata, porta ciascun abitante a condividerne le gioie e, quindi, a fare festa.
Dei dodici brani dell’album, due sono già stati resi noti nei mesi precedenti. Della prima, “Life is sweet”, uscita già come singolo nella scorsa primavera, si sa già tutto: è un inno alla vita, che porta in sé un invito a godere delle meraviglie che ciascuno può assaporare e far proprie di giorno in giorno. Musicalmente parlando, la canzone racchiude al meglio lo stile dei tre artisti. La strofa iniziale, cantata da Gazzé e da Fabi, ci sembra vestita dallo stile e dall’impronta del primo:
Disteso sul fianco passo il tempo, passo il tempo
fra intervalli di vento e terra rossa.
Cambiando cambiando prospettive
cerco di capire il verso giusto,
il giusto slancio per ripartire.
mentre il contributo quasi rappato di Silvestri arriva alla terza strofa, a riportare l’impianto narrativo su una componente quasi più realistica:
Ma tutti insieme siamo tanti, siamo distanti
siamo fragili macchine che non osano andare più avanti
siamo vicini ma completamente fermi
siamo famosi istanti divenuti eterni
E continuare per questi pochi chilometri sempre pieni di ostacoli
e baratri da oltrepassare sapendo già
che fra un attimo ci dovremo di nuovo fermare
Il refrain poi è affidato a tutte e tre le voci:
Da qui passeranno tutti o non passerà nessuno
Con le scarpe nelle mani, in fila ad uno ad uno
Da qui passeranno tutti fino a quando c’è qualcuno
perché l’ultimo che passa vale come il primo
Life is sweet!
Con “L’amore non esiste” si passa invece all’intimismo. La canzone, già uscita come singolo a fine agosto, si configura come un monologo a voce alta, dove ci si confronta tra un ‘io pessimista’, che vuole uccidere ogni speranza sui sentimenti:
L’amore non esiste è un cliché di situazioni
tra due che non son buoni ad annusarsi come bestie
finché il muro di parole che hanno eretto
resterà ancora fra loro a rovinare tutto
L’amore non esiste è l’effetto prorompente
di dottrine moraliste sulle voglie della gente
è il più comodo rimedio alla paura
di non essere capaci a rimanere soli
e un ‘io ottimista’, che invece vuole far valere la propria esperienza come perfetta eccezione:
Ma esistiamo io e te
e la nostra ribellione alla statistica
un abbraccio per proteggerci dal vento
l’illusione di competere col tempo
Io non ho la religiosa accettazione della fine
potessimo trovare altri sinonimi del bene
l’amore non esiste, esistiamo io e te
Testo (che bella l’immagine di una coppia come “ribellione alla statistica”…) e musica si integrano perfettamente in una sintesi che è poi il senso di una bella storia d’amore, fatta di dubbi e di certezze che spazzano i primi, nell’idea di essere ‘altro’ rispetto al resto.
Passando invece al disco, l’apertura è per “Alzo le mani”, una ballata delicata e intima che invita ad ‘arrendersi’ ai suoni di ogni giorno, dal rumore della pioggia nel pomeriggio, alle cicale che cantano in un campeggio, al telefono che ci preannuncia una voce amica, al silenzio che si respira nella neve.
Io non suonerò mai così.
Posso giocare, intrattenere,
far tornare il buonumore o lacrimare.
Ma non suonerò mai così.
Non è solo cosa diversa,
è una battaglia persa: alzo le mani.
E’ una lode laica alla quotidianità, e alla varietà delle emozioni che ci regala. E già ci fa capire che questo è un disco anomalo, almeno dal punto di vista commerciale. Non quindi un occhieggiare a suoni e refrain accattivanti per fare cassa, ma piuttosto un voler dare spazio a tematiche che ciascuno dei tre artisti, o che il nuovo artista che è loro sintesi, ha più a cuore.
Ecco perciò “Canzone di Anna”, brano cantato dal solo Fabi – che ne è anche l’autore – dedicato a una persona forse reale, forse immaginata. Una persona anonima (“Anna con il suo nome che in tanti hanno cantato già” richiama inevitabilmente “Anna come sono tante…” con cui Lucio Dalla iniziava la sua “Anna e Marco”) ma anche matura, sensibile e sola, che “si chiude in bagno quando a cena parlano di libertà” e che “domanda agli altri tutto quello che non sa”. Il brano è una perfetta sintesi tra melodia e testo, con la presenza di Paolo Fresu, che con la sua tromba disegna un’intensa iperbole di note, malinconica e viva al tempo stesso. Dice Fabi in proposito: “Qui all’inizio volevo fare are You going with me di Pat Metheny…! Poi ho accelerato, ci ho messo un po’ di Joao Gilberto e un po’ di scuola romana delle origini con qualche accordo in piú… Poi Anna non a caso.. Anna come sono tante… nome usato e riusato cosí da non permettere che nessuna lo potesse sentire in esclusiva…chiaramente due o tre amiche mie le avevo in testa, magari lo sanno, magari glielo diranno… A un certo punto le parole finiscono arriva Paolo Fresu e la storia ricomincia… E mentre la musica sfuma tutto si fa in bianco e nero come la televisione degli anni sessanta”.
In “Arsenico”, invece, siamo alle prese con la canzone probabilmente più ostica del disco. La penna è quella di Gazzè, voce solista. Il brano parla di un abbandono, e la voce solista si accompagna ai fiati che ne segnano lo stile, grave e serioso:
Sai,
fossi il Dio del tempo
Io lo inchioderei
Proprio nel momento in cui tu
Vestita di tempesta
Non ti ho vista più
E’ la traccia più ostica anche perché è l’unica davvero ‘pessimista’: non vorremmo azzardarci a dire che sia addirittura fuori luogo nel contesto del disco, certamente per lei prevediamo una tiepida accoglienza nelle esecuzioni live.
Con “Spigolo tondo” prende spazio invece Silvestri, e non solo perché esordisce nella strofa iniziale:
Una frase libera semi cromatica
cambia il colore del mondo
La visione comica di una piramide
rende lo spigolo tondo
L’espressione empirica di una catastrofe
non dura più di un momento
La visione comica di una tragedia
fa risparmiare del tempo
Il testo è fatto di immagini costruite ad arte, che rimandano a una visione in cui la realtà va esplorata a fondo per non cadere nella superficialità della prima impressione. Fabi e Gazzè entrano in scena più avanti, nel refrain. E cantano quanto la natura abbia leggi complesse, e sicuramente non angoli retti, e che basti fermarsi un momento per apprezzarne l’unicità e la meraviglia. Lo stile, come anticipavamo, è tutto ‘silvestriano’, e l’arrangiamento, che spazia al ‘sudamericaneggiante’, ricorda altri suoi brani del passato, primo fra tutti “Il mio nemico”.
“Come mi pare” è forse la canzone musicalmente più orecchiabile della raccolta e, azzardiamo, probabilmente sarà il terzo singolo estratto dal disco. Il testo offre una visione contrapposta tra due parti, quasi come se fossero due facce di una stessa medaglia, e figlie della contraddizione che fa parte della vita di chiunque. Nella prima, si fissano un po’ di ‘paletti’ sulla volontà di fare qualcosa e l’invito ad essere preparati a farlo, per le conseguenze che ogni azione, inevitabilmente, comporta:
Chi vuole scrivere impari prima a leggere
chi vuole suonare prima deve imparare ad ascoltare
chi vuole ridere impari prima a piangere
chi vuol capire prima deve riuscire a domandare
chi vuole vincere impari prima a perdere
chi vuol tenere prima deve sapere cosa lasciare
chi vuole insistere impari prima a cedere
chi vuole amare prima deve imparare a rinunciare
mentre la seconda è una sorta di inno alla libertà assoluta:
io so inventare so improvvisare
senza regole né strutture
faccio come mi pare
come mi pare
so immaginare una storia intera senza solo una parola vera
faccio come mi pare
come mi pare
“Giovanni sulla terra” è un’altra creatura la cui paternità è assegnata a Fabi. Come Anna, è ancora il ritratto di un uomo qualunque, anonimo, nascosto, uno tra tanti, ma vivo e ricco della propria dignità:
Giovanni ha un codice a barre tatuato sul braccio
E si domanda che prezzo avrà
Rimanere se stesso
Lo spinge la propria vita in salita per ore
E ha paura che il proprio sudore
Sia lo sforzo di un fesso
La cima appare sempre un po’ più in su
E il sole brucia chi sta fermo, di più
Un ‘working class hero’ dei nostri tempi, che paga puntualmente le tasse, esce di casa quando i figli dormono ancora, e al rientro, li trova nuovamente addormentati. Così Fabi a proposito del brano: “Nasce tutto da un compleanno e i suoi regali, da un dulcimer e un blue sky, da echi di Joni Mitchell e Bernardo Lanzetti, e da uomini che lottano ogni giorno per andare avanti sulla propria strada, perchè il sole brucia chi sta fermo…”
In questo stesso filone rientra anche “Il Dio delle piccole cose”, splendida poesia laica cantata da Max Gazzè, che la cofirma con l’autore Gae Capitano, vincitore del Premio Lunezia 2012. Il titolo del brano è solo casualmente, forse, lo stesso di un romanzo della scrittrice Arundhati Roy che racconta un amore non convenzionale nell’India degli anni ’60. Qui l’atmosfera è delicata e rarefatta, e le immagini sono evocative e commoventi:
Il Dio delle piccole cose aspetta la fine del cammino
Con un sacco sgualcito dal tempo di un piccolo inchino
Chissà se ci ridà indietro le vite che abbiamo in sospeso
Io credo sia questo l’inferno e il paradiso.
“L’avversario” è invece senz’altro un episodio più leggero, dove con un ritmo incalzante le voci di Fabi e Gazzè si sfidano ironicamente a colpi verbali, mentre Silvestri fa da speaker. I contendenti della sfida a cui fa riferimento il brano possono essere sportivi o politici, ma sono sicuramente mediatici, e riportano alla mente i tanti scontri che hanno pieno diritto di cittadinanza nella società di oggi:
Faccio spesso le tue veci
io le feci e tu lo sai
come due migliori amici
che non saremo mai
Tocca poi a “Zona Cesarini”, e qui l’intimismo si riappropria dell’ascolto. Silvestri sale in cattedra, e confeziona una canzone d’amore minimal, quasi una filastrocca, piacevole e simpatica:
solo all’ultimo, soltanto all’ultimo
provo a combattere e riesco a vincere
mi metto in salvo io in zona Cesarini
ma è perchè sei tu che mi perdoni
e niente di più
Conclusione per “Il padrone della festa”, la title track, un brano tutt’altro che leggero. Il testo parla di presente e futuro, e ha un esordio a dir poco spiazzante ma perfettamente condivisibile:
Voglio che le cariche importanti
dove si decide per il mondo
vengano assegnate solo a donne madri di figli.
Sarei così curioso di vedere
se all’interno delle loro decisioni
riuscirebbero a scordarsi il loro futuro
E’ forte l’attenzione per le azioni da fare oggi, nell’immediato, per salvare il pianeta:
”ambiente” non è solo un’atmosfera,
una rogna nelle mani di chi resta
e il sasso su cui poggia il nostro culo
è il padrone della festa.
E sta all’uomo decidere se continuare a “festeggiare” o se, invece, spegnere le luci e dire addio a se stesso e al mondo, un esito che pare inevitabile se si continua a nascondere la testa dinanzi ai problemi e a lasciare le proprie radici perse in aria.
L’invito è esteso a tutti, indistintamente, perché
ciò che ti riguarda mi riguarda,
come ciò che lo riguarda,
ti riguarda.
E allora, considerando che “siamo ammanettati tutti insieme alla stessa bomba”, l’unica strada da percorrere è questa:
Ora per ora per ora, un passo alla volta
uno per uno per uno fino alla svolta
In conclusione, “Il padrone della festa” non delude certamente le attese, tutt’altro. Si tratta di un album ricco di contenuti, che, senza indugiare nel sensazionalismo della particolarità rappresentata dall’unione di tre artisti, genera parole e suoni che lasciano più di una traccia, e che meritano senza dubbio ascolti successivi. Un esperimento sicuramente ben riuscito, capace di coagulare tre creatività vicine ma diverse, tre mondi che si toccano e che insieme riescono a trovare una sintesi più che accettabile. “Il Dio delle piccole cose”, “Giovanni sulla terra” e “Spigolo tondo” sono a nostro parere gli episodi migliori del disco, che offre a chi ascolta uno spaccato di vita e un invito da raccogliere, quello di aver cura degli altri ma anche dell’ambiente che ci circonda, che poi è il titolare di ogni nostro respiro. Il padrone della festa, appunto.
Dopo le presentazioni del disco nelle principali librerie Feltrinelli italiane, Fabi, Gazzè e Silvestri saranno in tour fino a dicembre, con date che toccheranno l’Europa ma anche il nostro paese: debutto il 26 settembre a Colonia, poi Berlino, Parigi, Londra, Bruxelles, Lussemburgo, Amsterdam, Valencia, Madrid e Barcellona, quindi Rimini, e poi via via altre città, tra cui Roma, Firenze, Napoli e Torino.
IL PADRONE DELLA FESTA
Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Max Gazzè
1. Alzo le mani
2. Life is sweet
3. L’amore non esiste
4. Canzone di Anna
5. Arsenico
6. Spigolo tondo
7. Come mi pare
8. Giovanni sulla terra
9. Il Dio delle piccole cose
10. L’avversario
11. Zona Cesarini
12. Il padrone della festa
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…