C’è tanta Italia nel bilancio finale dell’edizione 2018 del Festival di Cannes. Marcello Fonte vince il premio come miglior attore e Alice Rohrwacher quello per la sceneggiatura. Dogman e Lazzaro felice, due film accomunati dalla volontà di raccontare il mondo dei perdenti e di quelle persone che, nonostante i drammi quotidiani, resistono stoicamente a una vita che di certo non sorride loro. Se Marcello Fonte nel film di Matteo Garrone è riuscito a dar vita a un personaggio apparentemente mansueto, la Rohrwacher è riuscita a stupire (in parte, il premio è andato ex aequo anche a 3faces di Jafar Panahi) una giuria con i suoi dialoghi fantasiosi al limite della credibilità.

L’attesa Palma d’oro è andata al film Affari di Famiglia del regista giapponese Hirozaku Koreda. Quest’artista a tutto tondo, il cui cinema ricorda quello del maestro Ozu, non perde mai occasione di raccontare storie di vita con ironia e dramma degni del miglior Anton Cechov. Dopo il recente Gruppo di famiglia con tempesta, trionfa sulla Croisette con la storia di una famiglia disfunzionale che si sostenta rubando e nascondendo un segreto disarmante. Una riflessione sulla povertà in Giappone, elemento sconosciuto fino a qualche anno fa con cui gli intellettuali provano a cimentarsi. “Grazie per questo premio. Credo nel cinema che sa far trovare un accordo anche a paesi che di solito si scontrano”, ha dichiarato Koreda nel ritirare il trofeo. Premio della giuria per Spike Lee e per il suo Blackklansma, film duro che prova a ragionare sui pericoli di una deriva morale in cui è sprofondata l’umanità. Il regista ha ritirato il riconoscimento dichiarando come a suo modo di vedere “siamo tutti in pericolo”. La giuria ha attribuito il Gran Prix anche alla regista libanese Nadine Labaki che è salita sul palco con il piccolo Zain Rafeea. Il suo Capharnaum ha convinto critica e pubblico per la capacità di rappresentare poesia nella verità. Riflettendo sulla condizione in cui versano alcuni paesi del mondo la Labaki ha dichiarato “Credo nessuno di noi può girare la testa di fronte alle immense sofferenze di una certa parte di mondo. Io credo profondamente nel potere del cinema ma non ho soluzioni, vorrei riflettessimo insieme, trovassimo insieme una soluzione, lo dedico a tutti i miei attori che mi hanno donato tutto e mi hanno raccolto in loro la sofferenza del mondo”.

Palma d’oro speciale per rendere omaggio a Jean Luc Godard e al suo Le livre du image. Il regista francese ha influenzato più di quarant’anni di cinema transalpino e mondiale, come ha voluto ricordare Cate Blanchett: “Jean Luc non ha mai smesso di sfidare il linguaggio del cinema e per questo gli saremo sempre grati”. Infine vanno ricordati il premio alla regia assegnato al polacco Pawel Pawlikowski, che con il suo Cold War ha voluto narrare l’amore ai tempi della guerra fredda, e il premio per la miglior attrice alla splendida Kirgisa Smala Yesliamova. La sua interpretazione in Ayka ha commosso la platee della Croisette per intensità e slancio vitale. Il film racconta il difficile dramma di una donna indigente alle prese con la solitudine e il suo ruolo di madre. La pellicola del regista Sergey Dvortsevoy è una favola moderna sulla donna.

Si conclude un festival al femminile, caratterizzato dal movimento #metoo e da racconti su molestie e looser. Il cinema è così forte da riuscire a tirare fuori qualcosa anche dalle tendenze più o meno condivisibili di ogni periodo storico, soprattutto quando assomigliano a veri e propri “deliri collettivi”, come direbbe un grande regista.

 

Di Paolo Quaglia

Nasce a Milano qualche anno fa. Usa la scrittura come antidoto alla sua misantropia, con risultati alterni. Ama l’onestà intellettuale sopra ogni altra cosa, anche se non sempre riesce a praticarla.

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