Intelligentemente divertente, a tratti esilarante, ma anche, e soprattutto, molto poetico. E’ il viaggio che ha portato il pubblico del Teatro Rendano di Cosenza a entrare nel mondo di Dario Brunori, 37 anni, da Joggi, di professione cantautore tra i più promettenti della nuova scena musicale italiana. Lo spettacolo si chiama ‘Brunori SRL, una società a responsabilità limitata – Canzoni e monologhi intorno alla trasformazione di una società‘, un nome che nel cambio societario dal precedente ‘marchio di fabbrica’ (Sas) porta l’artista cosentino a una nuova forma di esposizione al pubblico. Non più solo canzoni, ma parole (intelligenti) e musica, con le prime a far da apripista alle seconde in sezioni dove Brunori si racconta a cuore aperto, ripescando tra i ricordi della sua infanzia, e analizzando le fasi di crescita del suo ego, dubbioso e dubitante, che si interroga sulla vita e sui massimi sistemi, e sul senso di colpa, grande protagonista dei suoi ragionamenti. Alternandosi in scena dal leggìo alla chitarra alla tastiera, in piedi o seduto, Brunori snocciola aneddoti che fanno sorridere e che fanno riflettere al tempo stesso, monologando da ottimo intrattenitore, e senza mai un attimo di tentennamento, anche quando si tratta di raccontare episodi che investono direttamente il suo privato. Pubblico in delirio, e applausi convinti per un teatro sold out, come già accaduto in altre date del tour italiano.
Il tema dei monologhi brunoriani parte dalla parola ‘società’, e analizza in modo del tutto originale il passaggio dalla cosiddetta ‘società di persone’ alla ‘società di capitali’, da una realtà i cui membri sono essi stessi responsabili con tutto il proprio patrimonio delle azioni compiute all’interno della società, a una realtà dove invece le responsabilità dei soci sono limitate alla sola società. Tutto ha inizio da quella prima ‘società di persone’ chiamata ‘paese’, Joggi appunto. 500 anime nel cuore della provincia di Cosenza, in una frazione di Guardia Piemontese, vicino al mare ma anche alla montagna, e profondamente radicata negli usi e nei costumi della società calabrese. L’infanzia con gli altri bambini (quando si vedeva ‘la vita soltanto a colori‘), il rito del maiale, la corsa campestre, episodi degli anni ’80 che ci riportano a un tempo lontano anni luce da Internet, da Facebook, dalla società virtuale, quella nella quale contatto ed empatia rappresentano quasi qualcosa di alieno. Il presente – dice Brunori – è molto molto peggio del passato, la cultura ‘è in mano ai barbari, alla plebaglia’ (“Siamo passati da Memorie dal sottosuolo a Tre metri sopra il cielo“, dice fra le risate del pubblico). L’autoironia regna sovrana, quando a mettersi in gioco è lui stesso, che mette a confronto il suo “na na na na na na” con il De Andrè de “La canzone dell’amore perduto“. Temi trattati con leggerezza e intelligenza, che portano in scena la confusione dei tempi moderni, tra la sovraesposizione dei programmi televisivi di cucina (“quelli che voi avete sempre chiamato cuddrurieddri in realtà era street food“) e la crisi occupazionale (“i giovani non vogliono lavorare e a protestare in piazza ci vanno i vecchi “), e che offrono lo spunto per conoscere un Brunori nuovo, a metà tra Giorgio Gaber e Andy Kaufman, passando per Fiorello e Benigni, che parla di bambini e scherza con un teschio profferendo in stile amletico i versi iniziali della sua “Guardia ’82”. Quello che regala emozioni a man bassa quando parla del suo rapporto con i fan, visto con gli occhi di uno ‘sfigato’ che non sempre è impegnato a scrivere canzoni (ma magari sui trova da Brico perché deve risolvere il problema del lavandino che perde!), e soprattutto quando racconta della sua famiglia, e in particolare di suo padre, scomparso qualche anno fa, la cui morte lo ha proiettato in una dimensione nuova e inimmaginabile. “Il giorno prima facevo musica in un gruppo indie-rock, il giorno dopo mi sono trovato a vendere mattoni ai muratori di Fuscaldo“: uno schiaffo che – dice – gli ha cambiato la gerarchia delle priorità, e gli ha fatto capire che ciò che andava fatto, andava fatto in quel momento. Un ricordo originale e tenerissimo, che parte da una bestemmia e si scioglie in un abbraccio che commuove l’intera platea.
Ed è questo il punto più intenso dello spettacolo, che si avvale, certo, anche della parte musicale, che – attenzione – non è un replay di quanto già sentito. Canzoni note e orecchiabili, che il pubblico conosce a memoria e che sarebbe stato facile, troppo facile, riproporre allo stesso modo. E invece no. I brani sono impreziositi da nuovi arrangiamenti che riportano il live a una dimensione acustica, perfetta per l’esibizione teatrale. Brunori non è solo, ma è ovviamente accompagnato dalla sua fedelissima band di musicisti cosentini. La Sas più musicale che c’è vede presenti gli storici Dario Della Rossa alle tastiere, Simona Marrazzo ai cori e percussioni, Mirko Onofrio ai fiati, Massimo Palermo alla batteria e Stefano Amato agli archi, a cui si aggiunge per l’occasione la ‘new entry non cosentina’ Lucia Sagretti. Eccelsi professionisti che contribuiscono in misura determinante al successo di motivi che entrano in testa al primo ascolto e che in testa e nel cuore restano, in barba a chi pensa che le canzoni originali siano quelle complicate, e in ossequio alla meraviglia della forma d’arte espressiva più democratica che ci sia, la musica. Dal disincanto di “Fra milioni di stelle” al romanticismo felliniano di “Lui, lei e Firenze“, dall’esistenzialismo domestico di “Una domenica notte” alla ciclicità de “Le quattro volte“, passando per l’autobiografica “Nanà“, e la “Maddalena e Madonna” che parla di un amore sbocciato quando si era terroni al Nord. E ancora. Tra la Lolita di “Pornoromanzo“, e lo sposo abbandonato sull’altare di “Sol come sono sol“, “Il giovane Mario” povero sognatore, e la tenerezza di “Bruno mio dove sei“, trovano posto la splendida “Arrivederci tristezza” e la bohèmienne “Italian dandy“, e il repertorio dei tre dischi brunoriani viene esplorato quasi per intero. Restano esclusi dalla scaletta brani che hanno una cornice più gridata, forse poco adatta alla serata, come “Il pugile“, o come “Rosa“, che qualcuno tra il pubblico continua a reclamare anche al termine dello show. Sorprendono invece gli arrangiamenti con sussurri elettronici che stravolgono “Come stai” e “Kurt Cobain“, e sulle note di “Mambo reazionario” vediamo letteralmente il Rendano ballare, fino all’esplosione in stile karaoke di “Guardia ’82” che chiude virtualmente il sipario, dopo oltre due ore, e consegna alla storia del teatro cosentino uno dei suoi spettacoli più emozionanti degli ultimi anni. Un successo reso ancor più evidente dal fatto che per Dario si sia trattato di un ritorno a casa (‘e per questo più difficile’, confessa alla fine, tra gli applausi).
In sintesi, ancora una volta, Dario Brunori ha fatto centro. Con uno show diverso, nuovo, fatto di battute e monologhi originali che sono almeno due spanne sopra i vari Zelig che imperversano in tv oggi, che, facendo la fortuna degli pseudo-comici di professione, suscitano tutto tranne che la risata. Parole che si legano in modo intelligente – ci piace ripeterlo – alla musica delle sue canzoni, leggera ma non banale, che emoziona e che lo conferma un artista completo. Un cantautore dei nostri giorni, che, è vero, strizza l’occhio a Rino Gaetano, a Lucio Battisti, a Francesco De Gregori, al Dalla di “…e non andar più via“, ma non solo. Con la sua ironica malinconia che riveste la leggerezza per non farla scappare troppo, Brunori ha uno stile tutto suo. E con la SRL il passo in avanti è compiuto. Non è difficile prevedere cosa farà domani. Siamo curiosi di scoprirlo. Certo è che merita tutti i nostri auguri.
(Foto di Ilaria Scarpa: si ringrazia per la gentile concessione)
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…