Il cantautore romano apre l’edizione 2017 del Settembre Rendese
Ci sono artisti che fanno della coerenza il proprio biglietto da visita, e che si lasciano attraversare dal tempo senza che questi ne scalfisca l’integrità artistica e l’ispirazione. È un club molto ristretto, al quale ci sentiamo doverosamente di iscrivere uno come Niccolò Fabi. Cantautore eclettico, musicista di razza, artista restio a concessioni del mercato, ascoltarlo dal vivo è sempre un grande piacere. Ecco perché, pur avendolo visto dal vivo abbastanza recentemente (al Rendano di Cosenza, lo scorso dicembre), non abbiamo perso l’occasione di farlo nuovamente in occasione della sua tappa di Rende, che nei fatti ha aperto l’edizione 2017 del Settembre Rendese.
Lo scenario asettico di piazza Kennedy, nell’area concerto a cui si accede dopo controlli di sicurezza rafforzati inediti a queste latitudini, circondata dall’insegna del McDonald’s e da quelle del Metropolis, rappresenta una resa senza condizioni a quella logica di mercato che lo stesso Fabi canta in “Ha perso la città” (“Hanno vinto i centri commerciali”). In effetti, il contesto sembra freddino, almeno all’inizio, a causa anche di un numero di persone inferiore al previsto, ma poi si scalda grazie alla platea di aficionados e alla indubbia ars comunicativa di Fabi, che dal palco snocciola il meglio del suo repertorio.
Vent’anni esatti dal debutto discografico, con quel ‘Capelli‘ che rappresentó un bell’esordio al Sanremo 1997. Fabi non era tagliato però per il mondo televisivo: lo immaginate cantare sul piccolo schermo, magari ospite da Pippo Baudo, ‘Il negozio di antiquariato‘ del 2003, il cui testo invita chi ha meno di 50 anni a spegnere la televisione? No di certo, e infatti la sua carriera ha avuto un excursus ben diverso, proseguendo per un percorso ben condito da quella coerenza citata all’inizio.
Il concerto rendese, animato dai brani del suo ultimo disco in studio (“Una somma di piccole cose“, che per noi resta il miglior prodotto discografico italiano del 2016), e impreziosito dalla riscoperta di alcune perle del passato (tra cui “Rosso“, “Dieci centimetri” e “Il cielo è blu“), è scivolato via con leggerezza, quella leggerezza di calviniana memoria, arrricchita da quella pensosità che rende la poetica dell’artista romano distante anni luce dalla superficialità. Una dietro l’altra, arrivano “Ecco” e “Le chiavi di casa” (“la mia canzone più difficile e quella più facile”, confessa dal palco, perché l’una testimone di una perdita, quella della figlia Olivia, e l’altra di una nascita, quella del figlio Kim), e poi la struggente dichiarazione d’amore maturo de “La mano sugli occhi” e la ispiratissima “Costruire“, fino al brano che fa ballare di più il pubblico, quel “Vento d’estate” portato al successo con Max Gazzè.
Un concerto intenso, a cui avremmo volentieri regalato un altro scenario, che restituisce un artista capace di emozionarsi e di far emozionare con gemme poetiche di rara delicatezza. Un giardiniere delle parole, per citare il titolo del suo primo disco, che semina, coltiva e protegge con cura e attenzione, e poi raccoglie con la delicatezza di un poeta.
Il tour di Niccolò Fabi prosegue, in vista dell’uscita a ottobre di “Diventi inventi”, la raccolta che celebra il ventennale della sua carriera, a cui auguriamo altri nobilissimi traguardi.
“…è il mestiere che vivo
e l’inchiostro aggrappato
a questo foglio di carta
di esserne degno
è il mio tentativo…”
Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…