Il talento non si improvvisa, e l’arte non può nascondersi. E’ il caso di Andrea Infusino, compositore e chitarrista ormai divenuto una piacevolissima conferma nel panorama jazz contemporaneo. Talento precoce, ha perfezionato la propria bravura grazie ad anni di studio e impegno, che ha portato avanti in parallelo con gli studi universitari e con il lavoro come Ingegnere Informatico, che lo hanno portato ad acquisire una brillante esperienza in ambito SEO. Dopo l’esordio discografico del 2017 con “Between 3&4”, salutato egregiamente dalla critica specializzata, Andrea ha pubblicato recentemente “Amarene nere“, (Emme), disco composto da otto brani e suonato insieme a Marco Rossin al sax, Fabio Guagliardi alle tastiere e Manolito Cortese alla batteria. Abbiamo incontrato telefonicamente Andrea per sottoporgli alcune domande.

Andrea, siamo felici di reincontrarti a distanza di poco più di due anni, per parlare del tuo nuovo lavoro. A cosa si ispira il disco e perché questo titolo, “Amarene nere“, quasi un gioco di parole a metà tra il dolce e l’amaro?
Ciao Luigi, e grazie di accogliermi nuovamente in Noteverticali, uno spazio di qualità che rappresenta una voce di approfondimento e cultura come pochi ne leggo in giro, è un vero onore! Hai colto abbastanza bene il senso del nome del nuovo lavoro e titolo del brano di apertura: è un titolo sinestetico che rappresenta un periodo difficile personale ma da cui ho tratto insegnamenti e una grande crescita. Quello che può sembrare dolce può anche essere amaro, e se una coltre di dolcezza nasconde delle insidie, dall’amarezza di certe esperienze difficili si coglie la dolcezza del traguardo.

Spulciando la lista dei credits, notiamo subito che insieme a te hanno suonato Marco Rossin al sax, Fabio Guagliardi all’organo e Manolito Cortese alla batteria. Gli stessi musicisti del tuo disco d’esordio, “Between 3 & 4“. Ci pare di cogliere una felice continuità, frutto di quali particolari alchimie?
Avevo fatto una promessa che ho inteso mantenere e che ha dato luogo a un ottimo prosieguo in termini artistici, oltre lo spirito di amicizia e convivialità formatosi nel gruppo. Certe caratteristiche sono importanti, ma è grazie al talento che si raggiungono certi risultati. Sicuramente c’è stato un grosso aiuto, anche stavolta, da parte di Marco, Fabio e Manolito a realizzare il mio secondo lavoro, anche stavolta felici e poderosi interpreti delle mie elucubrazioni musicali. In alcuni tratti le sonorità di Between 3&4 si sono mantenute, in altri brani di fattura differente si è creata la stessa amalgama sonora colmando un eventuale gap che avrebbe fatto del disco un semplicistico collage di brani diversi.

Nel disco osserviamo un excursus alquanto maturo che attraversa diversi stili musicali. Penso alle influenze sudamericane di “Sambat“, o allo swing di “Minor Cliff“, che si accompagnano a tracce come “Tavern” e alla stessa title-track il cui stile è più vicino agli standard jazz. Il jazz è il genere musicale che più di tutti esalta la contaminazione.
Ti rivedi in questa definizione?

Assolutamente sì. Guardandomi alle spalle, ricordo di essere stato abbastanza chiuso rispetto ad altre influenze musicali, un po’ troppo fissato. Ho scoperto poi Joao Gilberto attorno ai 19 anni e questo mi ha fatto capire, con la passione verso la Bossa Nova, nuovi suoni e nuovi orizzonti che poi sono confluiti naturalmente tanto nei miei ascolti che nel mio linguaggio. Definire il jazz è sempre stato un po’ controverso: basti pensare che il concetto di “comporre a braccio su uno schema” ha espressioni fin dal Medioevo, passando per Bach, per poi quella che è più propriamente detta musica afro-americana, nonché la musica contemporanea e aleatoria. Il jazz è un termine anche controverso, ma il ruolo del musicista dev’essere quello di saper prendere, influenzarsi e influenzare grazie a un ascolto ampio. Se il jazz si basa sull’oscillazione detta “swing”, allora è proprio l’oscillare su diversi piani di formazione musicale che fa di un musicista un jazzista. Allora mi rivedo nella tua giusta definizione nella misura in cui, con umiltà, mi affaccio e mi faccio contaminare dai suoni del mondo.

Nell’intervista che ci avevi rilasciato in occasione dell’uscita di “Between 3&4“, avevi indicato Miles Davis, John Coltrane, Thelonious Monk, Wayne Shorter, Wes Montgomery, Bill Evans, Freddie Hubbard, Sonny Rollins e Clifford Brown come artisti che avevano influenzato il tuo stile. Sei ancora di questo avviso? Quali sono le preferenze in una tua ideale classifica, e ci sono state new entry?
Certamente, devo però aggiungere anche Vivaldi, Chopin, Rachmaninov, Debussy, Satie… mi fermo perché così parrebbe un mero elenco. Ma, ricollegandomi alla domanda precedente, la bellezza (musicale) ci circonda, grazie ai reperti di questi grandi personaggi che hanno dato il loro talento alla storia. Non solo influenze propriamente jazzistiche, ma anche – per dovere anche cronologico – la musica classica. Mi scuserete (tu e chi legge) se sto usando nomi ed etichette, è per cercare di spiegarmi. Per me, però, non esistono etichette, se non per dare un nome a una cosa e
potermi riferire ad essa con minor ambiguità possibile. Vogliamo parlare di Gibrain, Nietzsche o Wilde? Anche qui, elenco ma soprattutto ispirazione.

Bene. Cosa accomuna “Amarene nere” a “Between 3&4” e cosa invece lo differenzia da quel disco? Su alcuni brani, come lo stesso Amarene nere e Goldfinch, esiste un trait d’union dovuto alla contemporaneità della scrittura. Essi infatti sono stati composti molti anni fa nello stesso periodo e poi, per un motivo di assemblaggio e sviluppo, sono confluiti in due pubblicazioni differenti. Sambat, Tavern, Angela’s Whistle, Minor Cliff e Slow Baritone, invece hanno elementi differenti, in cui sono presenti
idee e spunti successivi a quel periodo, perciò composte negli ultimi 2-3 anni.

Ci sono brani nel disco che sembrerebbero destinati a una voce solista. Pensiamo a “Goldfinch“, una ballad malinconica in cui svetta il sax di Marco Rossin, al quale poi si unisce la tua chitarra, in un delicato binomio armonico che accompagna l’ascoltatore cullandolo dalla tristezza di accordi minori a un atterraggio di serenità caratterizzato da una chiosa in maggiore. Da cosa hai tratto ispirazione per la composizione di questo brano?
Il brano, come detto poc’anzi, nato tanti anni fa unisce una serie di elementi in cui ho cercato di dare una mia espressione a una sonorità già nota. Diciamo mi sono voluto buttare su un brano che avrebbe potuto portarmi a uno scivolone… in altre parole, soprattutto con il supporto dell’organo, ha una sonorità molto bluesy, che ho voluto usare e spezzare a un certo punto con una progressione armonica, presente anche in altri brani del disco, tratti dalle evoluzioni di Coltrane, cioè i Coltrane Changes. A questi due momenti ti riferisci con arguzia e senso musicale e sono contento siano arrivati, vuol dire che ho fatto un discreto lavoro!

“Angela’s whistle” è un brano fresco e dirompente. Possiamo intuire che sia dedicato alla tua dolce metà. Puoi dirci altro in proposito?
Angela’s Whistle, come hai ben detto, è un brano dedicato a mia moglie. Come lei è entrata nella mia vita, un po’ come una pifferaia che col suono del suo flauto ha risvegliato qualcosa in me, il brano ha un senso giocoso, spigoloso ma coinvolgente. Ha una melodia di ispirazione più moderna, di cui anche l’armonia si dota, ma che parte fondamentalmente da un blues minore.

In questi giorni siamo nel pieno dell’emergenza Coronavirus, che significa quarantena forzata per tutti gli italiani. Cosa significa per un musicista non poter diffondere la propria musica attraverso la dimensione che gli è senz’altro più congeniale, ossia quella del live? Hai in programma delle iniziative in streaming per presentare il disco sfruttando i canali social?
Per un musicista i periodi di clausura non fanno paura, perchè in realtà i musicisti sono sempre un po’ combattuti fra live e stare chiusi a lavorare su brani e strumento. Grazie a movimenti come quello dell’hashtag #iorestoacasa tanti musicisti, anche quelli più famosi, non hanno smesso di offrire sollievo con le proprie doti tanto su Facebook che su Instagram o a erogare lezioni via skype. Queste pratiche, però, non sono così poi innovative, perchè la creatività dei musicisti è già arrivata a questi mezzi. Per quanto mi riguarda ho rispolverato un po’ certi studi e condiviso sui miei canali social
(https://www.facebook.com/infusinomusic e https://www.instagram.com/andreainfusino/) alcuni contributi e audio, senza alcuna pretesa se non quella di condividere un po’ di me in più, con onestà e umiltà. Grazie anche all’etichetta Emme Produzioni Musicali, ho potuto dare un piccolo contributo (http://www.emmeproduzionimusicali.it/la-musica-ai-tempi-del-corona-andrea-infusino/) al fianco di altri (grandi) artisti. Personalmente, mi perdonerai la digressione -spero-, spero di dare un contributo anche grazie allo spazio che mi concedi continuando a insistere e dire con forza di rimanere a casa e rispettare le disposizioni emanate dal Governo Italiano.

“Possiamo dire che il jazz è un virus, un virus di libertà, che si è diffuso sulla terra, “infettando” tutto ciò che ha trovato sulla sua strada: il cinema, la poesia, la pittura, la vita stessa”. La frase di Steve Lacy calza a pennello, non credi?
Fortunatamente è un virus (buono) e di cui siamo tutti contagiati. Ho un po’ di difficoltà a parlare in questi termini, visto il momento, ma la similitudine spero sia di buon augurio affinchè tutto l’impegno (Protezione civile, militari, forze armate, medici, volontari e quant’altri) possa sconfiggere questa piaga, affianco al dolore per le vittime (che per me non hanno colore, razza, età, ma sono ITALIANI) e agli insegnamenti per la nostra vita, personale e lavorativa, per vivere meglio e più responsabilmente. (ad esempio… pochi anni fa un noto cantante italiano – che è di talento e forse
voleva solo fare il simpatico – aveva fotografato in treno un ragazzo che aveva mascherina e asciugamano, ironizzando sul fatto che fosse ipocondriaco per la propria influenza. La risposta poi è stata “per la mia cultura la mascherina è un segno di rispetto per non infettare chi mi sta attorno”. Svegliamoci quindi come italiani e non più italioti…)

Puoi anticiparci qualcosa sui tuoi prossimi progetti? Qual è il tuo prossimo desiderio che vorresti esaudire come musicista?
Inutile dire che al momento è tutto fermo, ma utilizzo il tempo speso a casa per fare largo a nuove idee e nuovi progetti per un prossimo disco che spero vedrà la luce nei prossimi 2 anni.

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...