Noteverticali.it_Colapesce_EgomostroA chi chiede che senso abbia oggi la musica italiana, possiamo rispondere presentando il disco di Colapesce. “Egomostro” è una proposta innovativa nel panorama musicale nostrano, ancor più coraggiosa se si pensa che il disco è uscito a febbraio, proprio a ridosso del Festival di Sanremo. Quattordici tracce per andare controcorrente, raccontando vizi e difetti propri per allargarsi all’esterno e scoprire di condividerli anche con gli altri. Colapesce non è una novità per chi mastica di musica al di fuori dei talent e dei circhi sanremesi. La Targa Tenco conquistata per “Un meraviglioso declino” nel 2012 rappresentava già un bell’auspicio. Quell’auspicio oggi si concretizza in microaffreschi che indagano sull’io in un crollo della propria integrità. E il fucile carico “a paure” che l’ascoltatore dovrebbe sparargli contro (come canta in “Entra pure“) diventa un’arma che gli serve per combattere, a suon di parole, il malcostume che si respira intorno. Un album dove si respirano invettive vestite di ironia (“Maledetti italiani” è il titolo del primo singolo tratto dal disco), ma anche poesia, sussurrata e condita da briciole di pulviscolo dadaista. Abbiamo incontrato Colapesce, al secolo Lorenzo Urciullo, alla vigilia della tappa del tour che lo porterà ad esibirsi, giovedì 5 marzo, al Teatro Auuditorium dell’Unical a Rende (CS).

Egomostro” è un bel titolo. Autoaccusa verso i propri narcisismi, autoironia o cosa?
Un neologismo che, secondo me, descrive lucidamente questo periodo storico. Egomostro è un concept album che principalmente parla (male) di Colapesce ma, siccome Colapesce è un comune trentenne, molti si possono rispecchiare nelle dinamiche malate legate all’ego che descrivo. Mi riferisco soprattutto ai microsuccessi, non per forza in ambito artistico, che alla lunga falsano i rapporti fra le persone. L’ego si fa mostruoso, appunto.

Allargando gli orizzonti, quali sono gli altri ‘mostri’ che si possono incontrare nella società di oggi?
L’elenco sarebbe troppo lungo, dalla politica all’arte la penisola è piena di Zombie.

In “Dopo il diluvio” canti “Non siamo dei, non siamo eroi di un videogame“. Un modo per mettere le mani avanti o per ricordarsi che è meglio avere sempre i piedi per terra?
Entrambe le cose, e anche un modo per dire che, pur mettendocela tutta, siamo pur sempre umani pieni di limiti e debolezze. Sbagliare, ma soprattutto cambiare, è lecito. Canto anche “non siamo gatti” per ricordarci che non abbiamo sette vite, ma una a stento.

Gli arrangiamenti del disco sembrano strizzare molto l’occhio al Battiato anni ’80, che non a caso hai omaggiato in un recente reinterpretazione de “La voce del padrone“. Ma si intravede l’influenza del Battisti più sperimentale, anche per il modo di cantare. Ti senti figlioccio di zio Lucio?
Artisticamente ho molti padri e padrini, “Zio Lucio” e Battiato ovviamente, ma anche David Byrne e Sufjan Stevens.

Noteverticali.it_Colapesce_3Dopo l’acustica che caratterizzava i tuoi lavori precedenti, in “Egomostro” si fa molto ricorso all’elettronica.  Come mai questa scelta?
Mi lego alla risposta di prima: avendo vari padri e padrini, ho ascolti molto trasversali e tra questi c’è sempre stata la musica elettronica, anche se Egomostro non è un disco di musica elettronica. Mi piace sperimentare, lo trovo più stimolante e mi viene naturale farlo e mettermi continuamente in discussione.

In “Sottocoperta“, che è uno dei brani che apprezziamo di più, canti “invento nuove strofe come un fabbricante d’armi“. Verrebbe quasi da pensare che a sparare siano i poeti…! A parte gli scherzi, il nome d’arte che hai scelto richiama inevitabilmente alla Sicilia e al Mediterraneo, minacciato mai come in questo periodo da terribili venti di guerra. In cosa l’arte e la musica possono favorire l’integrazione tra i popoli e la spinta verso la pace?  
Credo poco in questo potere di cambiamento che si attribuisce alla musica. La musica può fare da collante e raccontare un periodo storico, in alcuni casi può unire i popoli, ma non le loro ottuse visioni sulla religione che li portano a impiantare guerre assurde. Imagine, per esempio, è una canzone splendida, ma non ha addolcito i russi nel periodo della guerra fredda.

Considerando le produzioni tue, di Dente e Brunori, inevitabilmente, si parla di una nuova scuola cantautorale italiana. Sei d’accordo?
Non amo la parola “scuola”, mi sembra limitante. Sicuramente negli ultimi anni c’è stata una ripresa e un’attenzione maggiore all’uso delle “parole” e alla musica d’autore italiana di qualità, rispetto al decennio precedente, più povero d’idee. Dente e Brunori hanno dato una bella spinta al termine cantautore.

Il tuo lavoro precedente, “Un meraviglioso declino“, ha conquistato la Targa Tenco. Te lo aspettavi? E’ cambiato qualcosa dopo quel riconoscimento?
Non me lo aspettavo, è stata una piacevole sorpresa. Non è cambiato molto, però sento che sto facendo bene il mio lavoro.

Noteverticali.it_Colapesce_4In “Egomostro” canti “Sono stanco di sentire la parola cambiamento, le mie due certezze se le sfiori entro in crisi“. Quali sono queste certezze? Hai fatto i conti con Renzi, che ha il cambiamento come imperativo categorico, almeno a parole?
In realtà io amo il cambiamento, però spesso si usa questa parola come, dici bene, imperativo categorico. E’ una parola che piace molto, ma credo che piacciano di più le certezze, almeno a noi italiani.

I tuoi live sono seguitissimi. Come vivi ogni concerto?
Con grande emozione, mi stupisco sempre quando qualcuno che non conosco canta le mie canzoni. Mi sembra una magia. E’ proprio un lavoro magico.

In “L’altra guancia” canti “Difendiamo le idee con il fiato e con le labbra“. Una presa di posizione forte, ma sussurrata… Non hai timore che concetti forti come questo possano passare in secondo piano per un arrangiamento troppo morbido?  
No, credo che le parole forti arrivino a prescindere dai sottofondi. Anzi ho volutamente svuotato l’arrangiamento di “L’altra guancia” per far emergere con più forza il testo. Tu l’hai notato, quindi ha funzionato!

Nel disco c’è anche il richiamo all’onestà e all’educazione: penso a “Maledetti italiani“. Ma davvero siamo il paese dei furbi? E cosa saremo fra vent’anni?
Cosa saremo fra vent’anni… non lo so, spero meno stronzi e più coscienziosi. “insegnategli ad essere onesto, che i furbi combinano solo casini” è un concetto che ho preso da Tiziano Terzani, un lucido “maledetto” che andò via dall’Italia perché l’aveva capita fin troppo bene.

Noteverticali.it_Colapesce_1In “Reale“, strana e bellissima canzone d’amore, canti “stavolta non consulto più nessuno, amare basta e lo faccio a testa alta“… Il sentimento può essere sinonimo di libertà e di sicurezza? E quali sono i “consulti” che invece opprimono questa libertà e questa sicurezza?  
Spesso i rapporti diventano micro discariche delle nostre paure, delle nostre insicurezze, e Reale è un inno al non avere paura, ad andare dritti come treni, soprattutto se si ama. Amare senza filtri, come quelli di Instagram, che nascondono i difetti e rendono all’apparenza migliori i nostri rapporti.

Il disco termina con la frase “Riconquistiamo la bellezza“. Non poteva esserci esortazione migliore… Che cos’è secondo te la bellezza e come può essere riconquistata?
Prima canto “con un leggero malessere”, che è una citazione presa da Harold Pinter… è importante il prima perché mette in chiaro che non è una cosa semplice riconquistare la bellezza. La bellezza si conquista, secondo me, con la sincerità, facendo le cose che si amano senza scendere a compromessi, anche passando delle fasi di sofferenza.

COLAPESCE – Egomostro
(42 Records – Pubblicazione: 4 Febbraio 2015)
1. Entra pure – 0:35
2. Dopo il diluvio – 4:50
3. Reale – 3:23
4. Sottocoperta – 3:32
5. Egomostro – 3:13
6. Le vacanze intelligenti – 3:58
7. L’altra guancia – 4:25
8. Copperfield – 3:47
9. Brezsny – 2:45
10.Sold Out – 4:01
11.Mai vista – 3:37
12.Maledetti italiani – 4:11
13.Passami il pane – 3:21
14.Vai pure – 0:38

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...