La stanza d’attesa dei Tindersticks continua a essere in realtà molto spaziosa e adesso c’è posto anche per il Cinema.
I Tindersticks, band chamber-pop in odore di barocco raffinato e sensuale, giunge al dodicesimo album in circa 23 anni di carriera. Stuart Staples, il cantante, il violinista Dickon Hinchcliffe, il chitarrista Neil Fraser, il bassista Mark Colwill (sostituito poi dall’attuale Dan McKinna), il pianista e tastierista David Boulter, il batterista Al Macaulay, seguito poi da Earl Harvin, continuano a non voler seguire tendenze di richiamo radiofoniche, procedendo su una cura degli arrangiamenti molto personale, attraverso un’adesione totale al percorso intrapreso quando nel neanche tanto lontano 1992 decisero d’intraprendere questa carriera. “The Waiting Room” è un progetto d’elevata caratura che racchiude 11 canzoni per 11 cortometraggi ispirati alle canzoni stesse e diretti da registi di assoluto valore, fra i quali Claire Denis, per la quale la band ha spesso composto colonne sonore. Musica e Cinema viaggiano sullo stesso binario e alla stessa velocità di una lunga e ampia dissolvenza che si chiude su una giovinezza quasi dimenticata, nell’inesorabilità del tempo e nell’incidenza che una malattia come tante può portare nell’esistenza delle persone. Temi che accomunati nei brani che strutturano il disco. Perché è di una struttura calibrata, elegante, rarefatta, dolente, disperatamente romantica e notturna, che si può parlare.
Il percorso si apre sulle note fiabesche di Follow Me, cover di una traccia della colonna sonora del film “Gli ammutinati del Bounty” (la versione del 1962). Si penetra nel tessuto sonoro con l’ammaliante Second Chance Man, dove la registrazione della voce di Staples sembra quasi provenire da un altrove impermeabile tendente al mistico. Il basso è il protagonista di Were We Once Lovers?, il livello dei battiti sale, cominciando a pizzicare certe corde. Quelle stesse corde vengono poi sollecitate con Help Yourself, il punto forte del percorso, un connubio d’influenze musicali che si dipana in un andirivieni tra rythm’n’blues, funky e jazz. Hey Lucinda – con la voce di Lhasa De Sela, scomparsa nel 2010 e registrata ai tempi di “Waiting for the Moon” – si muove arty nelle brame del pop sinfonico cadenzato su ritmi easy, ed è forse il punto più debole della catena. Una pausa ambient interviene con This Fear of Emptiness, rilassando un poco l’animo, come del resto l’altra strumentale Planting Holes, e collegandosi all’emozionante “spoke-song” How He Entered, dove il pianoforte è il portatore andante di un coacervo di sensazioni che rimandano ad alcune composizioni di Michael Stipe e dei suoi R.E.M. di Automatic for the People. La malinconia, che a volte si fa cupio-dissolvi come nella “title-track” costruita su un sempre presente organo sintetizzato, è la vera protagonista della scena, perché per la band inglese si può parlare davvero anche di reminiscenze teatrali, un accostamento che innegabilmente caratterizza gran parte dei loro lavori, specialmente il capolavoro Curtains, vera e propria opera d’arte in musica, come pure gli straordinari Tindersticks I/II. We Are Dreamers riporta quasi indietro le lancette nel tempo fino agli anni ’90, anni in cui la band era all’apice e dove le chitarre e certe stratificazioni sonore si facevano più sentire ed erano anche meno ammorbidite nei toni; la voce di Johnny Beth, in ascesa con le sue impetuose, accattivanti Savages. Malinconia che chiude magnificamente un disco fatto perlopiù di ricordi scorrevoli, a volte effimeri, spesso afflitti, ma mai tormentati, con l’ultima Like Only Lovers Can, dove il romanticismo trasognato di Stuart Staples torna di risacca sul frangente del velluto più sopraffino.
Non conoscono parabola discendente, parevano soltanto essere un poco stanchi in apertura del nuovo millennio, ma fortunatamente fu soltanto una pausa durata due, al massimo tre album. Oggi, si può affermare con risolutezza, che ne sentiremo parlare ancora a lungo.
Tindersticks: The Waiting Room
- Follow Me
- Second Chance Man
- Were We Once Lovers
- Help Yourself
- Hey Lucinda
- This Fear of Emptiness
- How He Entered
- The Waiting Room
- Planting Holes
- We Are Dreamers!
- Like Only Lovers Can
Federico Mattioni, rapportando la vita e i sensi al cinema, sta tentando di costruire un impero del piacere per mezzo della fruizione e della diffusione delle immagini, delle parole, dei concetti. Adora il Cinema, la Musica e la Letteratura, a tal punto da decidere d’immergervi dentro anche l’anima, canalizzando l’energia da trasformare in fuoco, lo stesso ardere che profonde da tempo immemore nelle ammalianti entità femminili.