Molti anni fa (e chi se lo ricorda con precisione, comunque sicuramente prima dell’undici settembre che avrei partecipato nel centro della stessa città), quando silenzi e revisionismi vari costruiti sulle paludi processuali avevano già da tempo inquinato la memoria della stagione delle stragi e del suo orribile debutto in piazza Fontana, in un cupo pomeriggio di dicembre – non il dodici, comunque – mi trovai a uscire dalla sede di Assindustria a Milano per tornare a piedi verso il parcheggio sotterraneo di Largo Corsia Dei Servi.

NoteVerticali.it_Piazza-Fontana_1Non so spiegare il motivo per cui quel giorno quel pezzo di strada, neppure troppo lungo (meno di un chilometro, sicuramente) e così ben conosciuto, mi fece tanto effetto: la zona di Sant’Agostino e Via Larga è sempre stata “mia”, a maggior ragione perché vissuta in tempi e modi diversi, eppure quella volta pagai pegno al passato mio, e di tutti. Pessimo il cielo dell’inverno meneghino, e la città livida come Ivano Fossati l’aveva scritta: io l’ho vissuta e ancora adesso la vivo spesso così, eppure ricordo bene anche quella che ho così amato dei Gufi, di Fo e di Jannacci, o l’atmosfera festosa del bar Magenta, o i bei giorni di primavera passati al Castello per preparare la mia tesi di laurea. A pensarci bene, potrei sedermi come Snoopy sul tetto della cuccia per scrivere di Milano nel peggiore dei modi e nel suo esatto opposto: credo di non avere vissuto quasi mai sentimenti così contradditori verso un luogo.

Sta di fatto che quel pomeriggio mi sembrava di vivere lo stesso ambiente del 12 dicembre ’69, o per lo meno ciò che ne affiorava dai miei ricordi delle immagini di allora: un incubo, a rivedere il telegiornale di allora, con un bianco e nero monocorde quanto l’eloquio e la formalità dei cronisti che dicevano della tragedia. Anziché seguire la retta, deviai come al solito per piazza Fontana, che con l’adiacente piazza Beccaria ho sempre avvertito come una sorta di felice pausa prima dello scontato e sia pure illuminatissimo grigiore di corso Vittorio Emanuele.

NoteVerticali.it_Piazza Fontana_3Non so perché mi successe quel giorno, sarebbe potuto succedermi in qualsiasi altro giorno di qualsiasi altro inverno passato a Milano, ma successe e basta. Passai per il luogo della strage, mi fermai e decisi sui due piedi di fiondarmi da un fioraio, neppure troppo vicino a lì. Un quarto d’ora dopo tornai sui miei passi e attraversai l’aiuola prospiciente la Banca dell’Agricoltura e deposi un mazzo di fiori sotto la stele che ricorda il ferroviere anarchico Pino Pinelli. Alcuni “ghisa” che andavano e venivano dalla sede adiacente mi guardavano sorpresi, ché il mio aspetto non rientrava evidentemente nella sommaria tassonomia delle figure che si aspettavano in un posto simile. Rimasi lì uno o due minuti soltanto, a salutare Pino (la sua vicenda fu tanto importante per il ragazzo che ero stato che a me come a molti coetanei ne derivò un’innaturale familiarità) e quelli che morirono qualche giorno prima di lui e senza che lui ne avesse colpa alcuna, prima di farmi inghiottire di nuovo dalle complesse, spietate e qualche volta luccicanti puttanate che occupavano le mie giornate.

Quel breve tempo fu però più che sufficiente a ricordare i primissimi giorni dopo la strage, quando anche i miei pochissimi quindici anni furono aggrediti da cose, parole e avvenimenti per i quali, se non avessimo le capacità digestive di uno squalo tigre e la memoria di un floppy disk degli anni settanta, dopo il primo, inevitabile stupore dato dalla rivisitazione di quei giorni la vergogna dovrebbe seppellire nomi, giornali, organizzazioni e protagonisti della vicenda, vivi e no. Dicevo a un amico che oggi sembra tutto talmente assurdo che anche ai miei figli faccio fatica a spiegare la bomba, Valpreda, il tassista Rolandi, Pinelli, Freda, Ventura, Calabresi e Guida. Davvero, una brutta favola sarebbe più credibile da qualsiasi punto di vista. Però sento di doverla ricordare, e raccontare, ogni volta. Chissà che un giorno qualcuno non ne scriva la fine. Non dico bella, perché non potrà mai esserlo, ma almeno giusta.

NdR: Quella ritratta in foto – a cui fa cenno Michele Caprini – è la vecchia lapide installata nel 1976 a cura dello storico Circolo Anarchico ‘Ponte della Ghisolfa’ che lo stesso Pinelli guidava nel 1969. la lapide ha subito diversi danneggiamenti, a seguito dei quali è stata sostituita da un’altra lapide installata nel 2005 a cura del Comune di Milano. Da notare che nella seconda lapide, oltre ad essere riportata la data del 15 dicembre e non del 16, è stato rimosso il termine ‘ucciso’, ovvero vi si legge:

A Giuseppe Pinelli

innocente morto tragicamente

nei locali della Questura di Milano

il 15-12-1969