Ci ha lasciati, a 92 anni, Francesco Rosi. Dietro la sua macchina da presa, ha raccontato le miserie e le speranze di un paese soffocato dal malaffare, dando voce alla denuncia civile come forma d’arte espressiva e incisiva. Un cinema politico, che a partire dagli anni ’50 ha gettato uno squarcio su episodi e situazioni oscure, dando forma ai dubbi e al naturale senso di verità di ogni italiano. Compagno di liceo di Giorgio Napolitano, formatosi nell’ambiente intellettuale napoletano, vantava le amicizie fraterne di Aldo Giuffrè, Raffaele La Capria e Giuseppe Patroni Griffi, conosciuti ai tempi di Radio Napoli, durante la Seconda Guerra Mondiale.
Fu il primo a dirigere Alberto Sordi in un ruolo drammatico: era il 1959, e con “I magliari” raccontava la vitaccia di emigrati italiani che sognavano di fare fortuna con affari poco leciti. Con “Salvatore Giuliano” (1962), e più ancora con “Le mani sulla città” (1963), il senso di cinema impegnato si consolida e si fortifica: ancora oggi, se vogliamo far riferimento alla politica degli appalti e delle bustarelle, il film con Rod Steiger nei panni di Edoardo Nottola resta un caposaldo della cinematografia militante. E la stessa didascalia che apre la pellicola – «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce.» – spiega che la rappresentazione potrebbe benissimo far riferimento ad altri contesti – su tutti, il sacco della Palermo piegata dalla sindacatura Ciancimino negli anni ’80, ma anche, e perché no, Tangentopoli o Roma Capitale – con i quali il nostro paese si è confrontato ahinoi più e più volte.
Il cinema di Rosi non poteva non imbattersi nell’attore che più di tutti ha incarnato il cinema politico in Italia: quel Gian Maria Volontè che Rosi diresse ne “Il caso Mattei” (1972), che racconta la tragica parabola esistenziale del presidente dell’Eni, e che fu frutto dei contatti tra Rosi e Mauro De Mauro, il giornalista che pagò con la vita il proprio impegno sociale nell’inchiesta. Da citare ancora “Uomini contro” (1970), “Lucky Luciano” (1973), “Dimenticare Palermo” (1990), “La tregua” (1997), tratto dal romanzo di Primo Levi, e soprattutto “Tre fratelli” (1981), che parla di Sud, di emigrazione e di conflitti generazionali in un film citato più volte come riferimento per la nuova generazione registica degli anni ’80.
Rosi è stato il padre del cinema civile. Non sarà dimenticato.
LE MANI SULLA CITTA’ – Regia di Francesco Rosi – Intro

Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…