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Quando il manga giapponese approda a Tor Bella Monaca, dà vita al supereroe nostrano, che si origina dalle acque radioattive del Tevere e ha le fattezze di Claudio Santamaria. “Lo chiamavano Jeeg Robot”, lungometraggio d’esordio di Gabriele Mainetti, presente nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, ha messo d’accordo pubblico e critica ed è già, senza ombra di dubbio, un piccolo cult italiano. Finalmente anche Roma, prima grande città della storia, ha il suo supereroe, come ogni metropoli che si rispetti.

Enzo Cecchetti (Claudio Santamaria) è un pregiudicato di borgata che vive alla giornata, accontentandosi di qualche furto e budini alla vaniglia. Un giorno, in una rocambolesca fuga dalle guardie, si getta nel Tevere. Una strana sostanza radioattiva si diffonde da un barile e entra in contatto con l’organismo di Enzo. Da quel momento in poi, l’uomo si accorge di possedere una forza sovrumana che sfrutta per i suoi crimini sempliciotti. La sua vita cambia quando incontra Alessia (Ilenia Pastorelli), svitata ragazza del piano di sotto, convinta che lui sia Hiroshi Shiba alias Jeeg Robot d’acciaio, protagonista dell’omonimo cartone animato. Sotto il torbido cielo di una Capitale sospesa in una sorta di clima pre-apocalittico, in cui gli attentati sono all’ordine del giorno, Enzo viene messo alle strette da un gruppo di criminali capeggiati da “Lo zingaro” (Luca Marinelli), e ormai consapevole dei suoi poteri, è pronto a indirizzarli verso l’armata delle tenebre, la malavita capitolina.

Con un livello visivo da graphic novel, una narrazione dal ritmo incalzante, suggellata da una brillante sceneggiatura di Nicola Guaglione e un cast di attori in splendida forma, il regista crea il mix perfetto per una storia senza precedenti. Se già Gabriele Salvatores ci aveva provato meno di un anno fa con “Il ragazzo invisibile”, Mainetti va oltre, mettendo a segno un gran colpo con destrezza e coraggio.
Per la storia del primo vero supereroe italiano, il regista si serve di una commistione di generi, dal poliziesco al noir passando per la commedia romantica, senza perdere di vista i tratti distintivi, fortemente caratterizzati e caratterizzanti come italiani. L’operazione è del tutto originale: Mainetti si serve inevitabilmente dei supereroi d’oltreoceano, adattandoli alla periferia romana. E così il “Joker romano”, lo schizofrenico Zingaro di Luca Marinelli, non è altro che è un boss dark, tanto egocentrico quanto frustrato ex personaggio televisivo di “Buona Domenica”. Eppure, nonostante la forte caratterizzazione dei personaggi, la storia non rimane segregata in un contesto provinciale, offrendo spunti più universali, come ogni buon racconto di supereroi.
Lo chiamavano Jeeg Robot” è l’esempio lampante di un nuovo modo di fare cinema in Italia, che sembra offrire un barlume di speranza a una cinematografia giovane e piena di vitalità. Il film, nato come una co-produzione tra la Goon Films, dello stesso Mainetti, e Rai Cinema, per noi ha già in mano il Premio del Pubblico.

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