La prima generazione ha lavorato. La seconda ha risparmiato. La terza ha sfondato. Ora è il turno della quarta, che raccoglie un’eredità pesante, della quale a volte resta solo il nome, insieme ai creditori. E’ il destino di tante realtà imprenditoriali del Nord Est, un tempo fiore all’occhiello del paese ed emblema di quell’operosità che oggi è annacquata dal fantasma chiamato crisi economica, con il declino e la dissolvenza – per dirla con Aldo Bonomi – del ‘postfordismo italico imperniato sull’egemonia del capitalismo molecolare’. Un panorama triste e disincantato, che si misura con la chiusura di diverse aziende, un tempo emblema della forza sana e produttiva del territorio, con il conseguente licenziamento degli operai, e purtroppo anche con il crescente numero dei suicidi. Come emerge da uno studio di Link Lab, sono infatti oltre 400 le persone che a partire dal 2012 hanno deciso di togliersi la vita per ragioni economiche. C’è chi, prevalentemente al Sud, lo ha fatto da disoccupato, e c’è chi, principalmente al Nord, ha scelto di farlo da imprenditore. Il Veneto sembra essere la regione più colpita (26 persone nel solo 2014). Ed è proprio in Veneto che è ambientato ‘Mio figlio era come un padre per me‘, bizzarro spettacolo teatrale andato in scena al Teatro Morelli di Cosenza nell’ambito della stagione del Progetto More organizzata da Scena Verticale.
Autori e interpreti del lavoro, Marta Dalla Via e Diego Dalla Via, fratelli in vita e sulla scena. Sul palco, la coppia, residente nel vicentino, in un apparente fancazzismo d’insieme (passando il tempo a divorare boeri) è in realtà intenta a progettare l’omicidio dei propri genitori. Ma, ecco che viene sopraffatta dalla stessa realtà, che supera la diabolica fantasia dei due giovani. Padre e madre hanno infatti deciso essi stessi di farla finita, lui perché imprenditore frustrato dai debiti e dalla crisi, lei ex reginetta di bellezza statunitense, e mai integrata perfettamente in una realtà diversa da quella di origine.
Nella girandola composta da battute fulminanti, ricche di cinismo e raggelante intensità, e condite con il fondamentale colorito accento veneto, la drammaturgia offre notevoli spunti di riflessione, che prestano il fianco a un’analisi impietosa ma tristemente vera. In contesti apparentemente idilliaci, dove la ricchezza sembra potere tutto, in realtà si nasconde un universo di conflitti irrisolti, che esplodono nella tragedia dei figli che non riconoscono i padri, colpevoli di aver regalato loro illusioni prive di basi fondate. Un conflitto non più edipico, basato sugli affetti, ma assolutamente materialista, figlio degenere del consumismo e della becera possessività, che sembra spazzare via ogni elementare criterio etico.
Un lavoro secco e vivo, allegro e frizzante come lo spritz, citato più volte nel testo. Vincitore con merito del Premio Scenario 2013, non fa sconti al perbenismo, e non nasconde il crudo realismo dell’oggi. Assolutamente calzanti Marta e Diego Dalla Via nel dar vita a personaggi che respirano cinismo e proiettano sugli spettatori (purtroppo non molti) un senso di disperata alienazione. Tempi di recitazione perfetti, senza sbavature né dilatazioni, nei quali si inseriscono perfettamente i brani del Teatro degli Orrori: la loro “Vivere e morire a Treviso” descrive in modo mirabile il disagio esistenziale di chi vive per lavorare, e consuma la propria esistenza senza riuscire neppure a guardare le stelle.
Mio figlio era come un padre per me, di e con Diego e Marta Dalla Via, partitura fisica Annalisa Ferlini, direzione tecnica Roberto Di Fresco, assistente di produzione Veronica Schiavone.
(Foto di Angelo Maggio per Progetto More)
Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…