NoteVerticali.it_Still life_Teatro Morelli_2A quella generazione che non progetterà ponti né inventerà antibiotici, perché lo stato, la società, il mondo, non gliene ha dato il tempo. In “Still Life” la scrittura teatrale di Stefano Ricci e Gianni Forte è intrisa di dolore e violenza, di provocazione portata all’estremo, non certo per voglia di scandalizzare, ma per desiderio di impressionare la ‘pellicola’ che è tutt’uno con il cuore e la mente dello spettatore.

Lo spettacolo, che spettacolo non è, va in scena al Teatro Morelli di Cosenza, all’apertura della nuova stagione del Progetto More di Scena Verticale. Teatro gremito, pubblico prevalentemente giovane, attentissimo a seguire, a emozionarsi, a soffrire con gli attori in scena, Anna Gualdo, Fabio Gomiero, Giuseppe Sartori, Francesco Scolletta e Liliana Laera, che coinvolgono la platea con le loro performance. Si inizia a sipario aperto: sulla scena, ben visibile, una fila di lumini. Si fa memoria delle vittime di una guerra, quelle cadute in sacrificio all’omofobia e alla discriminazione, che fa sentire diversi e che, purtroppo, anche nell’era della tecnologia e del progresso, uccide. Prima, ciò che sembra un innocente gioco dei mimi, che però poi la cattiveria umana trasforma in manifestazione della diversità, per come uno si veste, per come parla, per come si comporta, per come pensa. E allora compaiono sullo schermo i nomi di alcune vittime: quasi nessuno arriva ai vent’anni, alcuni di anni ne hanno solo undici, e sono uomini e donne, senza confini geografici, a testimoniare quanto basti poco per ghettizzare una creatura o una comunità, e quanto sembri invece necessario troppo per capire quanta stupidità e quanta ignoranza si nasconda dietro un indice puntato contro qualcuno.

NoteVerticali.it_Still life_Teatro Morelli_4Intanto, gli attori si autoimmolano a vittime, e, ciascuno con un cuscino che nasconde il volto, manifestano l’oscuramento della propria identità di persone e strisciano sul palco, ridotti a vermi da una società che li vuole striscianti e ossequiosi alle convenzioni. Una scena toccante, resa ancora più forte da “Blackout” dei Muse, che si ascolta in sottofondo, e che declina se stessa in una esplosione liberatoria che fa nevicare piume sulla scena e sulla platea, rivelando per ciascun personaggio una maschera che permette di nascondere, ancora una volta, la propria identità, perché, come recita la scritta apparsa sullo schermo, “A differenza del mondo animale, nel mondo umano l’individuo conta più del genere”.

La discriminazione si fa poi violenza, verbale e fisica, e quell’indice puntato contro il diverso diventa ora una tempesta di calci verso la maschera di un uomo, che, nudo e inerme, offre ai suoi carnefici la propria debolezza, punito perché ritenuto magari ‘reo’ di un bacio dato in macchina a un altro lui. Già, il bacio, quella che per Wikipedia è “una importante fonte di contatto fisico fra due persone”, e che esprime affetto, amore, passione, amicizia, rispetto, saluto, ma non chiama certo alla violenza. Ma si possono cambiare le cose? Si può codificare diversamente una società di individui che è chiamata a rappresentarsi attraverso formule matematiche che non esprimono l’essenza e la natura di ciascuno, ma vogliono ergersi a regolatori di un istinto che non può essere circoscritto in un recinto o in una gabbia che condanna il miracolo dell’unicità? L’unica forma possibile resta forse l’amore, e con essa la testimonianza, perché la violenza dei pochi non sopprima le voci di chi reclama rispetto per la propria storia, fatta di percorsi e scelte libere e autonome, non condizionabili da alcuno.

NoteVerticali.it_Still life_Teatro Morelli_8Una guerra combattuta in silenzio da chi, giorno dopo giorno, si allontana dai propri affetti e dalla propria libertà per paura, per il terrore di essere discriminato, per l’assenza di uno stato che troppe volte si fa Pilato, incapace di difendere e proteggere i più deboli. Commovente la lettura delle lettere ad alcune delle vittime di una guerra terribilmente assurda ma dolorosamente vera, mentre la forma teatrale visiva e cruda, che fa di Ricci e Forte dei maestri e dei riferimenti del teatro contemporaneo, si declina in espressioni che liberano violenza con il proposito assoluto di condannarla. Interessante la scelta delle musiche, con riferimenti pop che spaziano dai Prodigy ai Ricchi e Poveri (!), a una struggente “Harmony Korine” di Steven Wilson.

Anna Gualdo, Fabio Gomiero, Giuseppe Sartori, Francesco Scolletta e Liliana Laera sono epici nel muoversi sulla scena talmente coinvolti da coinvolgere a loro volta lo spettatore, che vorrebbe applaudire dall’inizio alla fine, che resta magari sbigottito dai baci estorti dagli attori, dall’acqua che gli si rovescia addosso, da quei cuori di carne torturati e offesi, o da quella voracità belligerante che sa di scivolare, prima o poi, in un mare che concilia vita e memoria. Qui, mentre in teatro si diffondono suggestivamente note e parole de “La fine” di Nesli, attori e spettatori sono chiamati a scrivere su una lavagna il nome di una persona cara che non c’è più. Dolore e violenza si fanno catarsi. Nonostante tutto, è ancora vita. Still life.

NoteVerticali.it_Still life_Teatro Morelli_10(Per le foto si ringrazia Alessandra Greco)

RICCI/FORTE
STILL LIFE

con Anna Gualdo, Giuseppe Sartori, Fabio Gomiero, Liliana Laera, Francesco Scolletta
drammaturgia: Ricci/Forte
movimenti: Marco Angelilli
direzione tecnica: Davide Confetto
assistente regia: Claudia Salvatore
regia: Stefano Ricci

con il sostegno del Teatro di Roma

 

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...