Siamo tra il 1349 e il 1353, nel culmine di quel fervore medievale che ha cambiato radicalmente il modo stesso di concepire la vita e la società. Boccaccio coglie l’episodio della peste del 1348 come pretesto per costruire una cornice letteraria dai toni spiccatamente classici per occuparsi di ciò che gli stava più a cuore: l’uomo.

Quello che Boccaccio ci presenta è un’amorevole quanto disillusa istantanea della società italiana nel più vivo momento della sua crescita. Un vortice di passioni che travolge tutto: religione, politica, legge, famiglia ed economia. Come sospeso in quel continuum spazio-temporale che costituisce la storia della cultura occidentale, l’opera sembra partire dal passato per lanciare il suo sguardo sul futuro, ma soprattutto su di un presente figlio di una nuova idea di società moderna e dinamica dove l’economia e il commercio vengono colti nel loro momento di massima ascesa.

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Nel 1971 è Pier Paolo Pasolini a riscrivere su pellicola l’indagine umana realizzata 618 anni prima dal prosatore fiorentino.

Quanto è ancora moderna l’opera del Boccaccio?

Pasolini con la prima opera della “Trilogia della Vita” riapre un dibattito latente in tutta la sua opera di ricerca artistica riguardo alla natura dell’uomo. Filtrata dagli occhi di un genio indiscusso, la realtà delle 10 novelle scelte da Pasolini per il suo Decameron, pur trattando provocatoriamente gli aspetti più bassi e triviali della vita, si presenta come quel connubio di bellezza artistica e densità semantica tanto caro al regista. Erudito e popolare si mescolano nella creazione di un testo multimediale denso e articolato. Letteratura, pittura, musica e leggenda diventano i materiali grezzi da combinare e rielaborare alla luce di una nuova visione dell’uomo e del suo corpo, lontano da ogni ipocrita costruzione sociale. Lo stesso Pasolini in una intervista afferma “Il corpo: ecco una terra non ancora colonizzata dal potere” trattandosi della prima volta che il corpo nudo di un uomo viene mostrato in un film.

NoteVerticali.it_Decameron_Boccaccio_LisabettaTra le novelle scelte, quella di Lisabetta da Messina (Giornata Quarta, Novella V) è certamente una tra le più conosciute nonché una delle poche nelle quali lo scrittore fiorentino racconta una storia in cui la trivialità e la furbizia fine a sé stesse lasciano il posto all’amore nel suo senso più nobile. Lontano da quella tensione sessuale che pervade le altre novelle, sarebbe interessante spostare l’attenzione su una questione in particolare: il ruolo della donna e la sua rappresentazione artistica. Partendo da quest’ultimo punto, è possibile riscontrare una connessione che da Boccaccio ci porta, attraverso Pasolini, a uno dei maestri della pittura italiana e punto di riferimento dell’intellettuale bolognese: Caravaggio. Le citazioni pittoriche, presenti in maniera massiccia nell’intera opera di Pasolini, avvolgono in un intreccio di polifonie culturali l’intero film, culminando nell’episodio del Discepolo di Giotto interpretato dallo stesso regista. Nel caso della storia di Lisabetta e del suo Lorenzo ucciso dai fratelli, la scena del ritrovamento del corpo del giovane ci rimanda, da un punto di vista contrappuntistico, a una delle opere più famose del Caravaggio: Giuditta e Oloferne. Al di là della differente costruzione della scena (che presenta chiari vincoli spaziali con la novella originale) quello che più colpisce è la concezione stessa dell’atto che Lisabetta si accinge a compiere, posto in relazione a quello che nell’opera caravaggesca Giuditta sta, di fatto, compiendo.

Da un punto di vista cromatico, i costumi indossati dalle donne in scena presentano una costruzione molto simile: il chiarore delle vesti della padrona in contrasto con la classica bicromia delle vesti della “fante”; una scena che dal chiaro scuro della tela si sposta nell’ombreggiato giardino proposto cinematograficamente da Pasolini, pur mantenendo il caratteristico risalto del biancore delle vesti.

NoteVerticali.it_Decameron_BoccaccioMa ciò che risulta più interessante è il sottile gioco di contrappunti che sottende il legame tra le tre opere in questione. L’episodio biblico ci racconta di Giuditta che rischiando la vita per la salvezza del suo popolo, diviene simbolo femminile di riscatto dalla tirannia e di libertà. In Boccaccio il gesto diventa un modo estremo, l’unico a disposizione, per onorare le spoglie dell’amato: “se avesse potuto volentieri tutto il corpo n’avrebbe portato per dargli più convenevole sepoltura; ma, veggendo che ciò esser non poteva, con un coltello il meglio che potè gli spiccò dallo ’mbusto: la testa”. Con Pasolini, invece, la riflessione sulla donna e sul gesto compiuto cresce ulteriormente, diventando pretesto di riscatto e rivendicazione della propria identità sociale. Partendo dalla classicità della storia di Antigone, muovendosi sulle orme dell’opera di Caravaggio, la storia si tramuta in una densa riflessione su quello che è stato ed è tuttora il ruolo della donna: furbizia, forza d’animo, determinazione e capacità di adattamento a situazioni sempre nuove, che la rendono capace di uccidere per amore, come nel caso dell’eroina biblica, ma anche di sfidare le convenzioni imposte dalla società per onorare il proprio amore fino all’estremo sacrificio come per Antigone e Lisabetta.

“Umana cosa è l’avere compassione degli afflitti […]. E per ciò che la gratitudine, secondo che io credo, tra l’altre virtù è sommamente da commendare e il contrario da biasimare”

(Proemio del Decameron, Giovanni Boccaccio)

 

 

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