Calista Frangopoulou, una donna di origine greca che vive in Inghilterra e lavora come autrice di colonne sonore, ha cinquantasette anni, un marito e due figlie gemelle, Ariane e Francesca, alle prese con le prime scelte importanti della loro vita. La prima sta partendo per Sidney, dove andrà a studiare al Conservatorio, la seconda sta per iscriversi all’Università e ha scoperto di essere in attesa di un figlio. Proprio mentre ha appena salutato Ariane in aeroporto, le viene in mente il suo primo viaggio importante: a ventun anni, tre settimane in America, nel remoto 1976. Un’esperienza indimenticabile e destinata a segnarle la vita, soprattutto per l’incontro, del tutto casuale, con Billy Wilder, regista cinematografico tra i più grandi di Hollywood. 

Con “Io e Mr. Wilder” (Feltrinelli), Jonathan Coe torna al romanzo. Sembrerebbe farlo, in apparenza, abbandonando il terreno della narrazione sociale, già battuto in passato con consolidato successo di critica e pubblico (ricordiamo per esempio “La famiglia Winshaw” e “La banda dei brocchi“). Lo stile resta quello della finta leggerezza per raccontare le gioie e i dolori della middle class, ma l’occhio della sua lente narrativa sembra spostarsi in una dimensione più intima, dando spazio a una delle sue passioni più grandi, il cinema. Protagonista è l’io narrante, ancora una volta incarnato da una figura femminile, una costante di buona parte della produzione di Coe. Calista è una signora di mezza età alle prese con le tipiche problematiche della propria stagione, tra figli e famiglia, che si lascia andare attraverso l’artificio letterario dell’amarcord per riportare alla propria mente e far conoscere ai lettori il ricordo di Billy Wilder, forse uno degli ultimi maestri della cinepresa della prima Hollywood, quella del successo stratosferico e del sogno americano. Di Wilder, regista popolare e amato, che negli anni Cinquanta e Sessanta era stato capace di raccontare abilmente la società americana sia con il taglio severo della drammaticità (“Giorni perduti”, “Viale del tramonto”) che con quello, decisamente più leggero, della commedia (“A qualcuno piace caldo”, “Quando la moglie è in vacanza”, “L’appartamento”, “Irma la dolce”), Coe tuttavia sceglie di far rivivere nel romanzo la parte più crepuscolare della carriera e della sua vita, quella lontana dai successi di botteghino. Calista e Billy, due figure così lontane sia geograficamente che anagraficamente, si ritrovano grazie a un incontro fortuito, da cui scaturirà una collaborazione lavorativa proficua e una solida amicizia che aiuterà entrambi, per le rispettive esistenze, a comprendere meglio la vita senza lasciarsi ferire dai fantasmi del passato e dal tempo che scorre.

Il romanzo, godibile dalla prima all’ultima pagina, si presta a diverse chiavi di lettura. C’è la storia di un regista un tempo acclamato e oggi sul viale del tramonto, costretto a recarsi in Germania per trovare uno sponsor per il film che vorrebbe realizzare: una vicenda reale, avvenuta nel 1977, quando Wilder ormai settantenne girò “Fedora” a Monaco e in Grecia a causa del rifiuto degli Studios di finanziare una pellicola in cui nessuno credeva. C’è la consapevolezza acquisita da parte di una ragazza inizialmente incerta sul proprio futuro e poi convinta dalle circostanze a credere nella composizione musicale per il cinema come in qualcosa che fosse più di un semplice hobby. C’è, inoltre, la rilettura del passato, triste e drammatico per Wilder, di origini ebraiche, cresciuto in Germania e costretto a emigrare all’avvento di Hitler, nel ricordo della madre e del nonno periti ad Auschwitz. E, sullo sfondo, c’è la storia di chi fa cinema, alle prese con una continua segmentazione delle proprie esistenze e un costante disagio interiore.

Insomma, un romanzo che, con toni leggeri e da commedia, si compone di diverse sfaccettature. Una piacevole conferma per un autore come Jonathan Coe.

Jonathan Coe, “Io e Mr. Wilder”, Feltrinelli, 240 pagine, 2021.

   

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