Giovanni, regista maturo e acclamato da pubblico e critica, sta per girare il suo nuovo film. La pellicola è ambientata nella Roma del 1956, e narra le vicende di una locale sezione del Partito Comunista Italiano che ospita il circo ungherese Budavári proprio nei giorni della rivoluzione ungherese che sfocerà nell’intervento dei carri armati sovietici a Budapest. I protagonisti del film che si sta girando sono Ennio, segretario della locale sezione PCI, e sua moglie Vera, sarta e militante comunista anch’essa. Ennio e Vera, pur entrambi rimasti colpiti dall’invasione russa in Ungheria, affrontano la vicenda da punti opposti. Se il marito, pur con imbarazzo, resta fedele alla linea del PCI di Togliatti, la moglie invece condanna apertamente l’azione militare e sollecita il coniuge affinché prenda la stessa posizione. Il film è prodotto da Paola, moglie di Giovanni e sua storica produttrice, la quale contemporaneamente sta seguendo le riprese di un altro film da lei prodotto, il primo non di suo marito, di tutt’altro genere, dove è la violenza a farla da padrone. Paola sta portando avanti la relazione con Giovanni in modo stanco e ripetitivo: per questo vorrebbe lasciare il marito ed è in cura da uno psicanalista perché non riesce neanche a parlargli della sua crisi. Nel frattempo le riprese si interrompono per ragioni finanziarie e Giovanni vive una doppia crisi: professionale e personale, perché proprio in quei giorni Paola gli confessa di volerlo lasciare. Contemporaneamente, nelle sue visioni quotidiane riaffiorano i pensieri e le immagini di altre due opere in cantiere: il soggetto di un film tratto dal racconto Il nuotatore di John Cheever e una storia d’amore lunga quarant’anni, proprio come quella tra lui e Paola, tra un ragazzo e una ragazza, sottolineata da una colonna sonora fatta tutta di canzoni italiane. Un film popolare, un film diverso dai suoi.

La poetica di Nanni Moretti è chiara e riconoscibile. L’aggettivo morettiano non è mai stato circoscritto alle etichette. Moretti regista o si ama o si odia, senza se e senza ma. Due anni dopo Tre piani, film liberamente tratto da un romanzo di Eshkol Nevo, arriva nelle sale Il sol dell’avvenire, opera in cui la politica torna centrale. La storia narrata, di fatto un film nel film con le vicende di un regista in crisi, proprio come il Mastroianni felliniano in 8 e ½, in realtà è molto di più. Nanni Moretti sembra essere un tutt’uno con il suo personaggio: lo accompagnano il rigore e la coerenza che trasmette nel carattere spigoloso e a volte bizzarro del suo alter ego sullo schermo. Nei riti propiziatori di Giovanni (la visione serale in famiglia di Lola, film del 1961 di Jacques Demy, degustando dell’ottimo gelato) e nelle sue idiosincrasie (quella verso i sabot, a suo dire rei di non avere il calcagno coperto come la punta) è concentrata buona parte dell’iconografia morettiana che conosciamo da quasi mezzo secolo, attorno al quale ruota un carillon di attori bravissimi (Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova) che in questa occasione fanno un passo indietro rispetto alle loro potenzialità, consapevoli che la scena è appannaggio di Nanni. In lui però ritroviamo anche un avamposto di resistenza culturale rarissimo se non impossibile da riscontrare nei suoi colleghi di oggi. L’idiosincrasia contro il cinema contemporaneo usa e getta che strizza più di un occhio alle piattaforme streaming è totalmente condivisibile. Almeno tre sono le scene iconiche che entrano a pieno titolo nel carnet della cinematografia dell’autore nato a Brunico: quella con i referenti di Netflix, disponibili prima a finanziare il film di Giovanni e poi pronti a tirarsi indietro dopo averne setacciato la sceneggiatura cercando invano slowburner, turning point e what a fuck, quella con i coreani, innamorati invece di un soggetto che prevede come finale il suicidio del protagonista, e quella in cui Giovanni impedisce al giovane cineasta, regista del film non suo prodotto da sua moglie, di girare l’ultimo ciak a tinte totalmente pulp criticando aspramente la banalità della violenza in lungometraggi e fiction, e arrivando a sequestrare l’intera troupe cercando di portarli a condividere il suo pensiero, ricorrendo al parere di autorevoli esperti come Renzo Piano, Corrado Augias e Chiara Valerio, e provando a coinvolgere telefonicamente addirittura un cineasta del calibro di Martin Scorsese. Qui comico e grottesco si intersecano per testimoniare un amore incondizionato per la settima arte talmente forte da lambire i confini di una vera e propria ossessione.

Il sol dell’avvenire è questo e molto di più. È un film che omaggia il Cinema, anzitutto. Oltre alla comunanza del tema del regista in crisi con 8 e ½, numerosi sono i riferimenti a Federico Fellini, dalla riproposizione del circo (il cui nome, Budavári, è un omaggio al campione di pallanuoto Imre Budavári antagonista sportivo del Moretti/Apicella in Palombella rossa) alla sequenza finale de La dolce vita con la coppia che si bacia nel film immaginato con le canzoni italiane, fino alla passerella finale di cui diremo più avanti. Numerose le citazioni di film e personaggi iconici, da The blues brothers con Aretha Franklin a The father con Anthony Hopkins. Il sol dell’avvenire è un film profetico, ancora una volta testimone forse inconsapevole di una realtà che riaffiora dopo decenni: l’invasione russa in Ungheria del 1956 non può che far pensare a quella in Ucraina di oggi (da notare che il soggetto del film era nato ben prima del 2022), così come le divergenze di opinioni tra il PCI e la base in merito al sostegno alla popolazione ungherese non possono non farci venire in mente le posizioni non perfettamente allineate di oggi tra forze che si richiamano alla sinistra ed elettori sempre più disorientati. In più, le scene di contorno nelle quali il regista Giovanni viene interpellato da testate di costume su riferimenti agli avvenimenti più disparati mostrano, sia pure in modo leggero, una presa di distanza tra Moretti e gli opinionisti di oggi, chiamati a disquisire su ogni argomento pur non avendone spesso la più minima competenza.

Ma, più di ogni altra cosa, Il sol dell’avvenire è un film sull’Utopia della Politica. Sul confine, labilissimo e crudele, tra questa e l’Ideale, e, sintetizzando, tra questa e l’Amore, inteso sia come relazione tra due persone sia come felicità di vita per un popolo intero. Davanti alle immagini che la tv del 1956 trasmetteva da Budapest e agli occhi gonfi di lacrime dei circensi ungheresi, i comunisti italiani ritratti nel film scritto da Giovanni affrontano la contraddizione del proprio partito, pronto a sostenere le battaglie di libertà e di dignità per tutti ma incapace, almeno ai tempi della segreteria di Palmiro Togliatti, di trovare il coraggio di prendere degnamente le distanze da Mosca e dai suoi crimini. E qui il cinema morettiano diventa ucronico, quasi al pari di quello di Quentin Tarantino in Bastardi senza gloria e C’era una volta Hollywood. La gigantografia di Stalin sparisce dal muro della sezione PCI e in un giorno di quel novembre, nel commentare la storica decisione dei comunisti italiani di ribellarsi al PCUS, L’Unità titola “Unione Sovietica addio!”. Una molla che fa scattare in Giovanni una inattesa voglia di vivere e una rinnovata voglia di lavorare, nonostante la realtà familiare e pubblica sia ben diversa da quella che si aspettava. E la passerella finale, con la sfilata di bandiere rosse e la gigantografia di Trotsky con i cameo di alcuni tra i protagonisti più noti della filmografia morettiana (ci sono Alba Rohrwacher, Jasmine Trinca, Lina Sastri, Anna Bonaiuto, Renato Carpentieri, Dario Cantarelli, Mariella Valentini, Gigio Morra, Giulia Lazzarini, Fabio Traversa), che ad alcuni potrebbe sembrare autoincensatoria, è in realtà una piccola concessione di Moretti alla propria coerenza artistica, a cui guardare da spettatori e applaudire alzandosi dalla poltrona, in piedi. Non come presa d’atto di un cinema come modello che si estranea dalla società, piuttosto come essenza di un cinema che è inserito perfettamente in essa, ne individua contorni e sfumature, e ne discerne limiti e prospettive, e aiuta a “vivere felici secondo l’ideale di Marx ed Engels”, come recita la didascalia finale del film.

IL SOL DELL’AVVENIRE (Italia, 2023, Drammatico, 95’). Regia di Nanni Moretti. Con Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, Flavio Furno, Mathieu Amalric, Zsolt Anger, Jerzy Stuhr, Teco Celio, Valentina Romani, Elena Lietti, Blu Yoshimi, Benjamin Stender, Beniamino Marcone, Francesco Brandi, Enrico Cerretti, Francesco Rossini, Rosario Lisma, Laura Nardi. 01 Distribution. In sala dal 20 aprile 2023.

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