In una cornice magica, The Boss, immarcescibile, sfida le leggi del tempo e regala quattro ore di show, tra adrenalina, rock e poesia

NoteVerticali.it_Bruce_Springsteen_Roma_16_luglio_2016_6I concerti di Bruce Springsteen, tra le tante altre cose di cui non parlerò perché ne hanno già parlato in tanti, hanno di bello questo. Che lasciano una sensazione di benessere e visione positiva del mondo. E questa sensazione non è limitata al solo momento del concerto. Ma dura per giorni. Rimane addosso, e poi va via piano piano. Ma per giorni ti sembra veramente tutto possibile, tutto affrontabile, persino tutto bello. Come quando si è innamorati. Effettivamente, quella che lega Springsteen a chi lo segue è una storia d’amore, molto lunga, di quelle che ognuno vorrebbe per se stesso. E il Boss ricambia questo amore dandosi tutto, dando il massimo, e facendo sentire bene, ma proprio bene, i suoi fan. Quando si va a un suo concerto si sa che si va ad assistere a un qualcosa di speciale ed unico. Una scarica di energia dove però nulla è sfogo fine a se stesso ma passione. Passione civile (The ghost of Tom Joad, Death in my hometown, Born in the Usa), passione per la vita (Thunder road, Born to run), passione amorosa (NYCS, Tougher than the rest). Non si potrebbe del resto suonare per 3 ore e 50 minuti, senza nessuna pausa, se non ci fosse passione (oltre che preparazione e allenamento).

NoteVerticali.it_Bruce_Springsteen_Roma_16_luglio_2016_1Certe cose non si possono fingere. E visto che la storia d’amore è lunga, è naturale che assistere a un concerto del genere significhi anche dover fare i conti con molte cose. Per esempio, il fatto che in quelle 4 ore ti passa la vita davanti, dato che quasi tutte le canzoni sono state colonna sonora di molti momenti, belli e brutti. E che tutto torna, come fosse un film. E nulla sfugge. Insomma, una sorta di seduta di psicoterapia, ma molto più efficace perché la risposta te la trovi da solo, ed è una risposta positiva, bella carica, una risposta d’amore, alla infinite domande che la nostra vita ci costringe a porci. Ecco, questo mi viene da dire: Springsteen dal vivo – ancora più che su disco – è terapeutico. Ti tira fuori quello che pensavi di non avere, o che pensavi fosse già spento, dagli affanni quotidiani. In quelle 4 ore, e nei giorni successivi, gli affanni si attenuano, e non hanno la meglio. Non perché scompaiano, ma perché il dottor Springsteen ti da l’energia per affrontarli puntando molto sul lato emozionale. Poi, certo, l’effetto va via, mica è un miracolo perpetuo. Forse, proprio per questo, bisogna ogni tanto riandare a visita, e questo il terapeuta lo sa, e infatti in tournée ci va spesso e volentieri, e in tante parti del globo. Il concerto ha contato ben 34 pezzi, molti suonati a lungo, con versioni extralarge, e un coinvolgimento del pubblico che è sempre più forte. Per esempio, l’andarci spesso e volentieri in mezzo attraverso piccole passerelle. Oppure quando in Dancing in the dark, non è salita sul palco la solita ragazza a ballare con il Boss, ma tante persone, anche maschi, per ogni componente della E Street Band (a proposito, quello che ho scritto finora si estende allo staff del terapeuta Springsteen, la leggendaria ESB). Credetemi, non c’è stato un solo momento di noia. I momenti più alti, ma parliamo di vette in mezzo a monti comunque altissimi, sono stati l’inizio, tredici minuti di New York City serenade, così a freddo da essere quasi irreale, di nuovo a Roma con la Roma Sinfonietta Orchestra; la triade di Tom Joad, recuperata nella sua versione originaria acustica, The River e una dolente e mestamente maestosa Point Blank; una Jungleland che meglio di così non poteva venir fuori, soprattutto in quel silenzio irreale e impressionante che ha sottolineato il verso finale “tonight in Jungleland“, che il Boss ha ancora più scandito con lentezza e calma, secondo me anche lui meravigliato di come sessantamila persone all’unisono siano riuscite a trattenere parole e fiato.

NoteVerticali.it_Bruce_Springsteen_Roma_16_luglio_2016_3E poi le scariche rock di Boom Boom, Born to run, I’m a rocker, l’interminabile Shout finale, con ben 4 finti finali, e la solita recita del Boss che finge lo svenimento e lo sfinimento salvo poi riprendere a scatenarsi e fare scatenare in cori e balli. Ma il taglio di questo commento non vuole essere tecnico o didascalico. Voglio tornare alla sensazione che lascia questo concerto, e comunque quasi ogni concerto di Springsteen. Lui entra sul palco e sa che deve raccontare una storia, e quindi si prende tutto il tempo per farlo. L’incedere è veramente da passista, abituato,però anche a grandi e ripetuti scatti e anche a volate perdifiato. Nel ciclismo, un tale tipo sarebbe giudicato, se non una cosa impossibile, comunque una enorme rarità. Entra nei particolari, li scandaglia, e non trascura nulla. Tutto è dosato, niente sembra fuori luogo, a ogni cosa il giusto tempo – tanto ci sono 4 ore, che fretta c’è? Non è un concerto da viver con l’orologio in mano. (Per questo Springsteen è migliore di qualsiasi psicoterapeuta, che a un certo punto, passata l’ora, sia quel che sia, ti congeda, e magari tu stai di merda perché hai appena cominciato a parlare di una cosa delicata). Non ce l’ha lui, no ce l’ha chi lo segue. Ecco perché la sensazione è quella di un incontro con se stessi. C’è il tempo di vivere tutta la gamma delle emozioni di cui siamo capaci, dalla gioia alla malinconia, alla cupa tristezza, alla speranza, alla rabbia, alla disillusione, al divertimento e persino al cazzeggio.

NoteVerticali.it_Bruce_Springsteen_Roma_16_luglio_2016_4È tutto lì, e Springsteen ti da tutto, non ti toglie tempo, non ti mette fretta, e sa che puoi perderti qualcosa e quindi ci ritorna, come a dire, “Hai capito bene? Vuoi che te lo ripeta?“. La sua capacità di catturare, sin da subito l’attenzione, e non smettere mai, è enorme, quasi sovrumana. Un miracolo. Da questi concerti, per chi sa trarne quello che emanano – per questo è necessario che Springsteen sia stata la colonna sonora della propria vita – si esce trasformati proprio come dopo una seria psicoanalisi. Perché in quelle 4 ore ti sei rivisto, hai ringraziato il Signore di avere vissuto certi momenti e di essere ancora qui, e magari proprio lì, tra tutte quelle persone, ti sei fatto tenerezza, a ripensare a certe ingenuità, magari quelle del protagonista di Thunder Road, ti sei coccolato un po’, senza indulgere ad autocritiche distruttive, ti sei messo a piangere durante Bobby Jean, perché ognuno ha un o una Bobby Jean perso o persa per strada, e di cui ha nostalgia e non sa più niente, ti sei chiesto se è ancora il caso di sentirsi nati per correre e ti sei detto “Sì, la corsa non è finita“, e puoi rispondere a questo modo, facendo anche un patto con te stesso, una “Promise” solenne e segreta, perché il carburante te lo stai sentendo pompato addosso, e senti una quieta adrenalina che poi ti porti per giorni – e lo sai che sarà così perché ti è già successo con il Boss. Questo e tanto altro sono i concerti di Springsteen, il quale, alla fine, ha una tale soddisfazione in viso che non puoi non partecipare della sua felicità, e il tutto diventa proprio un rito di felicità collettiva, ma non di quelle plastificate e di cartone fatte di parole vuote, ma una felicità viva, anche dolente, sofferta, e gioiosa al tempo stesso. La felicità del tempo che passa, e che non finisce, proprio come questo concerto. La felicità del riappropriarsi di se stessi, delle proprie emozioni, della propria storia, di giornate speciali, di persone che magari ora non ci sono più, di tornare a viaggiare dentro, di fare il punto della situazione, perché sei lì anche per questo, soprattutto per questo.

Non è mica solo divertimento. Ed ora, qualcuno mi dica se dopo tutto quello che ho scritto, si può dire che Springsteen sia un furbacchione del rock. No, perché, forse qualcuno non lo sa, ma un suo collega italiano, che non cito per pietà, così lo ha definito, non accorgendosi dell’enorme fesseria che stava dicendo. Le furbate hanno vita corta. Springsteen ha una carriera lunghissima alle spalle, come sono lunghissimi i suoi concerti. Non c’è spazio per le furbate, ce ne saremmo accorti, durante tutto questo tempo. E invece ci siamo, in tantissimi, in tutto il mondo, sinceramente, genuinamente, semplicemente, meravigliosamente emozionati.

BRUCE SPRINGSTEEN – New York City Serenade (live in Roma, 16/07/2016)

Di Vincenzo Greco

Docente Luiss, dirigente pubblico, musicista, cantautore, videonarratore. Insomma, raccontatore di cose ed emozioni, con parole, musica e immagini.