Abbiamo intervistato Michele Neri, storico autore del programma di Raiuno che in estate si conferma campione di ascolti
James Matthew Barrie diceva che Dio ci ha donato la memoria perché così possiamo avere le rose anche a dicembre. Gli faceva eco Samuel Beckett, secondo il quale l’uomo di buona memoria non ricorda nulla, perché nulla dimentica. Già, ricordare. Un gioco troppo facile, o forse troppo pericoloso, inevitabilmente preda di confronti e paragoni, di rimpianti e alienazioni. La televisione alimenta il gioco della memoria con continui rimandi al proprio glorioso passato, fatto dei grandi varietà con milioni di ascoltatori, e dei mattatori divenuti beniamini di intere generazioni. Merito anche e soprattutto di Techetechetè, trasmissione di Raiuno che dal 2012, con successo sempre crescente e ascolti che superano in media i 3 milioni a puntata, gioca con la memoria in modo rispettoso e intelligente, regalando ogni sera d’estate (salvo una parentesi invernale nel 2017), dopo il tg delle 20, uno spaccato della televisione declinata al passato, con personaggi mai dimenticati. Abbiamo intervistato Michele Neri, giornalista e scrittore, uno degli autori storici della trasmissione.
Con l’estate, Techetechetè è presenza fissa nei palinsesti di Raiuno, nonché uno dei programmi in assoluto più visti del periodo. Perché secondo te? La TV d’estate è povera di contenuti? Se la trasmissione andasse in onda tutto l’anno, pensi che avrebbe lo stesso successo?
La forza di Techetechetè credo risieda nell’unione tra immagini di repertorio, di una televisione che sicuramente manca ai telespettatori, e un criterio di montaggio che faccia risultare il tutto come estremamente dinamico. Chi guarda una puntata di questa trasmissione, coglie la ‘sceneggiatura’ (perdonatemi il termine alto) che ogni autore costruisce attorno al tema o nella monografia che sta realizzando. Se uniamo a questa struttura il fatto che vengono proposti personaggi molto amati dal pubblico, spesso scomparsi, ecco svelati gli ingredienti principali di questo duraturo successo. Che il palinsesto estivo sia poi abbastanza debole, non è un mistero e quindi Techetechetè va anche a occupare gli spazi lasciati liberi da una programmazione spesso piena di repliche e proposte debolucce. L’idea di andare in onda tutto l’anno solletica noi autori ma ci spaventa allo stesso tempo. Non è facile rinnovarsi di anno in anno già andando in onda per circa 110 volte. Figuriamoci con 200 o 300 messe in onda come sarebbe difficile non ripetersi. Però è anche vero che si possono trovare nuove formule, magari in altra collocazione oraria, per evidenziare anche personaggi difficili da gestire in monografie estive e in prima serata. Insomma noi ne parliamo spesso ma ancora non abbiamo mai affrontato il problema approfonditamente. Anche perché non dipende da noi.
Quali le novità dell’edizione 2018?
Forse c’è stata una maggior attenzione alle puntate musicali con una serie dedicata alle canzoni che hanno avuto successo dal 1960 al 1999. Le abbiamo divise per decenni, affrontando quattro anni per ogni puntata. Nella prima le canzoni del 1960, 1970, 1980 e 1990 e così via aumentando ogni volta di un anno ogni decennio preso in esame. Sono puntate che sono state molto apprezzate. Per la prima volta sono state fatte due puntate dedicate ai cantautori – esperimento che probabilmente verrà ampliato nella prossima stagione – ed è stata anche realizzata una piccola serie di puntate, molto raffinate, dedicata a nomi fondamentali del nostro cinema: Sordi, Vitti, Rossellini, Mastroianni, Rossellini e altri.
Techetechetè è un gioco della memoria, che inevitabilmente porta a fare un confronto tra la TV di oggi e quella di ieri. Cosa è migliorato e cosa invece è peggiorato, secondo te?
Si tende generalmente a dire che non c’è alcun paragone tra la televisione di ieri e quella di oggi. Oggettivamente è difficile non concordare con questo pensiero. Io personalmente però non partecipo al gioco del massacro verso chi la televisione oggi la fa. Io non sono un autore di studio però ho visto al lavoro miei colleghi che lo sono. Ne ho rilevato la grande professionalità e le competenze. Non sono un esperto di televisione al punto di poter capire cosa abbia determinato il peggioramento – abbastanza evidente – della proposta televisiva. C’è chi attribuisce al minor numero di prove per ogni fase di una trasmissione, questo peggioramento. Mi sembra ovvio che può essere una concausa ma deve esserci altro. Sicuramente è cambiato anche l’approccio dello spettatore – e qui si spiega ancora il successo di Techetechetè forse – Nell’epoca d’oro del varietà televisivo, uno sketch (di Gino Bramieri, ad esempio) o un monologo (di Walter Chiari, sempre per citare), poteva durare anche 14/15 minuti. Oggi sarebbe improponibile una dilatazione dei tempi. Oggi che persino Facebook è considerato prolisso e sta perdendo terreno rispetto al frenetico e compresso Instagram, un monologo deve essere ritmato e sintetico, lo sketch breve. Ecco che il ritmo di Techetechete che unisce il ritmo del nostro montaggio con la bellezza strutturale di sketch e monologhi studiati e realizzati con grande cura, diventa vincente.
Quali sono i personaggi che il pubblico di Techetechetè ama incondizionatamente?
Sono tanti, innanzitutto i mostri sacri della televisione in bianco e nero: Raimondo Vianello e Sandra Mondaini su tutti, sempre e comunque. Poi Paolo Panelli e Aldo Fabrizi, Bice Valori, il già citato Walter Chiari, insomma tutti i grandi mattatori del nostro varietà. Anche Giorgio Panariello e Carlo Verdone piacciono sempre molto anche, se tra i più recenti, Fiorello non ha rivali. Dal punto di vista musicale ci sono i soliti mostri sacri: Battisti, Mina, De André, Mia Martini, Milva, Dalla e Pino Daniele. Però anche nomi più inconsueti vengono molto apprezzati: Mango, Vasco Rossi, Luigi Tenco. Poi ci sono le soubrette e su tutte Raffaella Carrà e Loretta Goggi, queste veramente tra le più richieste in assoluto.
A proposito di musica, tema di cui ti occupi in gran parte per Techetechetè, ritieni che lo spazio dedicato alla musica in TV sia maggiore o minore rispetto al passato?
Sì ho la fortuna di godere della stima del mio direttore Gianvito Lomaglio e del capo progetto Elisabetta Barduagni per quanto riguarda il lato musicale di molte delle puntate a me affidate. Come ho già detto prima, c’è stata una maggior attenzione alla musica in questa stagione di Techetechetè, scelta che è stata fortemente apprezzata dai telespettatori. Stiamo studiando alcune formule per incrementare, senza snaturare il programma che, ricordiamo nasce come riproposizione del grande patrimonio di varietà della televisione italiana.
Recuperare i cimeli delle teche RAI è impresa che ti ‘invidiano’ in molti. Quali sono stati i recuperi di quest’anno dei quali vai più orgoglioso?
Io considero questo lavoro una vera e propria fortuna. Devo però far presente che la ricerca nelle teche è, come tutti immaginano, una vera goduria ma anche fonte di frustrazione quando diventa infruttuosa per deterioramento del materiale, irreperibilità dello stesso. Insomma è bello cercare ma è anche faticoso. Devo dire che ho l’impressione che la RAI stia facendo un gran lavoro di sistemazione degli archivi con grandi opere di digitalizzazione anche se il materiale ancora da catalogare è molto e magari anche interessantissimo. Noi ci auspichiamo di poter avere il tempo e la serenità lavorativa, nei prossimi appuntamenti stagionali, che ci permettano di cercare sempre cose nuove e rare da poter proporre al pubblico. Noi spesso lavoriamo coi secondi contati e questa fretta mal si addice al reperimento di materiali inediti (o quasi). Per quanto mi riguarda, quest’anno sono molto soddisfatto di aver trovato cose abbastanza rare riferite ai cantautori, tema cui ho dedicato due puntate: da Stefano Rosso che canta, integrale, la sua Una storia disonesta, ad Alberto Fortis in una coloratissima versione di Settembre o ancora Ron in una bella Una città per cantare live e Pierangelo Bertoli con la sua Cent’anni di meno. Insomma non sono ritrovamenti eccezionali, non cercavo cose sensazionali, volevo coniugare popolarità e ricercatezza, però mi hanno permesso di approntare due puntate abbastanza filologiche ma non di meno popolari. Non dobbiamo mai dimenticare che noi siamo in onda per un vasto pubblico, che merita di godersi una bella trasmissione di una quarantina di minuti senza mai annoiarsi di fronte a cose troppo di nicchia e allo stesso tempo abbiamo il dovere di accontentare, almeno in parte, anche il pubblico più specializzato, quello formato da grandi esperti di quello o di quell’altro personaggio.
Se pensi a un’edizione di Techetechetè del 2048, cosa ti viene in mente? Cosa si salverà della TV di oggi?
Se penso alla televisione del 2048, vedo la sparizione della televisione generalista, completamente soppiantata dalla digitalizzazione. Questo potrebbe non significare che una trasmissione che utilizzi materiale storico abbinato a un montaggio creativo, non possa aver senso. C’è un altro motivo che il pubblico non conosce: Nelle trasmissioni recenti, diciamo da una quindicina di anni a questa parte, sono largamente vincolate, negli ospiti o nella loro interezza. Noi non possiamo utilizzare molte immagini di queste trasmissioni se non con permessi speciali. Chissà quali materiali saranno disponibili nel 2048? Sicuramente saranno disponibili nuovi materiali relativi al periodo che va dal 1955 al 1990. Sicuramente non sarà un problema mio.
Oltre alla tv, hai esperienze di giornalista cartaceo (sei direttore del magazine Vinile) e di scrittore. Sei autore di una monumentale discografia su Lucio Battisti. Qual è stata la sorpresa più bella scaturita dalla tua certosina ricerca durante la stesura del libro?
Sicuramente aver reperito molte date e orari di turni di registrazione grazie alle agendine di arrangiatori e musicisti e di aver ricostruito le formazioni di parecchie registrazioni. Cosa che non aveva mai fatto nessuno prima.
Stai preparando un nuovo libro? Se sì, su cosa?
Sì, sono tornato a scrivere un libro dopo molti anni. Non posso rivelare molti dettagli ma sarà un dizionario altrettanto monumentale.
Interessante il tuo studio dei cantautori post 2000. Chi ti ha colpito di più tra gli ultimi ascolti? C’è già un Battisti post 2000?
Carlo Valente è tra i più bravi che mi sia capitato di sentire. Dal vivo fa ad esempio proprio I giardini di marzo. La domanda, assurda, dovrebbe essere: c’è una nuova Battisti? Le cantautrici degli ultimi tempi sono incredibilmente brave. Gabriella Martinelli, Marlò, Eleonora Betti, Flo, Carlot-ta. Potrei continuare per parecchio tempo e dimenticherei sicuramente qualcuna.
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Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…