noteverticali.it_pietro_grossi_il_passaggio_feltrinelliDopo aver letto il libro, edito da Feltrinelli, abbiamo intervistato l’autore fiorentino: “Avevo voglia di raccontare una storia di mare”

Carlo è uno stimato professionista di origini italiane che ha eletto Londra a sua residenza. Vive e lavora nella capitale inglese, ha una moglie e due bambini. Un giorno riceve una telefonata. E’ suo padre, con il quale ha raffreddato i rapporti da qualche tempo. Lo invita a raggiungerlo in Groenlandia per aiutarlo a trasportare una barca in Canada. Questa è la sinossi de “Il passaggio“, il romanzo di Pietro Grossi pubblicato recentemente da Feltrinelli. Una storia senz’altro originale, che descrive un rapporto, quello tra un padre e un figlio che si ritrovano tra le nevi e i ghiacciai del Mare del Nord. Qui il protagonista e voce narrante arriverà finalmente a comprendere quel padre che non ha mai amato, perché non lo aveva mai capito fino in fondo.

Abbiamo incontrato Pietro Grossi, al quale abbiamo rivolto alcune domande.

“Il passaggio” è un romanzo che parla di un rapporto tra padre e figlio. Due persone che si ritrovano, a distanza di anni, per cercare di riannodare i fili di un legame che si era interrotto, bruscamente, qualche anno prima. Come è nata l’esigenza di raccontare questa storia?
È nata innanzi tutto dalla voglia, che mi portavo dietro da sempre, di raccontare una storia di mare. Nel momento stesso in cui ho accolto la possibilità di affrontare il mare, ha iniziato a bisbigliare in me la richiesta di aiuto di un padre a un figlio, per fare un trasferimento in barca. Ho scoperto poi che quel bisbiglio era in effetti una telefonata, e che quel padre si trovava in Groenlandia. Tutto è cominciato da lì.

Lo scenario del romanzo è quello meno prevedibile possibile, i ghiacciai della Groenlandia. Il gelo iniziale di un rapporto che via via va a sciogliersi. Si tratta di una casualità o è una scelta voluta?
Per diverso tempo, nel sentire l’eco di quella richiesta di aiuto, davo per scontato che il mare verso cui il padre chiamava il figlio fosse uno dei mari che conoscevo: Mediterraneo, Atlantico, Mar dei Caraibi. Eppure c’era qualcosa che stonava, che non pareva al suo posto. Nell’estate del 2012 ho raggiunto quella che sarebbe poi diventata la prima barca battente bandiera italiana a completare il Passaggio a Nord Ovest. Quando arrivai là in Groenlandia, capii subito di essere nei luoghi della storia di cui sentivo gli echi e i bisbigli.

noteverticali.it_pietro_grossi_2Oltre al rapporto tra padre e figlio, il romanzo si confronta inevitabilmente con grandi miti letterari come Conrad e Hemingway. Ha avuto per un attimo il timore di scontrarsi come il Titanic davanti a un iceberg?
Non ho avuto quel timore per un attimo, l’ho avuto tutta la vita. Scrivo da quando sono molto piccolo – otto o nove anni – e vado anche in barca da quando sono molto piccolo. È ovvio dunque che molto presto ho iniziato a desiderare di scrivere di mare. A dire il vero ricordo che, quando avevo quattordici o quindici anni, questo era il mio grande sogno: unire questi due grandi amori. Eppure non ci riuscivo. Non sapevo da dove iniziare a raccontare qualcosa di così vasto. E sì, sentivo sulle spalle il peso di tutti i mostri sacri che avevano raccontato il mare prima di me. Ho trovato il coraggio dopo aver terminato il mio ultimo romanzo, Incanto: solo dopo le difficili sfide che ho dovuto affrontare per portarlo a termine ho sentito di poter finalmente provare ad affacciarmi sul mare.

Carlo, il protagonista del suo romanzo, è un italiano che vive e lavora a Londra. Un cervello in fuga, direbbe qualcuno. Cosa dovrebbe fare secondo lei il governo italiano per evitare che tanti talentuosi Carlo vadano via dall’Italia?
Investire di più su ricerca e istruzione e snellire i reticoli burocratici in cui si aggroviglia ogni possibilità di serio sviluppo.

Facile parlare di Brexit. Come avrebbe vissuto secondo lei l’esito imprevisto del referendum?
Bella domanda. Andrebbe chiesto a lui. Quando un mio libro esce, purtroppo i miei personaggi se ne vanno con lui, quindi non posso chiamare Carlo e sentire cosa ne pensa. Considerato però tutto il tempo che ho passato insieme a lui, credo che probabilmente mi direbbe che non si preoccupa tanto per se stesso e il suo lavoro: è ben avviato e anzi sta per diventare socio del suo stesso studio. Sarebbe, credo – come me del resto – preoccupato per la vita dei suoi figli, per il grande sogno di un’Europa che rischia di sbriciolarsi dietro abiette paure e disonesti populismi.

A proposito di referendum, possiamo sconfinare nella politica? Cosa pensa di quello del 4 dicembre? Andrà a votare?
Sì, andrò senza dubbio a votare e penso che sia un momento molto importante per il nostro paese, per il grado di maturità che sarà in grado di dimostrare e per la sua spinta verso il futuro. Penso che le riforme coinvolte non siano le migliori possibili ma penso anche fermamente che siano un passo verso un possibile tempo meno stagnante di quello da cui proveniamo. Penso che dietro alle opposizioni a questo referendum ci siano più egoistici secondi fini di quanti non ce ne siano dietro a quelli di chi lo promuove. Quindi, se non s’era capito, voterò Sì e lo farò con convinzione.

Torniamo al romanzo. Un altro tema è quello del rapporto tra uomo e natura, tra la piccolezza della fragilità umana e la grandezza e l’imponderabilità di ciò che ci circonda. Un rapporto che si può affrontare con autoironia, come ricorda citando ciò che fecero i fiorentini all’indomani dell’alluvione del 1966. Da appassionato di mare, qual è il suo pensiero in proposito?
Visto che si parla di ironia, è più da appassionato di questa che mi viene da rispondere. Mi piace credere che una delle caratteristiche più luminose dell’essere umano sia il senso dell’umorismo, inteso come – secondo la definizione di un vocabolario, mi pare quello Garzanti – la capacità, attraverso il riso, di osservare il mondo da nuove e inattese angolazioni. Non c’è persona, presente o passata, che io non reputi intelligente – nel senso più alto della parola – che non goda di un acuto senso dell’umorismo. La vita non è così seria come tutti da un po’ di tempo cercano di convincerci.

Ha mai vissuto esperienze come quella dello scampato naufragio?
Non quella in particolare, ma ho vissuto almeno tre situazioni dove un naufragio sarebbe stato più che possibile. Una anche quest’anno.

Carlo è figlio ma è anche padre, quasi inconsapevole di esserlo. Cosa lo fa maturare dall’esperienza vissuta in Groenlandia?
Impara a vedere suo padre semplicemente come un uomo, e a perdonarlo. Di conseguenza, a perdonare se stesso e tutta l’umanità.

La scelta di abbandonare la famiglia per seguire il padre in Groenlandia sembra essere vissuta da Carlo con troppa leggerezza, e quasi senza rimpianti. E’ come se il rapporto con Francesca non sia così cementato e idilliaco, e il viaggio in Groenlandia sembra quasi configurarsi come una fuga dalle proprie responsabilità di compagno. E’ davvero così?
Penso che questo sia uno di quei casi dove ognuno fa sua una storia e ci legge dentro ciò che crede. Non posso quindi che rispondere da lettore di me stesso, che vale come il giudizio di qualunque altro lettore. Fatta questa premessa, non credo che Carlo vada in Groenlandia con leggerezza. Viene letteralmente rapito dal dramma di quella decisione, e vuole essere sicuro che Francesca e sua madre e sua sorella lo appoggino. A questo riguardo, al termine della storia, scoprirà addirittura molto di più. Si trova davanti all’opportunità di comportarsi forse per la prima volta da vero uomo, di prendere in mano la sua vita e provare a ricucire il rapporto con suo padre. E pur essendo terrorizzato – e pur preferendo di gran lunga andarsene qualche giorno via con la sua famiglia – va incontro a ciò che sente giusto.

NoteVerticali si occupa, oltre che di musica, anche di cinema e letteratura. Se “Il passaggio” fosse un film, che film sarebbe? E se fosse un disco o una canzone?
Se devo per un attimo superare quella che il mio editore definisce un’eccessiva tendenza all’understatment, e sognare di trasportare Il passaggio su pellicola, amerei immaginare – anche se non tratta esattamente lo stesso tema – qualcosa come Il petroliere, ma ovviamente ambientato in mare. Come canzone, sognerei una via di mezzo tra Baba O’Riley dei Who e Wish You Were Here dei Pink Floyd.

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