Quando lo stato scende a patti con l’antistato, significa che la democrazia è e resta ormai solo una parola sterile e stupida al tempo stesso, utile per riempire bocche che respirano ipocrisia e per lasciare la speranza di giustizia ai sognatori. Trattativa è un termine che presuppone parità di rispetto e di regole, in una partita tra giocatori portatori entrambi di dignità e di rispetto. Se da un lato però ci sono le istituzioni e dall’altro la criminalità, no, c’è moltissimo che non va. Si è parlato di “trattativa”, intesa come patto tra Stato italiano e Mafia, come negoziazione chiesta a Cosa Nostra dai vertici politici e militari nel periodo successivo alle stragi di mafia (tra il 1992 e il 1993) a Cosenza, nel corso della proiezione dell’omonimo film-documentario di Sabina Guzzanti, che viene portato di città in città per sensibilizzare le coscienze, dopo il quasi boicottaggio avvenuto all’epoca di uscita della pellicola, lo scorso ottobre. L’evento, organizzato presso l’Auditorium “A. Guarasci” del Liceo Classico “Bernardino Telesio” dalla parlamentare europea Laura Ferrara, del Movimento 5 Stelle, ha visto precedere alla proiezione della pellicola un interessante dibattito sul tema “Mafia e Criminalità”, moderato dal giornalista Arcangelo Badolati, al quale, oltre alla stessa Ferrara, hanno partecipato Nicola Gratteri, procuratore aggiunto del Tribunale di Reggio Calabria e in prima linea nella lotta alla ‘ndrangheta, Nicola Morra, senatore M5S, e Giancarlo Costabile, docente dell’Università della Calabria.
Di grande impatto gli interventi dei relatori, a partire da Gratteri, che ha giustamente rilevato quanto il legame tra mafia e politica si sia ormai cementato negli anni, e quanto il contrasto alle mafie non sia da valutare tanto in base al numero degli arrestati, quanto piuttosto in relazione alla possibilità concreta di bloccare l’incidenza mafiosa a livello di mentalità. Emblematici in questo senso gli episodi di sottomissione mafiosa di cui abbondano le cronache, e che coinvolgono spesso espressioni della società – pensiamo alla politica, certo, ma anche a una certa parte della Chiesa – che invece dovrebbero impegnarsi fino in fondo per garantire la libertà e combattere il malaffare. Significativa la testimonianza dell’on. Ferrara, che ha illustrato la difficoltà che, da italiana e ancor più da meridionale, si incontra a Bruxelle s nel far passare l’idea che la mafia sia divenuta ormai un fenomeno transnazionale e non solo circoscritto alle sole regioni del Sud Italia. Forte poi la testimonianza di Giancarlo Costabile, docente Unical e promotore del laboratorio di pedagogia della resistenza. Costabile ha esordito citando Rosario Livatino (‘Quando moriremo nessuno ci chiederà quanto siamo stati credenti, ma credibili’) e dichiarando che fare pedagogia della resistenza significa raccogliere l’eredità di chi è morto per cambiare le cose, nella forza di volontà che deve essere legata all’azione: guardarsi allo specchio, vergognarsi della passività propria e di quella del proprio contesto, che ha avallato il ‘sistema di inginocchiatoi’, tacendo sulla nostra storia e sulla nostra memoria non condivisa, quindi agire, riscoprendo di essere comunità. Molto critico nei confronti di quella che ha definito ‘Antimafia di cartone’ (‘Cosa hanno fatto vent’anni di antimafia se al Nord la mafia è cresciuta e al Sud ancora esiste?’) dove a suo dire tanti mediocri trovano visibilità nella commemorazione dei morti, attività che non comporta alcun rischio, Costabile si è soffermato poi sulla realtà cosentina, dove il fenomeno mafioso è solo apparentemente ridotto, e su quella più in generale del Sud, ricordando le parole di Pino Aprile in ‘Mai più terroni’ (‘Sud è chi viene messo nelle condizioni di non essere e poi è rimproverato per non essere‘).
Di rilievo anche l’intervento dell’on. Morra, secondo cui ‘è il potere a volere che nulla si possa cambiare’. Prendendo a esempio le vicissitudini avute dal film ‘La Trattativa’, che ha avuto problemi di distribuzione ed è stato ritirato dalle sale in tutta fretta, Morra, già docente del Liceo Telesio, ha evidenziato quanto fondamentale il ruolo degli insegnanti nelle scuole: “Se un docente è convinto che la realtà non si possa cambiare, allora deve andare a casa”. Recuperando l’insegnamento di Vittorio Arrigoni, per sconfiggere le mafie secondo Morra occorre seguire un imperativo categorico: ‘Diventiamo umani‘. Questo perché spesso, secondo Morra, ci abbrutiamo e dimentichiamo ciò per cui siamo chiamati a essere. Fondamentale, in questo senso, la differenza tra istruzione e cultura, e il richiamare il coraggio come tentativo di vivere la nostra esistenza come cittadinanza e non sudditanza. In conclusione, Morra ha citato l’episodio del febbraio 2014, legato alla mancata uscita del quotidiano “L’Ora della Calabria” a causa di ingerenze politiche: in quell’occasione, Morra si fece promotore di un’interrogazione in Parlamento sul silenzio imposto al quotidiano calabrese circa l’inchiesta sul figlio del senatore Antonio Gentile. Ricordando l’episodio, Morra ha stigmatizzato il comportamento dei suoi colleghi parlamentari, che all’epoca preferirono prendere posizioni silenti più che intervenire direttamente. E questo, secondo Morra, è sintomatico del fatto che la Calabria sia una regione dove ci sono troppe prossimità, troppe contiguità. Citando S. Agostino (“Lo stato ha la sua ragion d’essere nella forma di esercizio della giustizia”), Morra ha concluso evidenziando quanto sia nostro diritto e dovere dire la verità – perché la verità si coniuga con la giustizia, il silenzio è assenza di verità, quindi ingiustizia, e quindi omertà – e augurandosi che il Movimento 5 Stelle possa evaporare presto, perché significherebbe aver raggiunto lo scopo di contribuire “a far diventare dei sudditi cittadini”.
Spazio poi alla proiezione del film “La Trattativa”, che, attraverso l’azione di un gruppo di attori (capitanato dalla Guzzanti, con la presenza, tra gli altri, di Ninni Bruschetta) offre una ricostruzione fedele degli episodi più rilevanti delle vicende, tra il 1992 e il 1993, che portarono al papello che sancì l’accordo tra Stato e mafia. Una vicenda oscura e maledetta, ricca di necessari flashback, che vide protagonisti esponenti politici e mafiosi, ma anche agenti dei servizi segreti, alti ufficiali, massoni e magistrati, che, attraverso uno sguardo a volte anche leggero nella caratterizzazione dei personaggi, dipinge l’onestà e il malaffare come facce di una stessa maledetta medaglia, e che dimostra quanto sia fondamentale da parte dei cittadini vigilare, informandosi e pretendendo la verità, a qualsiasi livello. Da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a Vito Ciancimino, Mario Mori, Gian Carlo Caselli, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Bruno Contrada, Vincenzo Parisi, Nicola Mancino, Giorgio Napolitano, protagonisti pubblici, vittime e carnefici di una stagione infausta e dolorosa che ha segnato gli anni a venire della nostra malandata democrazia. Spazio doveroso, è ovvio, anche a Silvio Berlusconi e alla sua ascesa, prima imprenditoriale e poi politica, caratterizzata dalla chiacchierata frequentazione con Marcello Dell’Utri, uomo in odore di Cosa Nostra.
Lo stile del film è quello del giornalismo d’inchiesta che, ripetiamo, non disegna passaggi verso il sorriso beffardo scatenato dalla comicità (la Guzzanti non rinuncia infatti alla sua classica caratterizzazione berlusconiana, il che contribuisce a rendere simpatico il personaggio spingendo, anche solo per un attimo, gli spettatori a dimenticare con chi si ha a che fare), ma che, nell’insieme, lancia un fortissimo messaggio allo spettatore. La sfida è quella di non far parte dell’ennesimo esercito silente (ci viene in mente Carmen Consoli: “Chissà se il buon Dio perdonerà il silenzio…”) che ha permesso per anni al potere mafioso e al potere politico corrotto di proliferare a braccetto indisturbati. E’ questo il senso del film, come ribadito nel lungo dibattito seguito alla proiezione alla presenza di Sabina Guzzanti. L’attrice-regista romana ha evidenziato quanto sia stato forte l’incoraggiamento ricevuto di città in città, grazie a questa iniziativa che sta portando “La trattativa” dovunque (quella di Cosenza era la 423esima proiezione in tre mesi).
Da segnalare, tuttavia, secondo la Guzzanti, la tremenda passività che si respira in giro, e quanto invece sia necessario il senso di ribellione che deve invaderci tutti, per ristabilire diritti e doveri, che sono alla base della democrazia. Ci sveglieremo? Chiede qualcuno. “Svegliarsi è una decisione, non un incantesimo”, risponde pronta Sabina, che dribbla, a volte con eleganza, a volte no, qualche intervento poco felice del pubblico (dimenticando, tra l’altro, di rispondere a una domanda sul padre e sui suoi rapporti politici con Berlusconi) e che concede al Movimento 5 Stelle la possibilità di essere un’alternativa credibile (“Devono solo risolvere qualche problemuccio di democrazia interna”, chiosa con beffarda ironia) nel panorama politico nazionale.
Nell’insieme, un’occasione molto importante per un evento mediatico di estremo interesse, volto a ribadire ancora una volta la necessità di informare e di essere informati. Fortemente sentita la partecipazione del pubblico, validissima la scelta dei relatori, e apprezzabilissimo lo sforzo della Guzzanti, che ha il merito innegabile di aver portato all’attenzione pubblica (e ci auguriamo che la diffusione continui anche nelle scuole) un argomento altrimenti destinato all’oblio, per ovvi interessi di qualcuno.

Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…