Nella biografia omonima (il cui titolo completo è ma soprattutto Gigi Baggini), scritta insieme con Mirko Capozzoli, Alessandro Haber proclama il suo forte amore per il mondo cinematografico che da sempre ha esercitato in lui un’attrazione quasi animalesca

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Haber racconta come ben presto abbia riconosciuto che sua la passione per il cinema e per la recitazione fosse una vera vocazione, un richiamo al quale era impossibile resistere. E il suo destino pare fosse già segnato, dato il debutto avvenuto appena ventenne.

Una passione avvertita nella propria natura, una sorta di dna ancestrale, per quanto non corrisponda  con quello familiare. Gran parte del racconto biografico è dedicato, dall’inizio, al ricordo della propria famiglia partendo dai genitori, dal loro matrimonio d’amore avvenuto poco dopo la Seconda Guerra Mondiale tra un giovane soldato rumeno e una giovane italiana. 

Da Verona a Tel Aviv, città della sua infanzia e giovinezza, a Milano e Roma passando per New York, in una viscerale ricerca dei suoi miti attorali; da un set all’altro, lavorando con registi italiani di alto livello attraversando gli anni Settanta, Ottanta e oltre. Sempre portando nel profondo il mito di Marlon Brando e una vasta cultura cinematografica, frutto anche di un amore autodidatta, Haber ha sempre amato il cinema così intensamente che se lo sarebbe “mangiato”.

Eppure, accanto al cinema, il suo secondo amore dichiarato resta il teatro. La sua ammirazione per Giorgio Strehler traspare vivida nel racconto che ne fa – diventando in tal modo la sua testimonianza ben preziosa, oltre che di valore storico – delle volte in cui ebbe l’onore di incontrarlo. Meglio ancora di assistere a una prova di lettura con gli attori; di ritenere il Piccolo Teatro il tempio del teatro italiano; di ricordare il suo clamoroso rifiuto al Maestro, che lo avrebbe voluto in un suo spettacolo ma non come il protagonista.

Dalla biografia di Haber emergono nomi che hanno fatto la storia tutta del teatro italiano, oltre che quella del cinema; allargandosi alla storia internazionale con la citazione – anche di incontri e di tentavi per farne – dei suoi miti statunitensi.

La bellezza che emerge dai racconti biografici degli attori – cinematografici o teatrali che siano,  in tal caso entrambi – è che sono una miniera di aneddoti interessanti e curiosi su tanti loro colleghi, pezzetti di storie o di rivelazioni che altrimenti nemmeno dei libri di saggistica sono in grado di rivelare.

E in questa biografia, pur non nascondendo la volontà di narrare se stesso, al contempo emerge e scorre – quasi letteralmente – il forte sentimento dichiarato da Haber verso i suoi amori professionali. Ma in una narrazione cronologica che segue il tradizionale flusso degli eventi, Haber arriva anche a raccontarsi in merito alla sua vera vita sentimentale, confessando anche luci e ombre degli amori vissuti e dei propri comportamenti all’interno degli stessi.

Tutto seguendo il corso del suo destino che, dalla nascita a Bologna, attraverso le sue passioni lo ha portato a vivere nella corsia privilegiata dei grandi nomi, dei grandi amici, anche degli importanti premi.

Senza però dimenticarsi di un certo Gigi Baggini che, mentre Haber tende all’Olimpo degli attori in cui regna incontrastato Marlon Brando, lo riporta sulla terra per fare i conti con i propri limiti e il proprio talento.

Senza mai dimenticarsi che:

Se da ragazzo mi avessero offerto dieci miliardi di lire per non fare questo mestiere, avrei detto di no, sarei stato disposto a tutto.

E quando sua madre, da bambino, gli chiese che cosa volesse fare da grande:

“Voglio fare l’attore.”

“Sì, vabbe’, poi ti passa.”

Diciamocela tutta, non mi è mai passata.

Alessandro Haber, VOLEVO ESSERE MARLON BRANDOBaldini + Castoldi, 432 pagine, 2021.

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