Lo scrittore cileno a Milano ha ricordato il legame con Strehler e l’influenza di Pirandello nella sua opera

noteverticali.it_bookcity_luis_sepulveda_2016L’edizione di Bookcity svoltasi a Milano dal 17 al 20 novembre è stata particolarmente ricca di iniziative e contenuti. Pur mantenendo al centro il libro e la letteratura, si è aperta alla cultura a trecentosessanta gradi. È stato proposto un migliaio di eventi tra incontri con diverse personalità della cultura, approfondimenti di aree tematiche non solo strettamente letterarie quali, tra le tante, il cinema, il teatro, la televisione, il turismo. Ulteriore peculiarità è stata la scelta delle diverse ubicazioni: teatri, università, fondazioni e altri spazi cardini nella cultura della città sono stati la cornice di questi incontri.

In un programma che, tra i vari scrittori italiani invitati, ha presentato anche Roberto Saviano e Alessandro Baricco, è spiccato l’evento con protagonista Luis Sepúlveda al quale è stata dedicata la giornata di sabato 19 con due incontri distinti.

Il primo è stato un dialogo piuttosto informale con il collega e amico Pino Cacucci avvenuto al Piccolo Teatro Grassi, durante il quale lo scrittore cileno ha parlato del suo nuovo romanzo La fine della storia e del suo mestiere di scrittore in generale. Sepúlveda ha voluto ricordare quando, una ventina di anni fa, si è trovato per la prima volta in quello stesso luogo, chiamato da Giorgio Strehler che intendeva affidargli una scrittura drammaturgica. Progetto però non realizzato a causa della morte del Maestro avvenuta poco dopo.

Lo scrittore ha rivelato come, in realtà, il teatro stesso abbia dato un grande contributo alla sua creatività letteraria, riconoscendo più volte un debito nei confronti di Luigi Pirandello grazie al quale ha imparato a dare verosimiglianza ai personaggi. Ha spiegato come dalla sua arte teatrale ha imparato a dialogare con i personaggi di cui crea la biografia, in una sorta di dialogo ideale e lavoro dietro le quinte – continuando il collegamento teatrale – che nel romanzo non si vede, ma che lo tiene molto impegnato durante la gestazione.

Sempre nella circolarità di questo ventennio, nella sua creatività di romanziere è tornato a farsi vivo il personaggio di Juan Belmonte, protagonista del libro Un nome da torero che ora rivive nelle pagine de La fine della storia, continuando le sue difficili vicissitudini politiche e private. È stato durante il secondo incontro, avvenuto nelle Gallerie d’Italia, che Sepúlveda ha approfondito queste tematiche storico-politiche che in passato hanno interessato il suo paese negli anni tragici della dittatura.

noteverticali.it_luis_sepulvedaA suo avviso, gli scrittori come lui e altri che hanno abbracciato questo genere di corrente letteraria, hanno la missione di raccontare la vera storia dei propri paesi che altrimenti “nei libri ufficiali non viene narrata volutamente”. E nella sua valutazione della storia politica contemporanea, in certi paesi, post-dittatura emerge l’opinione sulla recente elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti: “ulteriore conferma che il sistema è sbagliato e non funziona”.

La gestazione del suo nuovo romanzo, ha spiegato, è stata lunga e laboriosa tenendolo occupato per alcuni anni, a causa soprattutto delle ricerche di carattere storico da svolgere e della complessità politica delle tematiche. Inoltre, Sepúlveda ama scrivere particolarmente di notte e con la sola compagnia discreta del suo gatto, senza negare delle componenti biografiche in questo romanzo come nei precedenti, ma rifuggendo dalle autobiografie che lascia “ai vanitosi”. Ciò, nonostante abbia avuto una vita segnata dalla sua attività militante iniziata fin da adolescente e che, attraverso i suoi personaggi, anche se indirettamente fa sentire la sua voce e quella di tanti altri che hanno pagato un prezzo molto più caro.

 

 

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: