Tra sorrisi e riflessioni più serie, Roberto Mandracchia romanza le vicende del boss mafioso Carmine Stanga

Per una persona del nostro tempo, l’astrazione dal presente può significare una condizione dell’esistenza difficile se non impossibile da immaginare. Ma una persona del nostro tempo non può ignorare che esistano realtà lontane eppur vicinissime, almeno geograficamente, dove per qualcuno vivere significa nascondersi. Come Carmine Stanga, soprannominato Liccasapuni, settant’anni e un curriculum criminale di tutto rispetto che lo ha consacrato de facto boss mafioso di primissimo piano. Come capita spesso in questi casi, il suo rango lo ha tuttavia relegato alla latitanza pluridecennale. Grazie alla complicità del contadino Lallo Cutrò, il suo nascondiglio è un casolare di campagna da cui non esce da tempo immemore. Gli unici contatti con il mondo sono quelli che Carmine ha con il fido braccio destro Ninnì Bisaccia, che gli fa da postino con il traffico di pizzini dei quali il boss è mittente o destinatario, e che gli permettono di esercitare da anni lo stesso potere incurante della legge dello stato. Bisaccia gli fa anche da rider, nel senso che gli porta le scorte di cibo e le medicine necessarie a curare la sua prostata infiammata. Non può portargli Egle, la donna amata con la quale in gioventù ha firmato un patto per la vita senza tuttavia godere della reciproca compagnia come si converrebbe a una coppia innamorata. Le giornate trascorrono sempre uguali nel bunker senza finestre in cui Carmine vive rinchiuso ripensando alle sue gesta passate e senza mai chiedersi quale senso abbia una tale condizione. Ma con la convinzione di tenere duro fino a quando le cose non si sarebbero sistemate. E invece giunge il colpo di scena inatteso. Le visite di Ninnì cessano senza motivo, e quel flebile contatto con il mondo si spezza all’improvviso facendo cadere prima Carmine nella disperazione e poi nella consapevolezza e nella reattività. Che è quella di chiedersi se in quello scambio di pizzini c’era qualcosa di più profondo che avrebbe potuto cogliere per capire, e per cercare di trovare il coraggio per affrontare quella inattesa evoluzione degli eventi, per salvare la pelle cercando di preservare anche la propria latitanza. 

Con L’implosivo, Roberto Mandracchia ha il merito di confezionare un romanzo atipico, in cui si parla di mafia senza scadere nella retorica, ma anzi facendo strappare al lettore più di un sorriso. Un diario in prima persona redatto da un boss che si trova a combattere con la solitudine e con la prostata, ma anche con una mucca capricciosa e il bucato venuto male, è più di un regalo alla letteratura contemporanea. E l’incontro con un ragazzo che non sa esprimersi a parole, che si nutre solo di latte e uova e che diventerà il suo amico più fedele, battezzato Cagnolazzo, è un artificio letterario da applausi. I rimandi viaggiano inevitabilmente alle figure di Robinson Crusoe e di Venerdì, soprattutto perchè il boss isolato dal mondo è un naufrago su un’isola deserta, dove le regole della malavita possono servire ma fino a un certo punto. Il romanzo, edito da Minimum Fax, è una storia di attualità condita di quel surrealismo che la rende originale al punto giusto, rivelando la labilità del confine tra immoralità e purezza. Sì, perché se ad un certo punto della storia ci si trova a sorridere delle peripezie del protagonista, significa che l’obiettivo è pienamente centrato. Una scommessa vinta, un libro da leggere. In fondo, la mafia si può sconfiggere anche ridicolizzandola.           

Roberto Mandracchia, L’implosivo, 182 pagine, Minimum Fax, 2024. 

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...