Abbiamo incontrato la scrittrice pochi giorni dopo l’uscita del suo romanzo “L’anno breve” edito da Rizzoli
Il ruolo dell’educatore è fondamentale in ogni società. Quella di oggi, alle prese con la troppa fretta che abbaglia i confini e annebbia i valori, sembra averlo purtroppo dimenticato. Con “L’anno breve“, romanzo nostalgico e intenso, Caterina Venturini ci porta a contatto con una realtà non facile, quella degli ospedali. Una realtà nella quale il rumore e la fretta del mondo esterno sono lontani, e dove, forse, a causa della malattia, si riesce ad apprezzare meglio il gusto della vita. Abbiamo incontrato Caterina Venturini pochi giorni dopo la pubblicazione del suo romanzo.
La protagonista del suo romanzo “L’anno breve” è un’insegnante che si ritrova a lavorare in ospedale. Anche lei ha vissuto la stessa esperienza professionale. Quanto di Caterina Venturini c’è in Ida Ragone?
Ho insegnato per 3 anni in una scuola in ospedale. Conosco bene quell’esperienza, non potrei parlare di qualcosa che non conosco, l’invenzione non m’interessa e non ne sono capace anche se la amo in alcuni scrittori che pur partendo da sé riescono a spingere la fantasia al massimo come Philip Dick. La scrittura nasce nel mio caso da un disagio vissuto in prima persona, un senso di inadeguatezza che cerco di colmare scrivendo, volendo conquistare quella distanza. Perciò alla fine non sono tanto nella protagonista o in un solo personaggio ma nella lingua: lì ci sono le mie gioie e i miei dispiaceri, le mie difficoltà, le mie vittorie.
Secondo lei il background familiare e scolastico quanto può condizionare la fase di crescita e formazione di un adolescente?
Credo proprio di sì, soprattutto l’ambiente familiare nei primi anni di crescita è in grado di influenzare l’intera vita dei figli e condizionarne il carattere. Poi certamente esiste una coscienza personale, ma anche i principi su cui si forma sono, in effetti, trasmessi dalla propria famiglia (intendendo con questo termine chi si è preso cura di noi) cui reagiamo in opposizione o in accordo.
Il ruolo dell’insegnante è, in parte, decisivo nel far emergere le capacità di uno studente?
Preferisco in questo caso parlare come ex studentessa e dirle che sì, per alcuni miei compagni e anche per me sono state decisive alcune presenze: io ho avuto sempre delle insegnanti di italiano bravissime, a partire dalla maestra Sandra che mi ha fatto divertire con la grammatica; una volta lesse in classe un mio tema (con mia grandissima vergogna peraltro), ma quel gesto mi dette a distanza di anni molta forza per iniziare e continuare a scrivere. La professoressa La Torre (così la chiamavo alle medie) è quella che mi ha invece fatto approfondire da subito alcuni autori e amare profondamente la letteratura, lei si emozionava fino alle lacrime quando leggeva Dante, non posso dimenticarlo. L’ultima che voglio citare è la mia insegnante al liceo classico; era molto preparata – i suoi appunti li conservo ancora – però non ha mai voluto mostrarci la sua umanità, forse intendendola come debolezza. Lei ci diceva: “Devo distruggervi così rinascerete migliori”. Ecco, da lei ho imparato la rinascita, però molti di noi li ha distrutti, nel senso che non ha fatto emergere le loro capacità. Per rispondere brevemente alla domanda posso dire che chi è riuscito a portare avanti i propri sogni o comunque a non arrendersi alle difficoltà, ha avuto almeno un bravo, più spesso una brava insegnante, nella scuola o nella vita.
Che modifiche apporterebbe al sistema scolastico per renderlo più efficacemente funzionale?
Nessuna. Credo che più si cambia, più si peggiora. È sotto gli occhi di chiunque. La politica in questi anni ha sempre modificato, ma solo per tagliare e questo dice tutto.
Vista la sua passata collaborazione con il regista Daniele Luchetti nella sceneggiatura del film “Anni felici”, pensa che “L’anno breve” possa diventare una pellicola?
Quando scrivo, vedo sempre i miei personaggi in azione: il percorso che fa Ida Ragone quando sale nella torre con l’ascensore, l’azione dell’infilarsi il camice bianco e poi sopra quello verde; la vedo infilare il soprascarpe di plastica blu; sento la sua tosse nella mascherina. Credo anzi che si debba sempre poter vedere cosa c’è scritto in un libro, altrimenti significa che la scrittura non è chiara. Penso inoltre che ogni storia possa diventare pellicola, anzi ormai digitale, e perché non musical o altro? Ogni storia può essere trasferita da un medium all’altro, dipende dalle esigenze di chi lo fa e dalla sua capacità di tradire l’opera.