Mettere a fattor comune le differenze e le unicità, esaltando le peculiarità di ciascuna espressione, è proprio di una comunità che accoglie e fa suoi gli stimoli di ricchezza che giungono da ogni parte del mondo. Peculiarità che sono tipiche di mentalità aperte al confronto e al dialogo, che spesso, come ci ricorda la cronaca di ogni giorno, restano lettera morta. Roma è senz’altro una realtà sempre più cosmopolita, uno spazio che ospita e dona speranza a popoli che arrivano da ogni parte del mondo. Una città che in teoria dovrebbe essere aperta, ma che la realtà ci consegna invece troppo spesso spigolosa e granitica. Ecco perché ci fa piacere dare spazio a iniziative come quella di ‘Karawan | il sorriso del cinema migrante‘, il festival delle commedie da ogni angolo del mondo, in programma a Roma, nel quartiere di Tor Pignattara, dal 26 al 30 novembre. Una rassegna che affronta il tema dell’integrazione e della convivenza tra etnie diverse con l’arma leggera della commedia, per aiutare a sorridere e a fare tesoro delle diversità e delle unicità di ciascun popolo. Abbiamo avuto il piacere di rivolgere alcune domande a Carla Ottoni, co-fondatrice e condirettrice di Karawan.

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Come nasce e si sviluppa l’idea di una rassegna come Karawan?
Nasce dall’intuizione e dalla necessità di colmare un vuoto di contenuti nel quartiere di Tor Pignattara, ex periferia di Roma ad un passo dal centro storico, dove manca una progettualità culturale. Siamo partiti spinti dal desiderio di mettere in luce le potenzialità e le ricchezze sommerse del quartiere, che è il cuore multietnico di Roma, dove si sta sperimentando un nuovo modello di convivenza, sempre in bilico tra mille contraddizioni ed esposto a tensioni sociali molto forti, ma che proprio per questo va incoraggiato. Nel quartiere, inoltre, mancano spazi pubblici dedicati alla cultura: non ci sono cinema, teatri, biblioteche, ma molte sono le realtà attive che con coraggio portano avanti ognuna il proprio percorso culturale. Karawan è sicuramente tra queste.

Com’è avvenuta la scelta delle pellicole selezionate per l’edizione di quest’anno?
Da un lato, cerchiamo sempre di rimanere a stretto contatto con il territorio: per questo abbiamo fortemente voluto un film come “Oltre il cerchio” proveniente dal Bangladesh, la cui comunità è la più numerosa qui a Tor Pignattara. Lo stesso vale per le commedie che vengono dalla Cina e dall’Africa. Dall’altro lato, sul piano artistico, ci interessa sicuramente restituire un immaginario di bellezza, privo di stereotipi e cliché. Molto spesso il cinema fornisce l’idea del viaggio, specie migratorio, come un’odissea tra mille difficoltà. È giusto, ma per Karawan conta piuttosto l’esperienza formativa, che sia nel mondo reale o all’interno di noi stessi.

Che tipo di messaggio di integrazione avete potuto sperimentare dal pubblico che ha frequentato le edizioni precedenti del festival?
Sempre molto forte. Abbiamo iniziato con piccole rassegne tematiche nel 2012 dedicate al cinema arabo, romeno, cinese, bangla e l’apertura del pubblico, nonostante spesso si abbia a che fare con comunità chiuse, è stata sorprendente. Ci seguono gli abitanti del quartiere, soprattutto le famiglie. Sono tanti i ragazzi, i giovani genitori con bambini, coppie anziane, passanti e semplici curiosi attratti dai suoni e dai colori degli allestimenti. Abbiamo organizzato il festival ogni anno in un posto diverso: Tor Pignattara è un quartiere grande, ma, come dicevo in precedenza, non ha nemmeno un cinema. Ciò che unisce persone di estrazioni e culture differenti è proprio la voglia di avere uno spazio condiviso, un’isola dove poter sperimentare “spalla a spalla” il rispetto reciproco, la voglia di conoscersi e, perché no, scoprirsi nelle virtù come negli errori e nelle debolezze. In fondo, storicamente, la commedia ha sempre svolto questo “lavoro”.

Già. La commedia è ritenuta dai più un genere secondario rispetto a quelli considerati più seriosi. Eppure il sorriso rappresenta uno degli elementi senz’altro positivi che migliorano la vita e la quotidianità di ciascuno, e le commedie al cinema e in tv funzionano sempre. Come mai secondo lei questa sorta di ‘ostracismo’ almeno pubblico verso un genere in realtà così amato?
Si può dire lo stesso per ogni genere cinematografico: nei grandi festival così come nei circuiti “educativi”, la commedia – così come il film d’avventura, di fantascienza o horror – è a torto considerato minore, se non di serie B. Ovviamente non è così, lo dimostrano storie fantastiche come quella della commedia italiana degli anni 60 e 70, del cinema popolare francese, della commedia sofisticata e classica americana, tanto per citare gli esempi più famosi. L’errore è pensare che con il sorriso non si possano affrontare temi significativi della società di oggi. A volte si demanda esclusivamente al registro drammatico o al cinema d’autore quest’esigenza. Anche perché la commedia nostrana ha perso lo smalto di un tempo, è vero. Ma ripeto, si può dire lo stesso anche per altri generi che hanno fatto la fortuna di tante industrie culturali: l’horror non è forse stato per decenni, dalla fine dei 60 a tutti gli 80, il genere politico per eccellenza? Oggi è ridotto, salvo rare eccezioni, ad un mix di puerile found footage, possessioni demoniache che non spaventano più nessuno e picchi di volume per generare ansia meccanica. Lo stesso vale per la commedia: chi l’ha detto che non è possibile raccontare i flussi migratori, l’accoglienza, lo “scontro” tra culture con un tono programmaticamente non drammatico? Il film brasialiano che presentiamo quest’anno è eloquente in tal senso: “Vendo ou alugo” racconta la pacificazione delle favelas e la speculazione immobiliare con gag, imprevisti, equivoci e colpi di scena a raffica.

C’è qualche differenza tra la commedia italiana e quella legata alle filmografie di altre nazioni?
La commedia italiana è stata anestetizzata dalla televisione. È diventata inoffensiva, sterile, quasi mai graffiante. Negli ultimi tempi sono pochissimi i film che hanno affrontato con grazia e abilità temi importanti, penso a “Smetto quando voglio” o a “Tutti contro tutti“. Purtroppo sono rimasti casi isolati. In altre nazioni, anche dinanzi a capacità produttive di livello più basso, ci sono ancora una vivacità, un impeto, una freschezza che a noi mancano. Tocca ripetere sempre la solita solfa: l’esempio sono i francesi. Ad oggi un film come “Quasi amici – Intouchables“, campione d’incassi in patria ma soprattutto venduto in mezzo mondo, resta impensabile per il nostro panorama produttivo. Lo stesso vale per cinematografie meno ricche o totalmente differenti: il film cinese che abbiamo in programma, “Inseparabili” di Dayyan Eng, è una black comedy con un attore hollywoodiano di alto profilo come Kevin Spacey e le superstar locali Daniel Wu e Beibi Gong. Ma ve la immaginate una bella commedia degli equivoci con, per dire, Bill Murray affiancato da Elio Germano e Isabella Ragonese? Francamente no…

NoteVerticali.it_Karawan_Carla Ottoni_1La vostra rassegna è lodevole anche perché consente di operare un utile e proficuo recupero di spazi urbani altrimenti abbandonati, che grazie al cinema sono riassegnati alla comunità…
Questo aspetto per noi è fondamentale. Karawan lavora proprio sul recupero degli spazi per restituire a Tor Pignattara il cinema di cui è orfano da oltre 30 anni. E così, schermo e proiettore in spalla, ce ne andiamo a caccia di luoghi abbandonati, che cerchiamo di trasformare, per una o più sere, in posti in cui le persone possano re-incontrarsi e godere del rito collettivo dello schermo illuminato. Stavolta è toccato ad una ex aula consiliare del Municipio, recentemente messa a disposizione delle associazioni del territorio per riunioni ed eventi, ma a farci un festival di cinema ancora non ci aveva pensato nessuno. Lo stesso è accaduto in passato con le rassegne organizzate in altri spazi del quartiere: la Casa della Cultura di Villa De Sanctis, il mercato di Via Laparelli, le manifestazioni Torpignathlon e Alice nel Paese della Marranella, realizzate dal comitato di quartiere Torpignattara, durante le quali piazze e strade del quartiere si sono liberate del traffico per diventare poli di socializzazione e coesione sociale, divertimento, rispetto dell’altro, comunicazione e interazione. Karawan inoltre sostiene attivamente il laboratorio di progettazione partecipata per la riapertura del Cinema Impero di Via dell’Acqua Bullicante, che intende costruire le linee guida per la riapertura dell’ex cinema coinvolgendo tutte le realtà associative, professionali, istituzionali, civiche del territorio e non, al fine di creare un modello nuovo di vertenza sui beni privati a destinazione d’uso culturale dismessi.

Qual è il rapporto con le istituzioni? Incoraggiano o ignorano le vostre iniziative?
Diciamo che dopo due anni di duro lavoro iniziamo a raccogliere ora i primi segnali di interesse… ma la strada per condividere una visione comune sulla progettualità culturale, cittadini, associazioni e istituzioni, è ancora molto lunga.

NoteVerticali.it_Karawan_Carla Ottoni_3Oltre alle comunità adulte, l’integrazione attraverso il cinema può avvenire anche in contesti anagrafici più bassi, tra i bambini e i ragazzi. Avete mai sperimentato le proiezioni nelle scuole?
Vogliamo un quartiere accogliente a misura di donne e bambini, per questo abbiamo realizzato diversi eventi per i bambini e i ragazzi, siamo sempre molto attenti a proporre attività family friendly non solo con proiezioni, ma anche laboratori manuali ed espressivi. Inoltre, abbiamo consolidato una partnership con Città delle Mamme per permettere ai neogenitori di assistere alle proiezioni.

Come evolverà il festival Karawan in futuro? Avete già in mente qualcosa?
… Abbiamo sempre in mente qualcosa! Stiamo scrivendo i progetti per il 2015, torneremo sicuramente con una serie di eventi in varie location del quartiere, sempre con l’obiettivo di offrire una proposta culturale variegata e che non si esaurisca con un singolo evento, in questo senso siamo un festival permanente e itinerante. Torneremo sicuramente con ITALIANO DOC, un appuntamento dedicato ai documentari italiani, un mini-Karawan per i più piccoli, e un ciclo di proiezioni a sostegno della campagna per la riapertura dell’ex Cinema Impero come centro culturale polifunzionale… non ci fermiamo mai!

(Si ringrazia Alessandro Zoppo per la collaborazione)

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