Eccoci nuovamente a parlarvi di Jacopo Bicocchi e Mattia Fabris e del loro nuovo (ma vecchio) spettacolo. Due formidabili attori che hanno scelto di essere fautori della propria arte a 360 gradi. Qualche settimana fa, per chi non lo sapesse, abbiamo visto al Teatro Ringhiera Un alt(r)o Everest, sempre fatto e diretto da loro. Questa volta invece ci troviamo al Teatro della Cooperativa per assistere a (S)legati, la matrice che ha dato il via anni fa al “ciclo della montagna”, da cui poi è nato successivamente il secondo spettacolo, sopra citato.
Slegati nasce sotto forma di lettura, con cui Jacopo e Mattia allietano gli astanti dei vari rifugi situati tra le montagne da loro esplorate, un progetto che hanno ideato e portato avanti per un certo periodo. Successivamente questo testo subisce un evoluzione e viene appuntato per la scena.
Se si dovesse dare un aggettivo a questa pièce probabilmente sarebbe “primordiale”.
La storia rappresentata è celebre, narra del sogno ambizioso degli alpinisti Joe Simpson e Simon Yates, ovvero quello di scalare per primi la parete ovest del Siula Grande in Perù e di come questo sogno abbia sfiorato la tragedia, anche se in fin dei conti un pezzo di questa tragedia si è concretizzata. Li vediamo prepararsi, attrezzarsi per questa grande e faticosa scalata, sistemarsi nel rifugio, partire arrivare su quella tanto agognata cima, dove il panorama è mozzafiato ed è valso tutte quelle numerose e sfiancanti difficoltà affrontate, quella estenuante preparazione. Però chi sale deve anche scendere, la discesa è considerata solitamente la fase di minor pericolo, ma non sarà esattamente così per loro; la caduta, la gamba, quella corda tagliata…
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Potrà sembrare spoiler quello che stiamo facendo ma non è così, la storia la conoscono tutti, ne hanno parlato i giornali, è passata ovunque, non è quello che vi deve interessare, non è su quello che vi dovete focalizzare, la storia è solo un mezzo utile, pregnante per raccontare qualcosa in più, qualcosa di vivo, complesso, bestiale. La funzione di questo spettacolo è quella di, tramite una storia di vita vissuta, portare in maniera bruciante davanti allo spettatore, condizioni umane come la paura, quel genere orribile e straziante che ti entra dentro e ti cambia, ti trasforma in qualcosa di primordiale in un istante, il rimorso che fa provare vergogna per se stessi, per la propria esistenza, che ti corrode dall’interno, ma anche istinto di sopravvivenza, coraggio, profonda amicizia e il perdono.
Questa coppia di attori come sempre gioca sull’essenzialità visiva, anche stavolta – forse più di Un Alt(r)o Everest -, c’è poco, davvero pochissimo sul palco, una corda, i vestiti che indossano e due fonti di luce. Tutto il resto è voce, sudore, fatica, lacrime che insieme disegnano luoghi, movimenti verso l’alto e il basso, lunghi e disperati percorsi, spazzi angusti.
Davvero eccezionali.
Mattia Fabris, ormai storico collaboratore di Atir, ci ha regalato un’interpretazione trasparente, sicura, brillante. I suoi movimenti erano del tutto consapevoli, vedevi la corda pendere da quell’orrendo crepaccio, credo che da un lato questo sia anche un po’ spaventoso.
Non da meno il suo compagno di avventure e sventure Jacopo Bicocchi.
La sua è una recitazione viscerale, potente, riesce a trasmettere al pubblico ogni emozione provata dal suo personaggio. Noi abbiamo sentito il suo dolore, la sua fatica.
Un’opera davvero magistrale, senza un regista, senza supporti di alcun genere, solo loro due, il loro corpo, il loro intelletto, la loro sensibilità artistica e umana.
(S)LEGATI, di e con Jacopo Bicocchi e Mattia Fabris, al Teatro della Cooperativa, Roma.