Abbiamo intervistato l’attore e regista calabrese al rientro da New York, dove ha presentato “La mia idea”, lo spettacolo sull’anarchico Joe Zangara, che tentò di uccidere Roosevelt
A New York, la primavera di maggio ha un profumo più intenso. Merito di fragranze culturali che, direttamente dall’Italia, sbarcano scoppiettanti nella Grande Mela provenienti da fucine sempre vive quali solo quelle del teatro indipendente sanno essere. Bacino di fioritura di queste interessanti contaminazioni è il Festival di teatro italiano In Scena!, una creazione che si deve all’intuizione della direttrice artistica Laura Caparrotti e all’organizzazione del Kairos Italy Theater di New York e dalla KIT Italia di Roma. Due settimane di spettacoli, dibattiti e confronti tra attori, registi e pubblico, che anche quest’anno hanno ravvivato la scena culturale newyorkese. Tra le presenze più significative di questa edizione, Ernesto Orrico, attore e regista teatrale tra i più incisivi della nostra generazione, il cui meritorio lavoro di ricerca affonda le proprie radici nella storia calabrese. Orrico è stato a New York, dove ha presentato, accompagnato dalle musiche di Massimo Garritano e dal supporto artistico di Emilia Brandi, il suo spettacolo “La mia idea”, che racconta la storia di Joe Zangara, anarchico di origine calabrese che nel 1933 tentò di uccidere l’allora presidente Usa Franklyn Delano Roosevelt.
Abbiamo incontrato Orrico al rientro dagli States.
Allora, smaltito il jet lag? Com’è andata questa esperienza negli USA?
Sono ancora un po’ frastornato, ma conto nelle prossime ore di rientrare nella normalità del nostro fuso! Esperienza complessivamente positiva, le due repliche de “La mia idea” sono state molto apprezzate e le altre iniziative del Festival mi hanno molto arricchito da un punto di vista umano e culturale.
Non sei nuovo a tournèe negli States. Ricordo che già nel 2013 hai partecipato al Festival In Scena! con ‘Jennu Brigannu’. A distanza di quattro anni, una nuova partecipazione alla rassegna e un nuovo spettacolo. Cosa è cambiato da allora nel tuo percorso attoriale?
Credo di aver sviluppato una maggiore consapevolezza rispetto alla costruzione della drammaturgia, restando felicemente ancorato ad una forma di messa in scena semplice dove il corpo e la voce dell’attore sono gli elementi fondamentali. Tra “Jennu brigannu” e “La mia idea” ci sono molti punti di contatto, in particolare l’utilizzo della musica di scena, nel primo caso i suoni delle tradizione popolare calabrese di Paolo Napoli e nel secondo gli strumenti a corda suonati da Massimo Garritano con attitudine Avant-Folk.
Il tuo spettacolo “La mia idea” racconta la storia di Joe Zangara, calabrese emigrato negli Usa. Una vicenda tragica e dolente, la sua, che assume una valenza ancora più forte in questo periodo in cui tanto si parla di immigrazione, di accoglienza e di muri. Qual è secondo te l’impronta che Trump sta lasciando in questa America vista con i tuoi occhi?
Non credo di saper rispondere in maniera compiuta… la New York che ho visto in questi giorni non mi è parsa diversa da quella che già conoscevo e di sicuro questa metropoli non rappresenta gli USA nel loro complesso. A New York si respira multiculturalismo ad ogni passo, il melting-pot vi ha trovato la sua sede ideale, accoglienza e integrazione sono due concetti che puoi toccare con mano, credo che almeno lì le idee fasciste di Trump non avranno possibilità di ulteriore espansione.
Cosa ne sarebbe oggi di uno Joe Zangara emigrato negli USA ai tempi di Trump?
Troverebbe delle difficoltà probabilmente assimilabili a quelle degli anni Trenta del secolo scorso, ma anche delle opportunità, è un paese con una cultura del lavoro veramente impressionante. Zangara comunque era un uomo con una personalità borderline non certo un esempio che possa fungere da paradigma, ma quando i governi non si preoccupano di lavorare per l’integrazione in maniera laica il rischio che emergano persone che vogliano farsi giustizia da sole aumenta, le diseguaglianze economiche e sociali prodotte dal capitalismo sfrenato sono una miccia che è facile riaccendere.
Un attore è chiamato ogni volta a confrontarsi con il pubblico che gli sta di fronte. Come hai trovato il pubblico americano e che differenze hai rilevato rispetto al 2013? E qual è stato l’impatto di una pièce così provocatoria – direi quasi rivoluzionaria – presso il pubblico a cui ti sei rivolto?
Alle due repliche ha assistito un pubblico composito, italiani che vivono a New York da pochi anni e Italiani-Americani di seconda e terza generazione, e poi ancora studiosi di teatro e docenti universitari e un buon numero di attori e operatori teatrali. Generalmente la proposta è stata molto apprezzata, sia da un punto di vista formale che contenutistico, c’è da rilevare che in pochissimi conoscevano la vicenda di Zangara; molti hanno espresso particolare apprezzamento per l’interazione tra racconto in prima persona e musica dal vivo. Alla fine dalla prima replica presso la Casa Italiana Zerilli-Marimò della New York University c’è stata una conversazione con la direttrice del festival Laura Caparrotti e la professoressa Marcella Bencivenni della City University of NY, quest’ultima ha brevemente e appassionatamente ripercorso le vicende dei sovversivi di origine italiana che, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, hanno svolto un ruolo importante nello sviluppo di una coscienza di classe presso le masse di emigrati che si erano riversate negli USA in cerca di lavoro e di condizioni di vita migliori. La mia sensazione è che questi temi e queste storie siano ancora poco raccontati, solo negli ultimi anni attraverso l’opera di alcuni docenti universitari e di qualche scrittore e artista stanno finalmente riaffiorando per diventare patrimonio collettivo.

Nel tuo soggiorno statunitense hai senz’altro avuto modo di incontrare colleghi e addetti ai lavori. Cosa pensi di aver imparato da loro e cosa pensi di aver insegnato loro?
Il programma del Festival InScena prevedeva il workshop “Producing Theatre in NY” nel corso del quale le tre relatrici (Glory Kadigan, Founder, Artistic Curator of Planet Connections Theatre Festivity; Ludovica Villar-Hauser, Director, Founder and Artistic Director of Parity Productions e Christine Cox, Producer The Amazing Max, Co-owner of 3C Theater Consulting) hanno spiegato come funzionano le produzioni di Broadway e quelle off e off-off Broadway, come si reperiscono i fondi, come si costruiscono i team di lavoro, come si promuovono gli spettacoli. È stato un confronto particolarmente interessante, si sono evidenziate in maniera gigantesca le differenze con il produrre spettacolo in Italia, qui da noi l’intervento dello stato è ancora molto forte (e io aggiungo che dovrebbe esserlo ancor di più), mentre lì è tutto demandato allo spirito imprenditoriale dei privati.
Un altro momento intenso è stato il laboratorio “Free Verse meets InScena” in cui gli artisti ospiti di del festival hanno potuto lavorare fianco a fianco con gli scrittori emergenti del Probation Center del South Bronx, i Probation Center sono i centri di recupero per persone che hanno commesso reati, “Free Verse” è un progetto di Dave Johnson, poeta e docente di scrittura creativa di origini italiane.
Ho poi conosciuto diversi attori e operatori italiani che lavorano a New York da anni, ho visto nei loro occhi tanta passione e ho ascoltato i loro racconti di una vita non semplice a barcamenarsi tra diversi lavori non sempre legati all’arte della recitazione, una condizione che sembra accomunare gli attori di tutto il mondo, in special modo in questo periodo storico.
Per come la vedo io, insegnare e imparare hanno molto a che fare con il condividere esperienza e quindi non posso che dirmi soddisfatto.
In cosa invece è migliorata la tua intesa artistica con i tuoi compagni di viaggio Massimo Garritano ed Emilia Brandi?
Li ho sfruttati come traduttori, entrambi sono molto più preparati di me con l’inglese e inoltre si orientano bene con le mappe della subway più famosa del mondo, sono stati delle ottime guide. Abbiamo approfittato di questi giorni per conoscerci meglio e per ipotizzare nuove collaborazioni artistiche, vedremo se nel prossimo futuro riusciremo a concretizzarle.

In base alla tua recente esperienza, quali ritieni che siano le principali differenze tra le politiche culturali vigenti a New York e quelle che si respirano in Italia e soprattutto in Calabria? Che consiglio daresti ai governanti italiani e calabresi in particolare? E ai tuoi colleghi?
Certamente il fattore di rischio economico è una caratteristica del mondo dello spettacolo negli USA, ma io resto convinto che nel nostro settore l’intervento dello stato sia fondamentale per uno sviluppo artistico organico e non eccessivamente schiacciato dalle leggi del mercato e del profitto a tutti i costi, quindi preferisco il modello italiano o ancor di più quello francese. Ai governanti l’unico consiglio che mi va di dare è quello che dovrebbero mettersi in umile ascolto del buono e del bello che gli artisti italiani nonostante tutto continuano a pensare e produrre, ma è un consiglio che anche dovesse arrivare alle loro orecchie temo rimarrebbe inascoltato.
E cosa ne sarebbe invece di uno Joe Zangara di origine siriana sbarcato in Italia, magari sulle coste calabre?
Se ha fortuna potrebbe arrivare in un posto come Riace e trovare in questa nostra terra bellissima un’ipotesi di pace.
Cosa bolle adesso nel pentolone di Ernesto Orrico? Puoi fornire qualche anticipazione ai lettori di NoteVerticali sulle tue prossime esperienze artistiche?
Nei prossimi mesi proporrò ancora “La mia idea. Memoria di Joe Zangara” e forse anche qualche replica di “Jennu brigannu” giacché ci sono state delle richieste. Tra luglio e settembre dovrei avviare uno studio su un nuovo testo di Vincenza Costantino insieme ad Emilia Brandi con ipotesi di debutto nella primavera del 2018. Con Massimo Garritano invece, appena possibile entreremo in studio (con la produzione di Alberto La Riccia), per registrare un brano per il progetto “Rabbia. Maneggiare con cura” realizzato da Undeground? Distribuzioni Alternative di Milano.
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Idealista e visionario, forse un pazzo, forse un poeta, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…