L’iperbole che porta a parlare di un cantante di successo rischia di planare quasi sempre nella banalità del già sentito. L’eccezione alla regola si conferma per Franco Battiato, la cui parabola artistica è stata unica nella storia musicale italiana e non solo.

Prima l’effimero successo pop di fine anni ’60, seguito a una fase di profonda riflessione interiore che lo ha portato ad essere artefice di una ricerca musicale unica nel panorama contemporaneo. Se Fetus e Pollution sono le tracce più significative e complesse di un cammino che rifuggeva la commercializzazione anche a costo di cavalcare registri ostici anche per i più pazienti, con la fine degli anni ’70 Battiato ha saputo costruire un percorso a metà tra il pop e la sperimentazione. L’era del cinghiale bianco (1979), Patriots (1980) e più ancora La voce del padrone (1981) ne hanno consacrato il successo abbinandolo a critiche quasi sempre positive, che lo hanno salutato come una valida alternativa al linguaggio politicizzato dei cantautori. In questo, Battiato ha saputo mettere d’accordo tutti, con hit da classifica che ne hanno decretato il successo popolare, sia pure nella cripticità di un personaggio che non ha mai concesso nulla alla mondanità e al gossip, e che anzi ha costruito un nuovo linguaggio pop partendo da concetti millenari. Grazie al suo Centro di gravità permanente abbiamo conosciuto i gesuiti euclidei o i bonzi alla corte della dinastia dei Ming senza sapere chi fosse Gurdjieff, e grazie a Voglio vederti danzare abbiamo capito l’importanza del ballo attraverso le immagini evocate che spaziano da oriente a occidente, e che legano, nella loro diversità, i ritmi ossessivi dei riti tribali alle coppie di anziani che nell’Irlanda del Nord ballano al ritmo di sette ottavi. Grazie a Gli uccelli abbiamo imparato a leggere il volo dei pennuti pensando a codici di geometrie esistenziali, e a dare più importanza a un imbianchino che non a Le Corbusier.

 

Legatissimo alla sua Sicilia (che ha omaggiato più volte, a partire da Stranizza d’amuri, e che ha avuto anche l’onore di rappresentare politicamente, in un’esperienza amministrativa purtroppo breve quanto inutile quale quella da Assessore alla Cultura nella giunta Crocetta, nel 2013), Battiato ha conosciuto una rinnovata creatività compositiva grazie anche agli stimoli avuti dalla collaborazione con il filosofo Manlio Sgalambro, con il quale ha firmato diverse opere, anche per il teatro (Il cavaliere dell’intelletto, Telesio) oltre a dischi pop-rock (L’ombrello e la macchina da cucire, L’imboscata, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Gommalacca, Il vuoto, Apritisesamo). Musicalmente parlando, gli anni ’90 lo hanno visto avvicinarsi all’avanguardia compositiva più prossima al rock del ventennio precedente, anche se con La cura ha portato di diritto una sua canzone nel novero dei classici del romanticismo moderno. Da segnalare poi le virate verso il classico, prodotte con la serie Fleurs, in cui a partire dal 2003 ha reinterpretato classici della musica italiana e straniera, da Insieme a te non ci sto più a La canzone dei vecchi amantiNel 2015 si segnala il ritorno al rock progressive, con Joe Patti’s experimental group, in collaborazione con Pino Pinaxa, segno di una vitalità che non ha fine, a cui si accompagna un interesse continuo verso altre forme d’arte, dalla pittura al cinema. I risultati non sono sempre apprezzati da pubblico e critica (le opere cinematografiche, per esempio, da Perduto amor a Musikanten, lasciano interdetta la platea, mentre la critica non è propriamente entusiasta), ma sono espressione di un artista mai domo, che si interroga sul proprio passato (come canta in Mesopotamia) sempre alla ricerca di nuovi stimoli, e non propriamente tenero verso la società contemporanea.

A chi lo accosta a un mondo di interiorità, che rifugge il contatto con la società preferendo l’ascetismo, ci piace rispondere ricordando infatti il Battiato che ha tuonato contro gli integralismi e la corruzione. Quello che in Povera patria (1991) ha dipinto per il nostro paese, proprio alla vigilia di Tangentopoli e quando ancora il berlusconismo (la cui deriva ‘bunga bunga‘ avrebbe peraltro attaccato duramente in Inneres auge) era solo sinonimo di televisione, un manifesto di nera disperazione vestito da una goccia di flebile speranza, e quello che, dopo aver già criticato l’ayatollah Khomeini (‘…per molti è santità, abbocca sempre all’amo…‘ cantava in ‘Up patriots to arms‘) ha predicato il messaggio di integrazione tra i popoli con un coraggioso concerto per la pace tenuto il 4 dicembre 1992 nella Baghdad che era da poco uscita dalla prima guerra del Golfo.

FRANCO BATTIATO – Concerto per la pace a Baghdad – Guarda qui

Battiato è stato tutto questo, e molto di più. Figura fondamentale nella nostra cultura, incisivo come non mai pur non essendo mai allineato e rifuggendo le mode. Peccato che la malattia lo abbia portato lontano dai riflettori per anni, fino alla scomparsa all’alba del 18 maggio 2021. Ma confidiamo che anche adesso, con la morte, non sia giunta la fine: “Torneremo ancora” è il suo testamento spirituale, con echi che rimandano in modo suggestivo alla reincarnazione delle anime: “La vita non finisce, è come il sonno, la nascita è come il risveglio, finché non saremo liberi torneremo ancora, ancora e ancora…“.

Grazie Maestro, grazie per averci regalato il dubbio e l’incanto.

Lo sai che più si invecchia
più affiorano ricordi lontanissimi
come se fosse ieri
mi vedo a volte in braccio a mia madre
e sento ancora i teneri commenti di mio padre
i pranzi, le domeniche dai nonni
le voglie e le esplosioni irrazionali
i primi passi, gioie e dispiaceri.
La prima goccia bianca che spavento
e che piacere strano
e un innamoramento senza senso
per legge naturale a quell’età
i primi accordi su di un organo da chiesa in sacrestia
ed un dogmatico rispetto
verso le istituzioni.
Che cosa resterà di me? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?
Mi piacciono le scelte radicali
la morte consapevole che si autoimpose Socrate
e la scomparsa misteriosa e unica di Majorana
la vita cinica ed interessante di Landolfi
opposto ma vicino a un monaco birmano
o la misantropia celeste in Benedetti Michelangeli.
Anch’io a guardarmi bene vivo da millenni
e vengo dritto dalla civiltà più alta dei Sumeri
dall’arte cuneiforme degli Scribi
e dormo spesso dentro un sacco a pelo
perché non voglio perdere i contatti con la terra.
La valle tra i due fiumi della Mesopotamia
che vide alle sue rive Isacco di Ninive.
Che cosa resterà di noi? Del transito terrestre?
Di tutte le impressioni che abbiamo in questa vita?

(Franco Battiato, Mesopotamia, 1988)

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...