A Camigliatello, in una location improvvisata, l’artista emiliano regala un live emozionante e intenso per ‘La Sila suona Bee’

noteverticali.it_giovanni_lindo_ferretti_camigliatello_lasilasuonabee_1La musica è “potere, storia, conoscenza, sapere”. Quella che domenica 11 settembre doveva spargersi libera nell’aria dei monti silani, ha avuto la sfortuna di comprimersi nello spazio angusto di una palestra a Camigliatello. Colpa delle avverse condizioni atmosferiche, per una pioggia che ha portato di forza l’autunno e ha guastato la festa a chi voleva rigenerare cuore, mente e polmoni grazie alla musica di Giovanni Lindo Ferretti. “A cuor contento”, tappa conclusiva dell’avventura 2016 de “La Sila Suona Bee”, originale kermesse di musica e natura ideata da Archimedia Produzioni e Piano B, che ha già regalato intensi momenti di cultura all’insegna del territorio, non ha avuto lo scenario atteso, quello di Monte Curcio. Nessun panorama mozzafiato da contemplare, purtroppo, ma solo pareti grigie e tristi che hanno riportato alla memoria improbabili concerti vissuti ai tempi del liceo, quando il Muro di Berlino era ancora realtà, Matteo Renzi giocava alla “Ruota della fortuna” e chi pronunciava l’aggettivo “filosovietico” veniva trattato sempre con il rispetto dovuto alla coerenza. Lancette all’indietro per una macchina del tempo che, mettendo da parte presunte abiure o conversioni degli ultimi tempi, ha riportato in vita il Ferretti militante, quello che con i CCCP (poi CSI e PGR) ha segnato un punto fondamentale nella storia del punk-rock italiano. Un ponte stabile verso un passato mai dimenticato, se si pensa agli occhi accesi che hanno accompagnato i brani del concerto, iniziato con ”Pons tremolans”. Palco scarno con Ferretti al centro accompagnato da Ezio Bonicelli e Luca A. Rossi, già anima degli Ustmamò. Il violino di Bonicelli impreziosisce una scarna “Amandoti”, malinconica come le nuvole d’intorno. In “Tu menti” una bandiera sventola leggiadra, e ti chiedi cosa sia rimasto dei centri sociali, delle canne, del fumo, delle pantere e delle occupazioni. Il cielo fuori è triste come l’erezione della barthesiana “Mi ami?”, ma le menti sono lucide come il pensiero di “Oh! Battagliero!”, la cui melodia omaggia (involontariamente?) il “Vecchio frac” di Modugno. Il rodaggio è compiuto, e con “Curami” il pubblico si scalda: la maggioranza è composta da chi ha superato i quaranta, che è qui anche con bambini che corrono divertiti al coperto. Diversi sono pure i trentenni, che magari proprio adesso scoprono quanta sia forte l’influenza di Ferretti in alcune creazioni di Vasco Brondi e delle sue Luci della Centrale Elettrica. Intanto sul palco, l’ortodossia della grande madre Russia, la fedeltà ossequiosa a una linea che non c’è, non omaggia, purtroppo il glorioso passato fatto di talento e teatralità: Annarella è andata via, come Zamboni, Canali, Magnelli, Maroccolo e tutti quelli che hanno accompagnato l’artigiano di Cerreto dagli occhi spiritati e dalla voce cavernosa.

noteverticali.it_giovanni_lindo_ferretti_camigliatello_lasilasuonabee_2La teatralità non c’è, ma non mancano il talento e la poesia, che si manifestano sul palco silano per un concerto che ha ancora emozioni da regalare. Guardi la gente e ti chiedi se Giorgia Meloni e Matteo Salvini abbiano mai cantato “And the radio plays” meditando sulle mutazioni possibili di chi l’ha scritta. Il pensiero vola via in un attimo, merito di “Maritima loca”: per i cavalli, anche la Sila può diventare Maremma. Intensa e vibrante, la voce di Ferretti taglia l’aria: il suo pathos epico è ancora capace di emozionare, e i brividi arrivano davvero. “Radio Kabul”, “Polvere”, “Occidente” e “Cupe vampe” scatenano ricordi su ricordi. In un quarto di secolo Kabul è diventata Mosul, e i fuochi di Sarajevo lanciano vecchi squarci nella memoria ferita di un’Europa ancora una volta debole e assente. La poesia semplice e struggente di “Annarella” emoziona e tocca il cuore. Ma non è ancora finita, lo sappiamo: la preghiera laica di “Del mondo” (“Povertà magnanima, mala ventura, concedi compassione ai figli tuoi…”) fa da controcanto all’ode civile di “Guerra e pace” (“La pace è guerra con spreco di licenze la guerra è pace con spreco di ordinanze…”). Il lirismo di “Brace” è a nostro avviso il punto più alto del concerto: quella “bellezza mai assillante né oziosa”, languida, forte, lieve e austera sembra trasformare le cose, e rasserenare l’aria. Scorgiamo un arcobaleno sullo sfondo, e poco importa se sia solo la nostra fantasia a ravvisarlo. “Barbaro”, “Per me lo so” e “Io sto bene” conducono al bis, gridato a gran voce. Ancora il violino di Bonicelli incastona una “Depressione caspica” che fa commuovere, mentre su “Irata” e “Spara Jurij” tutto il pubblico balla. Scorgiamo anche qualche pugno chiuso. E’ sempre la musica, che “sa bestemmiare gli idoli, loda il Creatore, a volte si nasconde, è pericolosa, poi avvampa, si propaga, in forma meravigliosa”. E, ancora una volta, rende il cuore contento.

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