Spirito critico e ironia, leggerezza e profondità, e una vastissima produzione letteraria che testimonia un’esistenza perennemente in ricerca
E’ stato “Il nome della rosa” a farmi conoscere Umberto Eco. Una storia avvincente, oscura e un po’ trucida, che gettava un’ombra sinistra sulla vita in monastero, e che impressionò non poco il bambino che era in me (avevo meno di dieci anni) che si era avventurato in quell’esplorazione a metà tra il giallo e il romanzo storico. In occasione della trasposizione cinematografica, qualche anno dopo, rilessi il romanzo e lo rivalutai non poco. Nel frattempo Eco mi era diventato familiare, grazie soprattutto alle sue ‘bustine di Minerva‘ che chiudevano ogni appuntamento settimanale de “L’Espresso“. Lì, ho iniziato davvero a legarmi allo stile di Eco, una persona coltissima ma soprattutto dotata di una curiosità incredibile e inguaribile, che lo portava a spaziare da un argomento altissimo a uno più terra terra, verso i quali manteneva comunque sempre lo stesso spirito critico e la medesima libertà di giudizio.
In oltre mezzo secolo, con uno stile inimitabile condito con garbo, ironia e concretezza, Eco ha analizzato i suoi tempi, attraverso opere che hanno arricchito chi le ha lette, e offrendo ritratti, a volte anche impietosi, di una società in continuo dilemma tra evoluzione e involuzione. Se rileggiamo oggi la sua ‘Fenomenologia di Mike Bongiorno‘, per esempio, possiamo scorgervi un’anticipazione di quella che sarebbe stata l’Italia del consumismo, alle prese con un livellamento verso il basso della cultura e delle sue sottospecie. E pensare che ai tempi di ‘Lascia o raddoppia?‘ i concorrenti almeno rispondevano a domande su una materia a piacimento, quindi in qualche modo erano esperti di qualcosa, dall’arte alla storia. Mi chiedo cosa avrebbe scritto Eco in una fantomatica ‘Fenomenologia del reality show‘, di ‘Affari tuoi‘ e via dicendo… In questo, forse solo insieme a Pier Paolo Pasolini, da cui pure distava anni luce, Eco ha saputo scorgere in netto anticipo le derive culturali di una nazione come la nostra, in un viaggio all’indietro e a perdere. Un viaggio ‘a passo di gambero’ (per citare il titolo di una raccolta di suoi scritti tra il 2000 e il 2005), nel quale non solo l’Italia, ma la storia tutta, ‘affannata per i balzi fatti nei due millenni precedenti’, si è riavvolta su se stessa, in un moto retrogrado che ha portato nuovamente allo scontro tra Islam e Cristianesimo, alla Guerra Calda dopo la Guerra Fredda, all’antisemitismo e via discorrendo.
In una realtà così composta, forse per contrappasso, Eco trovava a volte rigenerante immergersi nel passato, nell’andare all’indietro stavolta trasportato dai ricordi e dalle passioni: in questo senso, credo che il suo romanzo migliore dopo ‘Il nome della rosa‘ sia stato ‘La misteriosa fiamma della Regina Loana‘, del 2004, in cui si raccontano le vicende di un maturo professore di lettere, che, colpito da ictus, si risveglia con un deficit di memoria e, per ritrovarla, decide di tornare nella casa della sua infanzia, dove riscopre fumetti, romanzi e canzoni del periodo compreso tra gli anni ’20 e gli anni ’40. Il tutto narrato con un linguaggio in cui abbonda il senso della meraviglia, quella curiosità bambina che, ne sono sicuro, ha sempre accompagnato Eco per tutta la sua esistenza.
Liquidare però Eco come un intellettuale nostalgico e anacronistico sarebbe ingiusto. Piuttosto, dall’esperimento avanguardistico del Gruppo ’63 in poi, Eco è sempre stato al passo con i tempi, andando anzi sempre un po’ oltre, e prendendo posizioni anche a volte criticabili, come quella a proposito di Internet, da lui ritenuto ‘territorio anarchico dove si può dire di tutto senza poter essere smentiti‘, come scrisse in una ‘bustina’ del 2011. Con la sua arguzia e la sua curiosità, non ha poi mai nascosto una passione civile rinnovata e continua, che lo ha portato a prendere posizioni nette verso la degenerazione subita dal nostro paese in termini di comunicazione e di media. “Se viviamo in un paese dove il più grande comunicatore è Berlusconi, c’è qualcosa che non va“, aveva detto in una recente intervista televisiva. E se l’ex Presidente del Consiglio era stato l’ispiratore suo malgrado del suo ultimo romanzo ‘Numero zero‘, uscito nel 2015, clamorosa, e purtroppo imitata solo da pochi altri, era stata la recente decisione di abbandonare la Bompiani, sua storica casa editrice, all’indomani dell’acquisizione ad opera di Mondadori: una scelta motivata dalla ‘follia’ (“Il progetto è l’unica alternativa alla Settimana Enigmistica, il vero rimedio contro l’Alzhaimer“, aveva detto in proposito) che profumava di coerenza, e che aveva portato alla nascita di un nuovo soggetto, ‘La nave di Teseo’, etichetta che pubblicherà il suo nuovo libro, ‘Pape Satan Aleppe – Cronache di una società liquida‘, la cui uscita sarebbe stata purtroppo postuma, una settimana dopo la sua scomparsa, il 20 febbraio 2016.
“Chi non legge a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito. Perché la lettura è un’immortalità all’indietro” (Umberto Eco)
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…