Dopo il “derby” tra monarchia e Repubblica, che di fatto rappresentò l’inizio della storia moderna d’Italia, il referendum sul Divorzio fu archetipo di un forte contrasto, che infiammò i dibattiti degli italiani fino a sfociare, nella tarda primavera del 1974, in una “chiamata al voto” epica e determinante per le sorti dello stato sociale. Quello in discussione era la scelta tra due modi di essere di una società, quella italiana, di fatto da sempre condizionata dalla presenza del Vaticano, che mal tollerava l’entrata in vigore, quattro anni prima, della legge Fortuna-Baslini, con cui si regolamentava l’esercizio del divorzio come possibile via di risoluzione per i matrimoni dall’esito non positivo. Un aspetto di legge e finalizzato a regolamentare il codice civile, è necessario dirlo, in quanto sacralità e inviolabilità del matrimonio cattolico non erano certo messe in discussione. Sin da quel 1° dicembre 1970, data dell’entrata in vigore della legge, che era stata votata in Parlamento dalle forze di sinistra e dai liberali, e che portava l’Italia al pari degli altri paesi europei, i comitati abrogativi, sponsorizzati, manco a dirlo, dalla CEI, si erano mobilitati per raccogliere le firme: furono oltre un milione, quelle depositate nel corso del 1971, che di fatto segnarono l’avvio dell’iter che portò poi gli italiani a pronunciarsi nel referendum del 12 e 13 maggio 1974. Ma come arrivò l’Italia al referendum? Divisa, manco a dirlo, lacerata da un conflitto che, in quanto etico, minava a colpire le fondamenta della nostra società. Un conflitto che fu cavalcato in modo ipocrita da chi (incarnato alla perfezione dal Sordi di “Scusi, lei è favorevole contrario?”, del 1966) non voleva che alcuni vecchi stereotipi potessero essere scalfiti da una visione invece chiara e lineare che la legge divorzista consentiva, e che, d’altro canto, favoriva solo chi, danaroso, poteva permettersi un annullamento presso la Sacra Rota. In difesa della legge, oltre alle forze di sinistra e ai radicali, si posero le realtà di ispirazione cattolica progressista, come le ACLI, ma anche personalità di spicco come Giuseppe Lazzati: una scelta apparentemente controcorrente, in realtà lungimirante e moderna, che preferì non seguire il diktat imposto dal Vaticano. Un diktat a cui invece non si oppose la Democrazia Cristiana, guidata all’epoca da Amintore Fanfani, che si trovò come alleato il MSI di Giorgio Almirante.
Se i neofascisti cercavano proprio con il referendum l’ennesima occasione di sdoganarsi, Fanfani, certamente malconsigliato, scelse invece di trasformare una battaglia civile in una battaglia politica quasi personale: fu il suo errore più grosso, che contribuì in maniera determinante a ridurne le ambizioni, consegnandolo, negli anni successivi, a un’epoca di tramonto. Vivace e ricca di colpi di scena fu la campagna elettorale, che animò le settimane precedenti il voto con interventi non solo tradizionali (le noiosissime Tribune Politiche, ancora lontane dalla politica-spettacolo dei decenni successivi) ma anche originali. A sostegno del SI entrarono a gamba tesa sacerdoti e vescovi, mentre il comitato del NO schierò dalla sua parte il mondo della cultura e dello spettacolo: per parlare alla gente con argomenti semplici e chiari, Gianni Morandi, Nino Manfredi, Gigi Proietti e Pino Caruso furono testimonial di spot diretti da Ugo Gregoretti e finanziati dal PCI che vennero trasmessi nelle sale cinematografiche italiane. Al centro della discussione, la famiglia, difesa, manco a dirlo, da entrambi gli schieramenti come vulnus della società italiana. Riascoltando oggi gli appelli al voto dei leader politici di allora, se rilevante è la modernità di ciò che dice Berlinguer, che, pur classificando come “migliorabile” la legge, coglie il senso del problema richiamandosi a una legittimità civile di un fondamento giuridico inviolabile, sono da classificarsi come tragicomici quelli di Almirante (“Chi vota per il divorzio vota come le Brigate Rosse”) e Fanfani, che predisse una fine apocalittica per la società italiana filo-divorzista (“Cari nonni, ce li vedremo spediti per pacco postale dal giudice a casa, questi nipotini!” e ancora “Se arriva il divorzio, vostra moglie fuggirà con la cameriera”).

L’esito referendario fu favorevole ai sostenitori della legge: alla fine i NO prevalsero sui SI con il 59% dei voti. L’Italia si trovò, ancora una volta, spaccata in due: se i NO trionfarono al Nord e nelle isole, i favorevoli all’abrogazione vinsero invece al Sud (con percentuali esagerate in Basilicata e Molise), e poi in Trentino e in Veneto.  La vittoria del NO, se sgretolò la sterile alleanza tra DC e MSI, fu invece determinante per le forze di sinistra, e traghettò il PCI verso il risultato storico del 34% delle politiche del 1976, che aprì a una nuova stagione politica.

Il divorzio è oggi legalizzato nella gran parte dei paesi del mondo: solo Filippine e Città del Vaticano non possiedono nei loro ordinamenti una procedura civile che lo regolamenti. A distanza di oltre quarant’anni da quel referendum, cosa è cambiato in Italia? E’ vero, il matrimonio è un’istituzione in crisi, e si parla sempre più di unioni omosessuali che sono già legittimate altrove. Ma, cristianamente parlando, resta un sacramento, unico e inviolabile, come lo era in passato, e certamente ben prima della legge Fortuna-Baslini. Difficile pensare oggi a una crociata come quella del 1974 in difesa di un’istituzione civile come il divorzio consolidata, che, è bene ricordarlo, difende i diritti di marito e moglie e consente loro di porre fine a un’unione sbagliata, dando la possibilità a entrambi di ripensare a una nuova vita di coppia. Non per questo, la Chiesa chiude gli occhi. La pratica di snellimento dei procedimenti di nullità, avviata già ai tempi di Benedetto XVI, è già in dirittura d’arrivo: oggi occorrono circa due anni, contro i sei di attesa necessari alla legge civile per separazione e divorzio, per lo scioglimento del matrimonio cristiano, con costi (circa 3mila euro) molto più contenuti che in passato.

Ciò che conta, al di là di tutto, cause comprese, è la possibilità di dare sostegno a chi ha necessità di rimediare a una scelta rivelatasi col tempo sbagliata. Ci auguriamo che vengano meno le ipocrisie e le illogiche che sono state e sono, purtroppo, alla base di tante famiglie infelici, e di una società troppo spesso pronta a puntare il dito senza accogliere. Da rilevare, a questo proposito, l’atteggiamento del Vaticano: Papa Francesco non poteva non essere distante dal manifestare sentimenti di apertura verso chi sperimenta la croce attraverso il fallimento del proprio amore. Fratelli “da accompagnare, non da condannare”, dice Francesco, mai come in questo caso Cristo in terra.

Referendum sul divorzio: la fotogallery

Nino Manfredi nello spot elettorale per il NO (1974)

Gianni Morandi nello spot elettorale per il NO (1974)

 

Di Luigi Caputo

Idealista e visionario, ama l'arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia...