A Fulvia Colombo il compito di annunciare le prime trasmissioni RAI con l’inaugurazione delle sedi di Milano, Roma e Torino. Poi Mike Bongiorno, Gino Cervi, Alberto Sordi e il teatro di Goldoni.
Il mio primo ricordo della Televisione risale a Canzonissima 1974/1975, quella di Raffaella Carrà, Cochi e Renato e Topo Gigio, di Wess e Dori Ghezzi, Massimo Ranieri e Mino Reitano. Era un’Italia diversa, quella di mezzo secolo fa. Un paese avvolto dalla paura per il piombo che imperversava nelle strade, soprattutto nelle grandi città. Un paese in cui si scioperava per il diritto al lavoro e per condizioni più eque, e infatti la finale, quel Sei Gennaio Settantacinque, fu contrassegnata da uno sciopero Rai. A vederla oggi quanto sembra funerea quella puntata… Eppure faceva divertire. Prima ancora di quel programma, che ricordo con vivida lucidità anche per le canzoni che avevo sui dischi miei fedeli compagni di gioco, c’era stato Mike Bongiorno, già presente nella prima trasmissione RAI del 3 gennaio 1954, “Arrivi e partenze” (nel palinsesto con il film di Mario Soldati “Le miserie del signore Travet” con Alberto Sordi e Gino Cervi e con il teatro di Carlo Goldoni), che non potevo ricordare ma che, la sera prima della mia nascita, anni dopo, avrebbe fatto compagnia con il suo Rischiatutto ai miei Genitori, in un giovedì d’ottobre in cui il suo Allegria! aveva risuonato in tante case.
Già allora la televisione era diventata una di casa. Immagino l’attrazione suscitata nei miei Genitori ragazzi, nei miei Nonni e in tutta la generazione vissuta negli anni ‘50 e ‘60, allietata dalle voci degli spettacoli del sabato sera, da Mina a Walter Chiari, da Lelio Luttazzi alle Gemelle Kessler, ma anche dagli sceneggiati tratti da tanta letteratura (Stevenson, Cronin, Dostoevskij, Manzoni) che molti conobbero grazie proprio al piccolo schermo. E poi gli eventi, da Tito Stagno che con Ruggero Orlando commentava le immagini che giungevano dalla Luna dando seguito al più primo (e più educato) battibecco televisivo della storia, ai Mondiali di calcio con Nicolò Carosio e Nando Martellini. Uno schermo acceso sul mondo, da quel 3 gennaio 1954, giorno dopo giorno. Uno schermo capace di raccontare, con professionalità e stile giornalistico impeccabili, popoli e città lontanissime e contemporaneamente dare dignità alla civiltà contadina, grazie a trasmissioni come Non è mai troppo tardi, con la pazienza del Maestro Manzi e la sua innata gentilezza nel commuoversi davanti a una persona anziana che grazie a lui non era più analfabeta.
Tornando alla mia memoria, ricordo La Tv dei ragazzi al pomeriggio, Il Dirigibile con Mal e Maria Giovanna Elmi, Happy Days, Goldrake e Remi e il triangolino luminoso che appariva ogni volta che stava iniziando un nuovo programma sull’altro canale. Le avventure di Pinocchio con Nino Manfredi nei panni malinconici e meravigliosi di Geppetto, Oggi le comiche con la voce di Renzo Palmer il sabato prima di pranzo, e mi chiedevo sempre come facesse a restare serio nonostante le gaffes da risata di Ridolini e Charlot. Ricordo i Festival di Sanremo, ogni volta un evento vissuto nel nostro salotto gremito in ogni ordine di posti grazie al privilegio della televisione a colori che dava l’impressione di curiosare appena nella stanza accanto. Adesso musica con Vanna Brosio che il venerdì santo trasmetteva musica sacra e Discoring con Rino Gaetano che cantava Gianna, e io con i miei cugini a imitarne le mosse una domenica d’inverno del 1978.
E poi la Domenica In di Corrado e quella di Pippo Baudo che lì inaugurò la sua onnipresenza catodica tanto da farlo sembrare davvero uno di famiglia. E Portobello al venerdì sera con quel signore che era Enzo Tortora, prima che venisse calunniato e vilipeso, ma mai dimenticato. E ancora, Enzo Biagi e le sue parole, Maurizio Costanzo e il talk con Acquario e Bontà loro, gli sketch di Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, la diretta da via Fani con Paolo Frajese il 16 marzo 1978, e poi sette mesi dopo, il “Se sbalio mi corrigerete” di Papa Giovanni Paolo II. E, in mezzo, le parole gravi di Giovanni Leone che si stava dimettendo in tv mentre io giocavo con un camioncino rosso a casa dei miei Nonni materni. E poi il 90. Minuto di Paolo Valenti, signore rigoroso e imparziale con i telecronisti dai vari campi che divennero vere icone provinciali, e la Domenica Sportiva vista solo quando il giorno dopo non si andava a scuola. E le risate intelligenti con le invenzioni casalinghe di Renzo Arbore, che ogni volta scovava sempre qualche personaggio tanto strano quanto simpatico. E poi, le sigle. Quella dell’Eurovisione, che avevo imparato a suonare alla pianola Bontempi. Quella con la musica del Guglielmo Tell di Gioacchino Rossini, che annunciava imperiosa l’inizio delle trasmissioni, a metà mattina, a conferma che la tv era solo una delle cose che allietava la giornata. E quella che decretava la fine delle trasmissioni, su musica del M. Roberto Lupi (Armonie del pianeta Saturno), vista da bambino in momenti speciali, nelle feste, e sempre tra veglia e sonno, con un’emozione ogni volta nuova. Era così la mia televisione. Cortese, discreta, genuina, mai invadente. Capace di ritagliarsi uno spazio importante nelle mie giornate, ma mai di occupare il mio tempo. Né di generare rumore.
Idealista e visionario, ama l’arte come la vita, con disincanto, sogno e poesia…